Recensione di Mirella Facchetti
Autore: Wilkie Collins
Traduzione: Carla Vannuccini
Editore: Fazi
Genere: Narrativa
Pagine: 478 nella versione a stampa
Anno di pubblicazione: 2019
Sinossi. Amelius Goldenheart viene esiliato dalla Comunità Cristiana di Tadmor, nell’Illinois, a causa della relazione illecita con una donna più matura. Una volta giunto a Londra, al ricordo del mondo ideale dove Amelius è cresciuto e ha coltivato i suoi valori si contrappone una realtà fatta di persone senza scrupoli, fra cui spicca John Farnaby, ricchissimo e disonesto uomo d’affari. Farnaby ha preso in adozione una nipote nel tentativo di consolare la moglie, affranta per la scomparsa di sua figlia, smarrita tra le strade di Londra sedici anni prima. All’ingenuo Goldenheart basterà un solo sguardo per innamorarsi perdutamente della ragazza, anche se il loro amore verrà ostacolato dalla famiglia, che cercherà a ogni costo di tenere lontani i due giovani. Intanto Amelius, fedele a una promessa fatta alla triste signora Farnaby, si impegna a ritrovare la fanciulla smarrita della coppia. La ricerca della giovane porterà quest’uomo dall’animo candido, compassionevole per natura e capace di ispirare grande fiducia nelle donne, a perdersi per le vie della città spingendosi fin nei bassifondi. Il romanzo si snoda così in un’avvincente trama fitta di eventi e colpi di scena, che Collins dipana con l’impareggiabile abilità di sempre, rappresentando con accuratezza, e non senza una buona dose di humour, la società vittoriana del tempo.
Recensione
“Quelli che fanno solo buchi nell’acqua nella lotteria della vita, quelli che hanno sgobbato tanto per raggiungere la felicità e non hanno raccolto che dispiaceri e delusioni, quelli soli e senza amici, feriti e smarriti. … Una maniera garbata per riferirsi alle creature infelici del mondo”.
Queste sono le foglie cadute a cui si riferisce il titolo del romanzo: persone che sono ai margini della società, per scelta o per imposizione, persone che non si aspettano più niente dalla vita e che si limitano a seguire il flusso della stessa.
Sono molte le foglie cadute tratteggiate in questo romanzo, con la solita maestria, da Collins. Personaggi che incontra, nel suo percorso di crescita, il giovane protagonista Goldenheart, ragazzo, per alcuni versi ingenuo e volubile, con un cognome che ritengo non sia stato scelto a caso dall’autore.
Queste foglie cadute vedono, nello sguardo non corrotto dalla vita di Goldenheart, qualcosa a cui aggrapparsi, qualcosa in cui credere ancora. E’ ciò che accade, ad esempio, alla signora Farnaby, donna risoluta a cui la vita ha riservato una grande perdita: la figlioletta sottratta al suo amore, dopo pochi giorni di vita. Al giovane Goldenheart, la donna chiede, anzi impone, di aiutarla nella ricerca di sua figlia.
E proprio la scomparsa della piccola rappresenta, sin dalle prime battute, il cuore del romanzo: Collins apre, infatti, il libro partendo da questo antefatto: una giovane ha da poco partorito una bimba che viene rapita da un ragazzo senza scrupoli.
Ma se la partenza inchioda subito il lettore e fa emergere la voglia di indagare per scoprire la verità sul rapimento, ecco che Collins, nei capitoli successivi, si stacca da questo filone narrativo, indugia nella presentazione dei protagonisti, sui loro rapporti, sui loro pensieri politici (è un romanzo cha accanto al mistery, introduce, infatti, elementi di denuncia sociale) perdendo così quella tensione narrativa che caratterizza fortemente le prime battute.
Probabilmente, quello che rende questo romanzo meno “fluido” rispetto ad altri testi di Collins – penso ad esempio allo splendido “La donna in bianco” – è anche la difficoltà di empatizzare con i protagonisti. Mi limito ai due di cui ho parlato: Goldenheart appare, in alcuni momenti, troppo sicuro di sé e delle sue idee, troppo volubile, incline ad innamorarsi, a prima vista, anche di personaggi di poco spessore, troppo pronto a giudicare gli altri.
La signora Farnaby, che avrebbe tutte le carte in regola per far sì che il lettore parteggiasse per lei, presenta, invece, un carattere in alcuni tratti fastidioso, manipolatore e irritante che fa allontanare qualsiasi simpatia.
Questi sono gli “scogli” in cui mi sono imbattuta leggendo il romanzo, per il resto, però, Collins è sempre Collins… e la sua capacità di narrare è affascinante.
Come lettore gli potrai anche avanzare critiche per l’impianto narrativo e per le caratteristiche dei personaggi, ma essendo un grandissimo narratore alla fine ha ragione comunque lui, ti tiene incollato al romanzo e in un batter d’occhio ti ritrovi ai capitoli finali senza nemmeno accorgertene.
Wilkie Collins
considerato il padre del genere poliziesco, Wilkie Collins, figlio del pittore di paesaggi William Collins, nacque a Londra l’8 gennaio 1824. Dopo aver cercato senza successo di intraprendere una carriera commerciale, studiò legge e nel 1851 ottenne l’abilitazione all’avvocatura. Non praticò però mai la professione legale e utilizzò la conoscenza del crimine nei suoi scritti. Oltre alla passione per la scrittura, coltivò anche quella per la pittura, ed espose le sue opere alla Royal Academy in una mostra nell’estate del 1849. Nel 1852 conobbe Charles Dickens, con il quale iniziò una duratura amicizia. Autore particolarmente prolifico, scrisse venticinque romanzi, più di cinquanta racconti, numerose opere teatrali. Dedicò la sua prima opera al padre, morto nel 1847, “Memoirs of the Life of William Collins”, edita l’anno successivo. Pubblicò poi due romanzi: “Antonina” nel 1850 e “Basil” nel 1852. Il primo romanzo maturo risale al 1860: “La donna in bianco”, complicatissimo romanzo a tinte forti ispiratogli da un fatto personale realmente accaduto e improntato agli influssi balzachiani. Il suo capolavoro fu però “La pietra di Luna”, del 1868, appassionante romanzo raccontato a più voci in cui si narra di un prezioso gioiello andato perso e dell’onore di una ragazza che rischia di essere macchiato. Fra gli altri suoi romanzi si ricordano: “Senza nome”, “La Legge e la Signora”, “Armadale”, “Il fiume della colpa”, “La veste nera”, “Uomo e donna” e “Foglie Cadute”. A partire dal 1870, anno della morte di Dickens, la fama di Collins cominciò a scemare, iniziò a soffrire di artrite, finì col diventare dipendente dall’oppio, sviluppò una sindrome paranoica che lo portò a credere di essere sempre accompagnato dal suo alter ego. Non si sposò mai, ma intrattenne relazioni durature con due diverse donne: la vedova Caroline Graves, conosciuta nel 1958 e con la quale convisse per molti anni, e Martha Rudd, con la quale ebbe tre figli. Morì il 23 settembre 1889 e venne seppellito al Kensal Green Cemetery.
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