A tu per tu con l’autore
Intervista a Jill Dawson, autrice de Il talento del crimine (Carbonio editore 2018), in presentazione al Noir in Festival a Milano, martedì 4 dicembre (Feltrinelli Duomo, h. 17,30) e mercoledì 5 (Iulm, h. 10,30-12)
Nei ringraziamenti, alla fine del romanzo Il talento del crimine, sei molto esaustiva nello spiegare al lettore dove hai tratto l’ispirazione per i personaggi e per la trama. Mi ha sorpreso che ci abbia chiesto se ci fossimo divertiti a trovare traccia della Highsmith e delle sue opere, se avessimo riconosciuto Carol nel personaggio di Sam (Samantha Gosforth) e così via. Personalmente sì, sono riuscita a intercettare gli indizi. All’inizio, leggendo, avvertivo una sorta di smarrimento che non riuscivo a decifrare del tutto. Poi ho capito cos’era: la sensazione di essere davanti ad un gioco, tipo un puzzle da costruire o un legno da montare. E tu? Ti sei divertita a nasconderci pezzi di Patricia Highsmith nel personaggio di Pat?
Sono contenta che abbia colto il senso del gioco. Forse deriva dal piacere che ho sempre provato nel porre interrogativi e nascondere indizi. In effetti presentare un finale ambivalente e un’interpretazione alternativa del romanzo potrebbe essere un’opzione. Ma tu hai colto anche l’atmosfera di perdita. Il mio riflettere su Patricia Highsmith mi ha condotto fino alla casa della sua infanzia, in Texas. La casa non c’era più, era stata distrutta, così ho camminato nelle vicinanze e, lì, ho sentito pienamente quanto la Highsmith avesse sofferto di un grande senso di abbandono (principalmente a causa di sua madre, che la lasciò con la nonna in un anno che si rivelò uno dei peggiori della sua vita), che non avrebbe mai superato. Secondo me è questo che sta dietro la sua rabbia e il suo costante fantasticare di omicidi. Per quanto riguarda me, penso sia una gioia nascondersi … ma un dramma non essere trovata.
Come è nata l’idea di questo thriller così particolare?
Rileggendo i primi romanzi della Highsmith, Acque profonde e Il grido della civetta, e poi scoprendo, nella sua biografia, che, negli anni Sessanta, aveva vissuto non molto lontano da me, in un villaggio inglese del Suffolk. Quello stesso giorno ho guidato fin lì e sono rimasta seduta a fissare Bridge Cottage, la casa dove Highsmith si era trasferita nel 1964 e dove aveva abitato per quasi tre anni. È così che è nata l’idea del romanzo.
Anche se non è mai stata premiata, Patricia Highsmith è considerate la regina indiscussa della letteratura suspense a livello internazionale. Non hai scelto un soggetto semplice da nessun punto di vista. Per uno scrittore è sempre un po’ sacrilego rapportarsi ai suoi modelli di riferimento. Non hai temuto il confronto?
A essere sinceri, sì! Ho provato un grande sollievo quando alcuni amici della Highsmith – Ronald Blythe, che è anche un personaggio de Il talento del crimine (Ronnie, ndr), Craig Brown e Phyllis Nagy, la sceneggiatrice del film Carol – mi hanno detto di aver apprezzato il romanzo. Ronald ha detto una cosa che mi ha fatto davvero piacere, e cioè che “la mia immaginazione ha tenuto fede alla amicizia tra lui e Patricia”. Di fatto sono sempre spaventata da certi confronti, anche perché scrivere mi fa sentire costantemente in una posizione di trasgressione, quale che sia il soggetto.
Patricia Highsmith era una persona molto rude. Persino il suo editore la definì “cattiva”. Se fosse possibile, le faresti mai leggere Il talento del crimine? Se sì, le chiederesti un’opinione?
Non penso che avrebbe approvato il mio omaggio! D’altro canto, la sua “cattiveria” e la sua “ruvidezza” penso le derivassero da una grande sensibilità. Patricia Highsmith era molto insicura e pronta a disprezzare gli altri temendo di essere lei stessa disprezzata. Ronald Blythe ha detto che era “vulnerabile” e talvolta questo tipo di persona sono aggressive attaccabrighe. Mi chiedo se oggi le sue difficoltà sarebbero inquadrate “nello spettro dell’autismo”. Lei aveva un talento per la solitudine, era in imbarazzo nelle occasioni sociali, aveva abitudini rigide e ossessive. E no, non avrei chiesto la sua opinione. Non mi piace mettermi sulla linea del fuoco.
Sappiamo del caratteraccio della Highsmith, e Jill Dawson? Come la descriveresti?
Hmm. Quando ero più giovane, mi infiammavo facilmente e avevo un certo temperamento, con gli anni tutto ciò è andato attenuandosi. Come Highsmith, posso anche essere timida nelle occasioni sociali. (Lei una volta si nascose in bagno durante un party che i suoi amici le avevano organizzato, anche io ammetto di averlo fatto.) Sono impulsiva, abbastanza spontanea. Qualche volta dico cose che non dovrei dire e subito dopo me ne pento. Ma penso che i miei amici mi descrivano anche come una persona felice.
Si dice che la passione della Highsmith per le lumache fosse tale da indurla addirittura a portarle con sé dentro una borsetta. E tu? Nascondi qulache bizzarria?
Mentre scrivevo il romanzo, anche io avevo portato in casa delle lumache per capire cosa ci trovasse la Highsmith da esserne così affascinata… alla fine credo di averlo compreso.
Grazie di cuore, Jill !!!
Anche a voi, amici di ThrillerNord!!!
Giulia Manna
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