Istella Mea 




Ciriaco Offeddu


Editore: Giunti

Genere: horror soprannaturale

Pagine: 384

Anno edizione: 2025


Sinossi. Nuoro, anni Sessanta: in una Sardegna popolata di cavalieri, pastori e leggende la giovanissima Rechella scopre l’amore grazie all’incontro con Martino, un ragazzino dalla fantasia fervida, capace di prodigi come quello di alzarsi in volo e spingere lo sguardo fino al mare. Martino è stato abbandonato dai genitori e vive con sua nonna Jaja, donna rispettata e temuta, narratrice di storie favolose, che nella sua cantina nasconde qualcosa di oscuro e potente…Dalla Sardegna magica e ventosa fino all’Argentina malinconica degli emigrati, questo romanzo segue il destino di donne e uomini dominati da amori e odi inestinguibili. A fronteggiarsi sono due opposti modelli di femminilità, quello della sùrbile – maestosa incarnazione leggendaria di colei che, come una vampira, succhia le migliori energie di chi le sta vicino – e quello di una donna innamorata, determinata a vendicare e salvare la “stella” perduta della sua vita. Istella mea è un romanzo nel quale la tradizione letteraria del realismo magico si mescola a una riflessione sul male e sulla possibilità del bene. Ma è soprattutto una grande avventura in cui cadere, come in un sogno.

“L’universo femminile continua ad apparirmi più profondo e complesso di quello maschile, difficile da dipanare e perciò maggiormente interessante. Il personaggio della sùrbile, con il suo dolore divenuto veleno, è il volto oscuro che si oppone a quello generoso, accogliente, solare di tante donne che, come Rechella nel romanzo, non smettono mai di credere nella possibilità del bene.”

 Recensione di Silvana Meloni


Non conoscevo l’autore, nonostante sia sarda anche io, e, letta la sinossi, ho affrontato la lettura ritenendo che tra le pagine si dispiegasse l’avventura di una ragazza che, pur emigrata all’estero e lontana dalla sua terra, fosse comunque tanto legata alle sue origini da non perdere mai il sottile legame con la Sardegna, attraverso la memoria delle nostre leggende, pervase da un realismo magico che da millenni contraddistingue i nostri costumi più antichi, specialmente nelle zone più interne dell’isola.

In realtà questa lettura mi è apparsa ben presto di altro tenore. Infatti, mi sono resa conto di essere di fronte a una storia che si fonda sul soprannaturale e, attraverso questa lente, racconta il tormento della protagonista che, pur di sfuggire al demonio, affronta il difficile destino dell’emigrata fuggendo dalla parte opposta del mondo. Una sorta di rilettura della favola raccontata da Roberto Vecchioni nel suo indimenticabile brano Samarcanda.

Quindi non di realismo magico si tratta ma di vero e proprio romanzo horror, seppure non splatter. Infatti le storie che potremmo considerare maggiormente intrise di realismo magico, pensiamo a quelle sudamericane della Allende o di Garcia Marquez, hanno in comune alcune caratteristiche: gli aspetti magici fanno parte della quotidianità dei personaggi, nessuno se ne stupisce o cerca di darsi una spiegazione logica della loro presenza, nessuno li contrasta, ma vengono accettati come elementi indissolubilmente legati alla loro vita; rimangono peraltro marginali rispetto alla trama principale, che di tutt’altro tratta.

Negli horror, al contrario, gli elementi soprannaturali sono il nodo della storia, non vengono accettati supinamente dai personaggi, che anzi se ne stupiscono e cercano spiegazioni razionali a quanto accade; i protagonisti li contrastano fino alla fine, con maggiore o minore forza a seconda degli eventi narrati, e con diversi risultati finali che possono rappresentare la vittoria contro il maligno, ovvero la sconfitta.

Senza alcun dubbio Istella mea è un horror. La narrazione è la lotta contro il demonio, rappresentato da una strega (sùrbile), da parte della protagonista Rachella, sin da quando giovanissima viene spezzata da una perdita che le provoca immenso e insanabile dolore.

Il romanzo scorre con un linguaggio semplice ma colto, talvolta poetico. Ma tutto ciò non deve ingannare perché la vicenda è fortemente disturbante e insinua elementi di inquietudine sempre più insidiosi man mano che si procede nella lettura.

Sicuramente consigliato per gli amanti del genere.

Io, tuttavia, ho qualche perplessità del tutto personale. La lettura mi ha trasmesso una forte tristezza, come un senso di ineluttabilità verso un destino sempre avverso. La storia, pur non insensibile verso le difficoltà emotive dell’emigrato (il distacco, l’ambientarsi in un altro mondo non sempre facile, la voglia di tornare a casa contrapposta al non sentirsi mai a proprio agio né nella terra d’origine né in qualsiasi altra parte del mondo) sembra avulsa dalla realtà fattuale.

Non si percepisce la necessità di allontanarsi dalla propria terra per motivi economici, per garantirsi un futuro. La protagonista fugge, prima a Madrid poi ancora più lontano, alla ricerca esclusiva della sua pace interiore. Posso ipotizzare che nella scelta dell’emigrazione giochino anche elementi di insicurezza personale; tuttavia, il motore che spinge ad andar lontano è, a mio avviso, principalmente la difficoltà reale di trovare la propria realizzazione sociale e lavorativa nella propria terra.

La Sardegna è tutt’oggi una regione che offre pochissimo ai suoi giovani, e questo è un fattore sociale ed economico importantissimo, che supera di gran lunga le fughe dettate da tutte le possibili motivazioni interiori. Il romanzo, su questo, direi che soprassiede in maniera superficiale.

Altro elemento che non ho apprezzato, e sembrerà contraddittorio, è questa prevalenza di personaggi femminili, alla quale fanno da specchio, più che altro come figure di supporto, anzi di servizio, i personaggi maschili.

Mi spiego. Il personaggio che impersona il male assoluto è una sùrbile (strega) che gestisce la vita di tutti gli uomini che hanno avuto la sfortuna di incontrarla e che nulla possono per arginare la sua forza distruttiva; la protagonista, Rachella, combatte da sola questa lotta interiore (e non solo) tra bene e male, le persone che hanno un peso reale nella sua esistenza, che indicano la via, sono la madre e l’amica Lorena, perché le figure maschili, che pur dovrebbero avere il ruolo di mentori (il padre e Don Costantino), in realtà assumono un compito consolatorio, le spalle su cui lei versa le sue lacrime; gli altri uomini sono poco più che delle pedine, utilizzate da Rachella (come dalla strega in realtà) per raggiungere dei risultati pratici ed estemporanei.

Dovrebbe soddisfarmi questa impostazione? Per nulla.

A mio avviso è una lettura falsa e addomesticata della realtà, che gioca su un’impostazione sociale che vede le donne o Streghe o Madonne. Non a caso Rechella è quasi una suora laica, che imposta la propria esistenza rifuggendo da un rapporto interpersonale d’amore normale e paritario e, dedicata alla lotta contro il maligno, mai è sfiorata dal pensiero di costruirsela una vita.

Nella realtà il mondo è patriarcale, è l’universo maschile che prende le decisioni anche per le mogli, figlie e madri. Nel nostro mondo (duecento anni fa come oggi) non sono le sùrbile a far impazzire i loro uomini, ma al contrario sono state le donne che, relegate tra le mura domestiche, hanno dovuto subire la violenza dei loro mariti e figli. Così anche in Sardegna, dove, erroneamente, si scambia una società violenta, rigidamente incardinata su ruoli immutabili, per una società matriarcale.

Le donne erano regine in casa, si dice, ma a che prezzo? Subivano le violente incursioni sessuali dei loro maschi, le loro decisioni in ordine alle scelte familiari talvolta perorate anch’esse con violenza, l’oppressione di una società che non lascia spazio a scelte diverse dalla cura dei figli e dei vecchi, che schiaccia col pettegolezzo e le reprimende colei che vorrebbe affrancarsi dal leggendario ruolo di sottomissione sociale e familiare.

Questa è la Sardegna che conosco io, quella degli anni bui e dei luoghi bui dell’interno, dove la donna che non si conforma è o una strega o una povera demente. Non è quella che ci presenta l’autore di questo romanzo.

Ma, ripeto, sono solo considerazioni personali. 

Il romanzo è scritto bene e, come ho detto sopra, rispecchia gli stilemi del genere horror soprannaturale a cui si ispira.

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Ciriaco Offeddu


74 anni, ingegnere elettronico, ex amministratore delegato e presidente di multinazionali in Italia e all’estero, poi consulente di management e advisor finanziario. Ha lavorato in Asia per oltre venti anni. Ha conseguito un Master in Creative Writing alla City University di Hong Kong, con lode e tesi su Il Maestro e Margherita di Michail Bulgakov. È stato co-fondatore a Hong Kong della piattaforma culturale Beyond Thirty-Nine che ha operato online e off-line organizzando eventi in Asia, in Europa e USA. Ha diretto documentari culturali come Father Nicosia, the Angel of the Lepers (acquistato infine dai Salesiani, tradotto in diverse lingue e distribuito nel mondo) e L’Ispirazione Poetica di Grazia Deledda e il Monte Ortobene, proiettato in USA, Asia e in Italia. Ha pubblicato vari saggi su internazionalizzazione, strategia ed economia, e romanzi con Sperling & Kupfer Editori, Council Group Editor, Lascar Publishing Hong Kong e Gingko Edizioni. Nel 2006, il suo libro di scenari sulle biotecnologie, Il Potere del Domani, è stato selezionato come inserto da sei quotidiani del Gruppo L’Espresso. Due suoi racconti brevi sono stati premiati in USA da Glimmer Train. Una sua poesia è stata pubblicata in Asia da Desde Hong Kong, Poets in conversation with Octavio Paz. Altri racconti sono stati pubblicati su raccolte e antologie come Ricordi. È da quattro anni editorialista de L’Unione Sarda.

A cura di Silvana Meloni

Instagram/silvana.meloni