Recensione di Elvio Mac
Autore: Luca Crovi
Editore: Rizzoli
Genere: Gialli e Thriller
Pagine: 240
Anno di pubblicazione: 2020
Sinossi. Gennaio 1929. Mentre il Generale Inverno assedia Milano e la avvolge di bianco, il pugno di ferro della milizia fascista cala sulla città che sta cambiando da un giorno all’altro. Automobili invadono le strade, vicoli cedono il posto ai boulevard e il Naviglio interno soccombe sotto le nuove coperture in pietra. Ma non tutti piegano il capo. Alla Scala Arturo Toscanini si rifiuta di eseguire gli inni al re e al duce convinto di dover suonare ben altra musica. Nei vecchi quartieri i “bravi ragazzi” della mala meneghina rispondono agli sgherri di Mussolini. E nella questura di piazza San Fedele il commissario Carlo De Vincenzi non si lascia ingannare da chi vuole depistarlo. Una donna è stata trovata cadavere davanti alla Colonna del Diavolo, vicino alla basilica di Sant’Ambrogio, e il caso rischia di compromettere alcuni membri del Partito. La successiva morte di un barcaiolo, che sta trasportando un ultimo carico di carta verso il Tombon de San Marc, prima dell’interramento del Naviglio, sembra a tutti un incidente. Ma non a De Vincenzi, e nemmeno ai malnatt della ligéra che della gran Milan conoscono l’anima e la lingua segreta. Dopo L’ombra del campione, Luca Crovi rimette in scena un’icona del giallo italiano, il celebre poliziotto creato da Augusto De Angelis tra i Trenta e i Quaranta, componendo il canto del cigno di un mondo al tramonto, di una variopinta umanità che affrontava la vita con coraggio e sbeffeggiava il potere con una risata.
Recensione
L’incipit del libro riporta il vero decreto applicato per chiudere i canali navigabili di Milano. Sono pochissime le persone che in quel periodo intervennero per opporsi alla chiusura del Naviglio perché stava esplodendo il desiderio di modernità con l’avvento delle automobili, una delle ossessioni di Milano. I grandi rotoli di carta per la stampa del quotidiano milanese, furono l’ultimo carico che transitò attraverso il Naviglio.
Quante storie dentro questo romanzo. La prima riguarda l’autodromo di Monza, una storia di coraggiosi piloti e vecchi poteri di politicanti, un po’ come oggi. Alcune vicende sono più toccanti di altre, come quella dell’accoglienza dei profughi della Grande Guerra che vide la città di Milano dare un grosso contributo.
Per raccontare questo periodo c’è stata una ricerca profonda, una ricostruzione con documenti originali, fonti certificate, raccontate nel libro come le sequenze d’orchestra del maestro Arturo Toscanini.
Ci sono tante voci di persone della Milano di quel periodo, voci arrivate dai nonni, da racconti tramandati da amici. Si parla molto di Mussolini, ma alle sue parole vengono concesse poche righe, la maggior parte riguardano la sua passione per il violino, strumento musicale che suonava quando era da solo e che stranamente non fu mai argomento discusso con il maestro Toscanini.
Milano fino al 1931 è una città che risponde al fascismo, non si lascia soggiogare facilmente, anche se la vera rivoluzione la fece durante la guerra. Si sente l’aria estremamente tesa, la paura di dire e parlare contro il regime. Per questo la ricostruzione del volo di Bassanesi su piazza Duomo con il lancio di volantini pieni di slogan contro il fascismo, diventa simbolo di speranza, un modo per incitare il popolo a reagire. Molti fatti storici realmente accaduti, sono stati dimenticati o poco descritti a causa della censura di quel tempo.
Alcuni giornali come Il Corriere della sera raccontarono il volo, anche se l’agenzia Stefani che gestiva l’informazione, provava a mettere a tacere le notizie non gradite. I giornali non di partito fino ad un certo punto dell’ascesa del fascismo, ebbero il coraggio di raccontare com’era davvero la realtà.
Questo libro parla di cose brutte accadute nel passato, non è nostalgico, ma lascia un senso di mancanza di umanità che oggi non c’è più. Il rapporto tra polizia e criminali a quei tempi aveva qualcosa di nobile. La ligéra aveva un codice di comportamento che anche la polizia rispettava, quindi poteva capitare che durante gli interrogatori, se si recuperava la refurtiva, o si ottenevano certe informazioni, il ladro non finiva dentro.
C’erano una dignità ed un rispetto assoluto per i vecchi mestieri, i materassai, i fruttivendoli, i muratori. Uomini che durante Il generale inverno del 1929 non si fermarono un solo giorno. In quelgelido periodo, ci fu una città che lavorò all’unisono per combattere la neve, tutti spazzavano e rimediavano ai disagi, mentre le città adiacenti erano bloccate. Il più grande freddo che coprì l’Europa, non fermò Milano che continuò a muoversi grazie ai tram.
Come dice lo stesso autore, durante la lettura si aprono un sacco di porticine, ognuna di esse permette di dare uno sguardo autentico su Milano. Qui c’è l’imbarazzo della scelta: piazza Giulio Cesare, il quartiere Bottonuto che non esiste più, Madre Ravera, la colonna del diavolo, la bacchetta di Toscanini, il vino Mariani. Ci sono tantissimi dettagli, dietro a ognuno dei quali c’è una storia documentata. Ci sono particolari eccezionali che mi hanno incuriosito a tal punto da andare a verificarli e per ognuno ho trovato riscontri.
Anche se il poeta del crimine, ovvero il commissario De Vincenzi è cresciuto molto in questo secondo libro, ho trovato la città di Milano come vera protagonista, con tutto quello che succede dentro ad essa.
Sono rimasto impressionato dall’autenticità della narrazione, così ho cercato qualche intervista all’autore, e mi ha colpito la sua preparazione, la sua cultura e la sua capacità di raccontare cosa c’è dietro la costruzione di una storia. I toni sono leggeri e piacevoli, ma le cose che succedono sono dure, fanno provare rabbia, fastidio per le ingiustizie che non hanno età.
Crovi racconta basandosi su quello che pensavano i poliziotti dell’epoca, come Carmelo Camilleri, il prozio di Andrea Camilleri, inserito perfettamente ad un certo punto della storia. C’è questa capacità dell’autore di omaggiare molte persone trascurate e ridare una coscienza civile a personaggi che erano ritenuti inadeguati o traditori.
Il romanzo è una specie di mosaico, con tante parti che formano un disegno netto, anche se il percorso non è lineare. Ogni capitolo ha un inizio e un finale, ma potrebbero essere letti non in sequenza. E’stata usata una tecnica narrativa con la sospensione del racconto alla fine, che permette di non dilungarsi nella storia, che risulta facilmente leggibile e che si può interrompere facilmente e riprendere senza problemi.
Che bella questa Milano, quella dove si festeggia con la michetta ripiena di salame e con un bicer de latt, e basta dirlo così per assaporarne quasi il sapore, per immergersi in un tempo andato.
Lo sguardo sulla città la rende protagonista e con lei un contesto sociale descritto in maniera molto precisa. Milano è raccontata dal basso, per questo lascia un senso di immedesimazione. Per qualche ora, sono stato a spasso per Milano, una città molto vicina ma che non conosco, Crovi è riuscito a suscitare interesse per ogni angolo citato.
Ci sono diversi paragrafi in dialetto milanese e alcune espressioni colorite che, se non comprese, sono poi spiegate in italiano. Se qualche personaggio famoso è passato da Milano, state certi che l’autore lo scova e lo incastona magistralmente nei suoi racconti.
La vecchia Milano, quella di un tempo, è pericolosa da raccontare, perché è stata mitizzata e perché chi la racconta non l’ha vissuta, quindi il rischio di fallire è elevato. La grandezza di Crovi è anche nello studio profondo, ogni parola potrebbe essere dimostrata o testimoniata, questo gli dona una credibilità totale.
Bravo davvero!
A cura di Elvio Mac
Luca Crovi
critico rock e conduttore radiofonico, è laureato in Filosofia con specializzazione in Storia Antica presso l’Università Cattolica di Milano. Dopo aver lavorato per le case editrici Camunia e Garzanti è diventato redattore presso la Sergio Bonelli Editore, dove dal 1993 si occupa della collana Almanacchi. Contemporaneamente ha svolto l’attività di critico musicale per “Italia Oggi”, “Il Giornale” e “Max”. Ha debuttato come autore con un racconto dal titolo Bietole al forno uscito nell’antologia Misteri (1992, Camunia), dopodichè si è dedicato allo studio delle origini e degli sviluppi della narrativa poliziesca in Italia pubblicando prima il saggio Delitti di carta nostra. Una storia del giallo italiano (2000, Edizioni Puntozero) e poi l’antologia del brivido L’assassino è il chitarrista, curata assieme il musicista Franz Campi (2001, Edizioni Puntozero). Per Marsilio ha realizzato la monografia Tutti i colori del giallo (2002), libro che si è poi trasformato nel 2003 nella omonima fortunata trasmissione radiofonica di Radiodue insignita nel 2005 del prestigioso Premio Flaiano. Ha pubblicato con Stefano Priarone i saggi Mr. Fantasy. Il mondo segreto di J.R.R. Tolkien (2003, Passigli) e Stephen King. L’Uomo Vestito di Incubi (2004, Aliberti) mentre con Seba Pezzani ha siglato il “rock thriller in salsa olandese” Tuttifrutti (2004, Passigli). Nel corso di ricerche d’archivio, ha ritrovato Il paese senza cielo di Giorgio Scerbanenco, e ne ha curato la riedizione per Aliberti Editore nel 2003, così come assieme allo studioso Claudio Gallo si è occupato del rilancio editoriale di un feuilleton nero come I ladri di cadaveri di Jarro (2003, Aliberti). Ha scritto racconti noir per le antologie La minestra sul cortile (2006, Coniglio), Anime nere (2007, Mondadori) e Uccidere per sport (2008, Todaro) e siglato sceneggiature a fumetti per i volumi I vizi di Pinketts (2003, Edizioni Bd), Arrivederci, amore (2005, Vents D’Ouest), Laggiù nel profondo (2007, Edizioni Bd), e Fantômas – Le nuove avventure (2006, Edizioni BD), misurandosi per l’occasione con personaggi nati dalla fantasia di Andrea G. Pinketts, Massimo Carlotto, Joe R. Lansdale e Marcel Allain e Pierre Souvestre e lavorando con disegnatori come Maurizio Rosenzweig, Andrea Mutti e Angelo Busacchini. Nel 2013 pubblica (per Garzanti) Noir. Istruzioni per l’uso, mentre nel 2018 esce per Rizzoli il giallo di ambientazione milanese L’ombra del campione.
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