A tu per tu con l’autore
Ciao Emanuele, grazie prima di tutto per questa intervista. I tuoi romanzi “Glock 17. La Pazienza dell’odio” e “ L’oscurità del Golem” mi hanno tenuta inchiodata dalla prima all’ultima pagina e non vedo l’ora di leggere l’ultimo episodio! Come ti è venuta in mente la storia di Ettore “il Gatto”, di questo giustiziere e moderno antieroe? Hai preso spunto da eventi reali o è tutto frutto della tua fantasia?
Ciao Chiara, grazie a voi. Sono forse più curioso di te dell’impressione che ti farà l’ultimo episodio. La storia di Glock e del suo protagonista inizia così: presentai al mio editore, Luigi Politano di Round Robin, un altro libro. Un romanzo distopico di formazione criminale che poi ha trovato altrove la sua via. Lui mi ha risposto “Se scrivi un noir così te lo pubblico subito”. Ho capito immediatamente che avrei scritto un noir dalla parte del cattivo, dalla parte di un ultimo, di un dimenticato. Di uno lasciato per strada. Da quel momento ho iniziato a ragionare su Ettore.
Quando hai cominciato a scrivere “Glock 17”, sapevi che già che sarebbe stato il primo romanzo di una trilogia o è stato uno sviluppo non previsto?
Sapevo di volere più di un libro per esplodere la storia. Volevo un libro per il presente e un libro per il passato. Solo scrivendo ho capito che ne volevo un terzo per il futuro.
Tornando al personaggio di Ettore, tra “Glock 17” e “47” vive un’evoluzione, un cambiamento. Man mano che si sviluppa il conflitto con il Golem, viene a galla il suo personale conflitto interiore. Che cosa rappresenta il Golem per il Gatto? E per te?
Domanda tosta. Molto tosta. Il Golem è tante cose, per Ettore e per me. Ettore vede Golem come uno specchio rotto. Quando Ettore incontra il Golem capisce di trovarsi a un bivio. Capisce di dover scegliere. Scegliere dove andare, chi essere. Per alcune scelte diventa improvvisamente troppo tardi, per altre no. Golem è insieme l’incubo di Ettore e la sua liberazione, perché attraverso di lui il Gatto capisce di essere qualcosa di più che un prigioniero della sua vita. Per me… ecco, questa è la parte veramente difficile. Forse per me Golem rappresenta una sorta di linea di bilancio. Arriva il momento, per tutti, di fare i conti con la perdita, col dolore, con lo spettro della solitudine e quello dell’abbandono. Forse per me Golem rappresenta questo, la personificazione della paura di fronte a questo tipo di sentimenti.
Nasci come giornalista d’inchiesta sociale, hai scritto per il Manifesto, il Messaggero, L’Espresso. In cosa, e quanto, il tuo lavoro di giornalista influenza quello di romanziere?
Dalla costruzione della storia al linguaggio e all’identità dei personaggi. Una mia fonte, un mio amico caro che ha passato l’infanzia per le strade di un quartiere difficile della Capitale, ama dire che “la strada ti ruba i sogni”. La strada è il luogo in cui la grammatica di sogni e speranze trova un’altra elaborazione, un’altra logica. È un altro mondo, separato e coesistente con quello che buona parte di noi vive. È un mondo che ho conosciuto attraverso l’attività di giornalista. Già allora mi aveva morso a fondo. A chi mi chiedeva di cosa mi occupassi io rispondevo prosaicamente che ero un “esperto di sfigati”. I miei argomenti erano droga, carcere, rancori sociali assortiti.
Nel romanzo emerge anche il ritratto di una Roma cupa, senza redenzione, ma verace. È la Roma della strada, delle periferie. Com’è il tuo legame con la città?
Sono un inappartenente e la mia città è la somma dei posti da cui mi sento lontano. Ci sono tanti luoghi a cui sono appartenuto per metà, tutti a Roma. Palestre di pugilato e di arti marziali da Corviale a Trastevere. Singole notti lungo singole strade. Locali in cui ho fatto sicurezza o in cui ho lavorato come operatore sociale. La mia Roma è fatta di tutte le storie che ho incontrato e che custodisco dentro di me.
Come mai hai scelto il noir come genere d’esordio? Ci sono autori di questo genere che ami o con cui ti senti più in debito?
Ho scelto il noir dopo che ho capito che volevo scrivere di strada e di strade. La strada è una linea di confine e il noir è il genere che può raccontare la più intima delle guerre. Molti dei miei personaggi rifiutano il mondo perché il mondo li rifiuta. Tutti loro si chiedono in che termini il mondo abbia ragione. La lista di autori che mi piacciono e a cui devo cose è lunghissima. Ne scelgo tre, sono molti di più. James Ellroy, un genio assoluto, l’inventore di un modo di scrivere per cui la forma della scrittura è mimetica del controllo che hanno i personaggi della storia; Ernest Hemingway (che non è di genere, però leggete Avere e non avere e ne riparliamo) perché è coraggio e grazia; Giorgio Scerbanenco, perché questo genere duro e crudo in Italia l’ha inventato lui e ancora passa la sveja a tutti quanti.
Ho apprezzato il tuo stile asciutto e conciso, ma estremamente evocativo. Cinematografico, direi. Come se gli eventi che racconti nel romanzo siano tante scene, episodi di un film. È così che li immagini durante il processo di scrittura?
Mi occupo anche di sceneggiatura, sicuramente la cosa mi influenza, però penso che l’aspetto principale sia un altro. Quando scrivo una storia le mie ossessioni sono tempo, ritmo e controllo. Creo spesso situazioni in cui i miei personaggi non sono in controllo dell’azione, o lo sono parzialmente. In quelle situazioni loro (noi) si fidano (ci fidiamo) solo di quello che si vede.
Se non sbaglio, i tuoi romanzi saranno portati anche sullo schermo…
Stiamo valutando alcune situazioni, sì. Ci sono due produzioni interessate. In questi giorni abbiamo iniziato un percorso, ancora ai primi passi, con un regista. Ancora non si può dire molto di più.
Quali progetti hai per il futuro? Puoi darci una piccola anticipazione sull’ultimo capitolo della trilogia?
Il terzo capitolo della trilogia segnerà una tappa molto importante per Ettore, chiamato, ancora una volta, a scegliere. Porto avanti alcuni progetti di sceneggiatura, sempre col mio editore, Round Robin. È arrivato poi il momento di mettermi a scrivere una storia a cui tengo molto, nella quale inciampai come giornalista, molti anni fa. Ha a che fare con la strada ma non sarà un noir.
Per quanto riguarda la piccola anticipazione, mi piacciono le aperture forti come pugni in faccia. A voi:
Voglio amare/
Senza chiedere il prezzo/
Quando fuori piove/
E non sento più un cazzo/
Non voglio cose nuove/
Se fai regali sei pazzo/
Svuota gli occhi e lasciami andare
Emanuele Bissattini
Chiara Alaia