NARCISISMO MORTALE
Autrici: Roberta Bruzzone, Laura Marinaro
Editore: Mursia
Pagine: 242
Anno edizione: 2024
Sinossi. «A un certo punto Giulia ebbe la certezza di essere stata insieme a una persona diversa da quella che credeva che fosse. A quel punto aveva deciso che si sarebbe definitivamente allontanata da lui.»
Come si può pensare, premeditare e realizzare l’omicidio della propria compagna incinta di sette mesi del proprio bambino? In quale contesto psicologico nasce un delitto simile? Queste sono alcune delle domande alle quali risponde il nuovo true crime della coppia Bruzzone-Marinaro che questa volta si focalizza su una vicenda che ha sconvolto l’Italia: l’omicidio di Giulia Tramontano e del suo piccolo Thiago avvenuto a Senago (Milano) il 27 maggio 2023 per mano di Alessandro Impagnatiello, compagno della vittima e padre del nascituro. Il libro parte dal racconto puntuale dei fatti e del processo fatto dalla cronista Laura Marinaro, per giungere, capitolo dopo capitolo, alla disanima psicologica e criminologica di Roberta Bruzzone della personalità narcisistica overt dell’assassino. Purtroppo la conclusione è dura: il narcisismo può essere mortale. Il testo si propone un intento anche divulgativo e «preventivo» nei confronti di altre possibili vittime.
Il femminicidio, così come più in generale i maltrattamenti e le discriminazioni ai danni delle donne, è purtroppo un fenomeno molto antico, addirittura consentito dalla Legge in alcuni periodi storici e, tuttora, in fin troppi paesi del mondo.
Nonostante i passi avanti compiuti per raggiungere l’emancipazione femminile siano enormi al punto che, in quelle parti di mondo a torto o a ragione considerate civili, una donna sia all’atto pratico e da un punto di vista legale libera di gestire la propria vita come meglio crede, il fenomeno non si sta affatto affievolendo, bensì sembra essere in preoccupante aumento.
Non esiste una Legge che impedisca a una donna di rifiutare un corteggiatore, di lasciare un fidanzato, un marito o di cambiare totalmente vita, ma esiste un codice non scritto, forse addirittura per questo più subdolo e pericoloso, che va in totale controtendenza rispetto a quelli che formalmente sono i diritti intoccabili di qualsiasi individuo di sesso femminile.
La complessità delle ragioni che vedono aumentare i diritti delle donne contemporaneamente al preoccupante aumento dei casi di femminicidio, spesso da imputarsi anche a individui molto giovani, sono talmente tante da rendere complicato non solo comprenderle tutte, ma purtroppo anche risolverle, affinché la libertà di scelta di una donna non sia solo una formalità su carta, ma venga percepita da ogni donna e da ogni uomo davvero quale diritto inviolabile su di un piano morale e non solo materiale.
REAL STORIES
IL CASO DI GIULIA TRAMONTANO
di Kate Ducci
L’omicidio di Giulia Tramontano e di suo figlio Thiago, non ancora nato, è stato uno dei tanti (troppi) casi che hanno sconvolto l’opinione pubblica per l’efferatezza del reato, per la totale mancanza di pentimento dopo l’atto, per l’estrema lucidità con la quale è stato commesso e per l’apparente mancanza di forti motivazioni.
Parlare di apparente mancanza di forti motivazioni non è un errore e, per quanto orrendo possa apparire leggerlo, è proprio l’enormità di quelle motivazioni ad avere spinto un giovane ragazzo con un lavoro sicuro, in procinto di diventare padre, a commettere il più brutale e imperdonabile degli atti.
Perché Giulia era una ragazza forte e indipendente, aveva un lavoro, una famiglia alle spalle che l’amava e la sosteneva, la possibilità di costruirsi un futuro da sola, anche con un figlio a carico, senza dover dipendere da quel ragazzo del quale si era innamorata ma senza il quale, malgrado il dolore, aveva deciso di potere e dovere ad andare avanti. Per rispetto di se stessa, per amore di verità.
Ed è stata proprio la consapevolezza di Giulia, il suo aver dichiarato al fidanzato di non volerne più sapere di lui, di voler andare avanti da sola, a costituire quell’enorme movente che ha spinto un giovane barista milanese a decidere di ucciderla e di occultarne il cadavere.
La rabbia scaturita dal vedersi mettere da parte, nonostante non fosse più innamorato di lei da tempo, ha spinto il suo assassino a decidere che Giulia dovesse morire e con lei il figlio che portava in grembo, e che la vita di quella splendida ragazza dal sorriso radioso valesse molto meno delle complicazioni conseguenti alla fine di una relazione con un figlio in mezzo, nonostante di lei gli importasse niente, nonostante quel figlio non sia mai stato desiderato. Thiago, così come Giulia, erano solo strumenti nelle mani di un abile e crudele manipolatore, che poteva tollerarne la presenza solo finché funzionali ai propri scopi.
La vita di Giulia, i suoi sentimenti, il suo diritto ad amare ed essere amata, la sua libertà di farlo altrove, con qualcun altro, valevano talmente poco che la notte del 27 maggio 2023, in cui Giulia e il suo bambino sono stati uccisi con 37 coltellate, è stata solo l’atto finale di un lungo e orrendo progetto volto a manipolare e sfruttare una ragazza dalla quale il suo assassino, Alessandro Impagnatiello, voleva solo prendere il necessario, a partire dalle attenzioni che gonfiavano il proprio ego, per finire alla comodità economica di condividere un appartamento e una gestione familiare con una donna indipendente e in possesso di un buono stipendio.
Alessandro non voleva quel bambino e per liberarsene stava già avvelenando lentamente Giulia, nella speranza che abortisse. Nemmeno Giulia inizialmente era sicura di volere un figlio da una persona della cui inaffidabilità aveva iniziato a sospettare, ma Alessandro non aveva acconsentito alla sua proposta di ricorrere a un aborto. Dire a Giulia di non desiderare quel bambino avrebbe probabilmente comportato un allontanamento che Alessandro non desiderava, mentre avvelenarla appariva per lui la soluzione migliore. Perché Giulia non aveva alcun valore umano, perché Giulia era solo uno strumento; meglio somministrarle del veleno che rischiare di perdere le comodità che lei gli garantiva.
Giulia non era la sola protagonista di questa tragica storia. Alessandro intratteneva una relazione parallela con una collega, anch’essa manipolata, anch’essa addirittura ignara che l’uomo con il quale si stava frequentando stesse per diventare padre di un bambino.
Se c’è un elemento fermo e granitico in tutta questa storia è che per Alessandro contasse solo Alessandro e che le donne che popolavano la sua vita non rivestissero alcun interesse, che le utilizzasse non solo senza dare alcun peso alle loro esigenze e addirittura alla loro stessa salute ed esistenza, ma anche senza calcolare minimamente le conseguenze pratiche delle proprie azioni.
Perché quelle due erano solo donne, non avrebbero osato chiedergli conto delle sue azioni, non avrebbero osato metterlo in ridicolo o in difficoltà, non avrebbero osato mostrare di aver compreso come stessero le cose, non avrebbero osato affrontarlo.
Cosa che invece accadde in quella triste notte di maggio, in cui Giulia ha pagato caro il proprio coraggio di mettere un punto a una storia che la rendeva infelice, in cui ha dimostrato a un bugiardo manipolatore che lei, sola, lontana dalla famiglia e a fine gravidanza, aveva più coraggio di quanto lui potesse mai sognare di avere, in cui lo ha fatto sentire la nullità che era al cospetto di una donna forte e determinata.
Roberta Bruzzone e Laura Marinaro non solo ci raccontano ogni dettaglio della vicenda di Giulia, ci parlano della sua famiglia, degli eventi antecedenti e successivi alla sua morte, delle indagini che hanno portato alla scoperta e all’arresto del colpevole, ma fanno molto di più.
Il libro è un’attenta analisi di un fenomeno talmente in crescita da apparire quasi nuovo, quasi figlio dei nostri tempi, nonostante abbia radici ben ancorate in secoli di tradizioni, preconcetti, culture e abitudini.
Ed è un fenomeno talmente grande da rendere difficile arginarlo anche da un punto di vista legale, perché quando un uomo decide di voler davvero fare del male a una donna, purtroppo, non c’é qualcosa che possa fermarlo, nemmeno l’idea di dover passare il resto della propria vita in carcere.
Ed è proprio su questa forte motivazione, che passa sopra ogni paura e vergogna, che si fonda questa abile e necessaria analisi, in quanto la Legge può prevedere terribili conseguenze per chi si macchia di un reato così abietto, ma nessuno restituisce la vita a una donna che l’ha persa, nessuno la restituisce ai suoi cari, nessuno può riavvolgere il nastro e tornare indietro, a quando poteva essere salvata.
E allora cosa è necessario fare al cospetto di un fenomeno che sembra essere socialmente sfuggito di mano, al cospetto di quegli uomini, spesso persino molto giovani, che non riescono a tollerare un no, un addio, la fine di una relazione a cui tengono molto o, addirittura, come nel caso di Giulia, a cui non tengono affatto ma che fa comodo per futili ragioni?
Concentrarsi solo sulle misure restrittive conseguenti a tali atti è purtroppo del tutto inutile per arginare il numero dei femminicidi, perché le motivazioni che vi sono alla base sono assai più forti del timore delle conseguenze, perché essere assassini viene ritenuto più dignitoso e accettabile che essere rifiutati, oltraggiati, offesi da una donna che può fare a meno di uomini incapaci di amarla come desidera.
Proprio per questo Roberta Bruzzone e Laura Marinaro concentrano la loro attenzione su due elementi assai più importanti, primo dei quali la necessaria presa di coscienza da parte delle donne, che devono imparare a conoscere e riconoscere questa tipologia di uomo, facile da individuare dopo poco tempo, che segue sempre gli stessi schemi di manipolazione, che sa far leva su sensi di colpa e vittimismo, che pretende amore ma non ne dà.
È indispensabile che ogni donna comprenda quanto il suo ruolo non sia accudire, quanto il porre fine a una relazione sia non solo un suo diritto, ma anche un dovere verso se stessa e che non esiste colpa alcuna nel non amare più, nel voler andare avanti da sola e nel volerlo fare a dispetto di una cultura antiquata ma tuttora ben presente, che vorrebbe la donna come elemento debole, manipolabile, sottomesso.
In secondo luogo, le autrici ci spiegano dettagliatamente quanto il fenomeno vada affrontato nella sua genesi e non nelle sue conseguenze, così come per curare una malattia è necessario agire sulle cause e non certo sui sintomi.
Le persone vanno educate all’accettazione del rifiuto e della sconfitta, a percepire gli altri come individui importanti e meritevoli di rispetto, vanno cresciute nella cultura dell’affetto e dell’accoglienza, perché una incapacità a provare amore è spesso figlia di un amore non ricevuto o ricevuto nel modo sbagliato, una incapacità ad accettare un rifiuto è spesso figlia di non averne mai ricevuti, chi siamo è in larga parte da imputarsi anche all’educazione ricevuta.
Educazione che deve partire dalle famiglie ma anche dalla società, dal parlare apertamente e tanto di questi fenomeni, dallo spingere le giovani donne a prendere coscienza di sé e i giovani uomini a non temere l’incontro e il confronto con una donna che vuole stare con loro non perché ne ha bisogno, ma perché può e vuole scegliere.
Un libro che dovrebbe essere letto da tutti, che potrebbe e dovrebbe essere utilizzato come spunto di riflessione anche nelle scuole, perché certi individui non sono schegge impazzite all’interno di una società sana, squilibrati che hanno sempre fatto paura, persone violente che hanno sempre mostrato di esserlo. Spesso in quella società sono perfettamente inseriti e, per questo, ancora più pericolosi.
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Roberta Bruzzone, Laura Marinaro
Roberta Bruzzone è psicologa forense, criminologa investigativa ed esperta in criminalistica applicata all’analisi della scena del crimine. È docente di Criminologia, Psicologia Investigativa e Scienze Forensi presso l’Università LUM Jean Monnet di Bari. Svolge attività di consulente tecnico nell’ambito di procedimenti penali, civili e minorili. Con Mursia ha pubblicato: State of Florida vs Chico Forti; insieme a Laura Marinaro, Yara. Autopsia di un’indagine; insieme a Giuseppe Lavenia, Il patentino digitale.
Laura Marinaro è giornalista professionista ed esperta in cronaca nera e giudiziaria. Inviata del settimanale «Giallo», conduce su Radio Libertà il programma da lei ideato e scritto Gialloradioclub e collabora con alcuni quotidiani per la giudiziaria. Con Mursia ha pubblicato, insieme a Roberta Bruzzone, Yara. Autopsia di un’indagine e i romanzi Maremoto a Varigotti e La fanciulla degli ori.