A tu per tu con l’autore
Marco, dopo “Odore di chiuso” e “Buchi nella sabbia”, torni, con “La misura dell’uomo”, al giallo storico. Ed è subito un bel successo. Ti chiedo, da chimico qual tu sei, quanta chimica c’è e quanta ne metti tu nel raccontare la Storia? Significatamente, quanto pensi incida, nell’economia della storia, il dosaggio sapiente di elementi e riferimenti attuali al’interno del contesto storico passato che narri?
La chimica è un modo di pensare: devi spiegare fenomeni visibili, ma incomprensibili, in termini di oggetti invisibili, ma che sono facili da montare e capire. Lo stesso succede con le storie: gli stessi fatti, che sono palesi ma inspiegabili, vanno raccontati mettendo in risalto le relazioni di causa ed effetto in termini dei personaggi, e dei loro caratteri – oggetti che tutti conosciamo. Quando uno scrive un romanzo storico, è essenziale mettere il lettore in condizione di capire, di valutare correttamente una data quantità di denaro o un dato comportamento, e i rimandi all’oggi mi permettono di dire più cose in meno righe…
Leggendo “La misura dell’uomo”, si avverte quanto tu abbia scritto volentieri e con gusto questa storia e al contempo quanto solide siano le basi e le ricerche sulle quali ti sei documentato. Credo, più che mai in questo contesto di genere, che per dare spazio all’inventiva e alla creatività occorra muovere da una forte conoscenza dei contesti. Nell’immaginare e “costruire” il tuo Leonardo da Vinci, protagonista del libro, c’è un qualcosa in particolare nelle letture che hai fatto che ti ha colpito, che non conoscevi e che ti ha ispirato tratti particolari da conferire al tuo personaggio?
La cosa più significativa è stato il senso dell’umorismo: quando interrompe una pagina con la dicitura secca “e ora basta perchè la minestra si fredda” (Codice Arundel). Ma anche scoprire che giocava con le parole: se non sapeva definire un dato strumento, magari perché se lo era inventato lui, si inventava il nome, ed era un nome funzionale, quasi come i sostantivi greci. Ecco, Leonardo non sapeva il greco, ma aveva capito come funzionava: usava le parole come utensili per ragionare, non come un vocabolario per definire.
Sei Autore affermato, di riferimento e molto amato. La tua firma stilistica in una scrittura che sempre si rinnova è la forte ironia e la capacità di mimesi che hai verso i tuoi personaggi, cosa che permette una perfetta caratterizzazione e conferisce piena credibilità ad ognuno, soprattutto offre una molteplicità di punti vista che rendono dinamico ogni tuo romanzo. Ciò accade anche in questo tuo ultimo. Protagonista assoluto Leonardo, ma in una coralità polifonica perfetta e mai stonata. In particolare ho notato una scelta stilistica particolarissima: più volte hai gestito, all’interno dei capitoli, i cambi di scena e di prospettiva, utilizzando e interpolando una figura retorica, l’anadiplosi, che in poesia consiste nel riprendere all’inizio di un verso la parola che concludeva il verso precedente. Chiaramente ciò adattato in forma narrativa (es. – E io adesso verrò con voi ad ascoltare un po’ di buona musica, e tenterò di distrarmi.
Niente, non si distrae. – Se non si distrae toccherà pensare a qualcos’altro – disse Robinot (…)
Scelta centratissima e originale. Mi incuriosisce il perché tu l’abbia fatta e cosa te l’ha ispirata.
L’ispirazione viene dalle poesie provenzali, dove spesso si trovano le cosiddette coblas capfinidas (non conoscevo questo termine, me lo ha insegnato Chiara Valerio, una delle persone che è in grado di spiegarmi chiaramente cosa penso prima ancora che lo abbia capito da solo). Però l’esempio più bello, quello domanda/risposta, viene da due album dei Genesis, gruppo che adoro: l’album Foxtrot finisce con la domanda ‘What’s for supper’, e nell’album successivo ‘Selling England by the pound’, troviamo all’improvviso la frase fuori contesto ‘It’s scrambled eggs.’ Il perchè l’ho fatto è semplice: costringe a tenere alta l’attenzione.
Senza dubbio Leonardo da Vinci è un personaggio straordinario, adattissimo a produzioni televisive. Particolarmente, riterresti adatta e interessante una trasposizione de “La misura dell’uomo” per lo schermo? Chi immagineresti nei panni del genio fiorentino?
Trasposizione? Nooo. I costumi costano. Scherzi a parte, è un casino. Volendo volare altissimo, Benedict Cumberbatch. In fondo ha sempre interpretato geni: Sherlock Holmes, Alan Turing…
Nel disegnare l’Uomo Vitruviano, Leonardo ha inscritto il corpo umano in due figure geometriche perfette, il cerchio e il quadrato, apparentemente inconciliabili, certamente non sovrapponibili. Trovo che ci sia una bella analogia con la tua scrittura, non parlo solo di quest’ultimo, ma di tutta la tua produzione letteraria. Analogia nell’inserire e dare coerenza ad elementi in apparenza stridenti tra loro (il contemporaneo nel Rinascimento, la risata dissacrante e liberatoria nel mezzo dell’indagine sui delitti). Si potrebbe dire che sia questa la misura della vita, una palette di colori nella quale uno non esclude l’altro. Sei d’accordo con questa lettura?
Credo il segreto del godersi la vita stia nella capacità di cogliere le differenze, i continui cambiamenti che avvengono intorno a noi. La noia è il peggior nemico dell’uomo, e la monotonia ne è il prodromo. Sono d’accordo assolutamente.
Marco Malvaldi lettore frequenta il thriller nordico? Oppure su cosa si orienta di preferenza?
Mi sono drogato con Wallander e con i magnifici Sjowall-Wahllo, che continuo a considerare i giganti del giallo nordico. Non mi dispiace affatto Arnaldur Indridasson. Il thriller, però, per me è anglofono: Forsythe e Grisham su tutti.
Marco Malvaldi
Ringrazio Marco Malvaldi , grandissimo ed imprescindibile autore, per la disponibilità, la spontaneità e la generosità nel raccontarsi.
Sabrina De Bastiani
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