Recensione di Laura Salvadori
Autore: Angela Nanetti
Editore: Neri Pozza Editore
Genere: narrativa
Pagine: 194
Anno di pubblicazione: 2018
SINOSSI.È una sera di giugno del 1970 in un piccolo paese della Calabria, Nunzio e Antonio hanno vent’anni e si amano, in segreto, da due mesi. Il loro amore si consuma dentro la vecchia Fiat del padre di Antonio, parcheggiata in uno spiazzo abbandonato. Ma, proprio quella notte d’estate, tre uomini incappucciati e armati trascinano Antonio fuori dall’auto, colpendolo fino a quando il giovane non giace a faccia in giù e a braccia aperte, come un Cristo in croce. Tre giorni dopo Nunzio Lo Cascio sparisce dal paese, messo su un treno che da Reggio Calabria lo conduce lontano, a Londra. Il mondo, all’improvviso, gli ha mostrato il volto più feroce, quello di un padre e due fratelli che «gli hanno spezzato le ossa a una a una» per punirlo del suo “peccato”. Nulla sembra avere più senso per il ragazzo: la fiducia negli uomini, la speranza di un futuro, la sua stessa identità. Di lui rimane soltanto la foto del campionato del ’69, appesa nella pescheria dei genitori, che lo ritrae con tutta la squadra sul campo dopo la vittoria, promessa mancata del calcio. A interrogarsi sulla vita di Nunzio è anni dopo sua nipote Annina, che sente di avere con quello zio mai conosciuto, di cui nessuno in famiglia parla volentieri, inspiegabili affinità. Anche Annina, sebbene in modo diverso, si trova a combattere con un padre violento e prevaricatore e con la stessa realtà chiusa del paese, in cui una ragazza non ha altre possibilità che essere una «femmina obbediente». E, come Nunzio, scoprirà la dolorosa necessità di riprendersi il mondo, ribellarsi ai pregiudizi e lottare per la propria libertà.
RECENSIONE
Questo è un romanzo feroce e tenero, intriso di malinconia ma forte di rabbia e di ribellione.
Leggendolo ci si immerge nelle realtà della nostra storia recente, ancora acerba e crudele, intrisa di pregiudizio e chiusa al mondo, una storia e un ambiente che condannano al silenzio e al confino Nunzio, colpevole per la sua omosessualità e Annina, femmina, quindi per questo intrappolata in un destino già scritto per lei. Un “ricchijuni” e una “pputtana”, che non possono trovare il proprio posto nel mondo, se non fuggendone.
L’incipit è superbo; un pugno nello stomaco e al tempo stesso un delicato affresco di un amore romantico e struggente. L’innocenza, il candore e la poesia di un amore adolescenziale, di quelli che ti levano il fiato, quegli amori che ancora non conosci e che non comprendi, eccetto che per la consapevolezza di un’attrazione ineluttabile verso l’oggetto di quell’amore assoluto.
Un amore che trova nella morte il suo estremo compimento. Una morte per mano di uomini che qualcuno ha mandato per salvare Nunzio dall’abominio di un amore contro natura.
Nessuno deve sapere. Ad ogni costo. Perché “se sei ricchjiuni non sei un uomo, non sei più niente”.
E così Nunzio si trova costretto a fuggire a Londra, in un mondo ostile, in cui il ragazzo non riesce a integrarsi. Sarà solo e vorrà esserlo. Galleggerà in una vita che è solo una brutta copia della vita che aveva immaginato. Vivrà ricordando il suo amore Antonio, un pensiero che non lo abbandonerà mai. Nunzio non comprenderà mai pienamente il perché del suo confino, ma soprattutto il perché della morte di Antonio.
Annina è anch’essa incompresa e fuggitiva; al contrario di Nunzio, però, lotta e decide la sua vita, sottraendosi a un matrimonio combinato e cercando con tutta se stessa di inseguire i suoi sogni. Fuggire, come suo zio Nunzio, al cui destino si sente affine, forse perché nonna Carmela, madre di Nunzio, la cresce con il nome del figlio perduto costantemente sulle labbra, e le parla, le racconta storie e credenze all’ombra della tomba del figlio.
Annina è ribelle e non vuole finire come sua madre, una donna debole e scialba, che vive all’ombra del marito, uomo violento e prevaricatore. Annina sa che in Calabria non potrà seguire le sue inclinazioni, per questo fugge lontano. Presto però si renderà conto che anche lontano dalla sua terra esistono ingiustizie e prevaricazioni, perché per una donna è difficile ovunque esprimere la propria personalità liberamente.
Il Figlio prediletto è un romanzo di formazione, sulla ricerca affannosa della propria identità e sulla realizzazione dei propri sogni.
È un romanzo sulla lotta per affermare il proprio io, sull’amore, sulla solitudine, sull’emarginazione, sulla rabbia. I due protagonisti interpretano perfettamente questi ideali, ognuno a suo modo. Punto di unione tra Nunzio e Annina è la figura imponente e profonda di Carmela, anch’essa sola nel suo dolore, ma capace di slanci magnifici e foriera della saggezza dei vecchi. Intrappolata nei luoghi comuni tipici della cultura del sud, consapevolmente succube dei pregiudizi che hanno condannato il figlio e la nipote, e anche se stessa, a una vita di solitudine.
Tuttavia Carmela si affranca dalla menzogna in cui ha vissuto tutta la vita, cieca per dovere o per necessità, per apprendere la verità sul proprio figlio, sulla vita, sulla sua identità e per perdonare Annina, che fa ritorno a casa. E in questa estrema scoperta l’anziana donna si mostra assai più comprensiva e indulgente, fino a ridere del destino che le è toccato, che le ha dato “un figlio frocio e comunista e una nipote puttana”.
Il figlio prediletto è davvero una bella lettura. Una scrittura evocativa, che ti trascina sulla scena come in un film, densa di immagini poetiche e al tempo stesso dure. Un romanzo dove senti perfino gli odori, dove odi le voci dei protagonisti e osservi gli spazi della campagna sterminata e il traffico grigio delle città inglesi.
Un viaggio nell’Italia dagli anni ’70 in poi, con le sue ombre e i suoi pregiudizi. Un’Italia che ci sembra lontana, ma che forse è più vicina di quanto sembri. Perché in fondo certi pregiudizi non li abbiamo ancora superati del tutto e ancora si muore per un amore sbagliato o considerato tale.
Angela Nanetti
È nata a Budrio (Bologna) e si è laureata in Storia medioevale. Ha insegnato nelle scuole medie e superiori di Pescara, dove risiede. Dal 1984 a oggi ha pubblicato più di venti romanzi per ragazzi, molti dei quali premiati in Italia e all’estero. È tradotta in 25 paesi. Il bambino di Budrio (Neri Pozza) è arrivato finalista alla prima edizione del premio Neri Pozza e ha vinto il Premio Terriccio, riconoscimento al romanzo storico.