La figlia ideale




Recensione di Francesca Mogavero


Autore: Almudena Grandes

Traduzione: Roberta Bovaia

Editore: Guanda

Pagine: 560

Genere: Narrativa

Anno di pubblicazione: 2020

Sinossi. Nel 1954 Germán Velazquez Martín decide di tornare a casa. Aveva lasciato la Spagna un attimo prima della caduta della Repubblica grazie all’aiuto del padre, illustre psichiatra perseguitato dai franchisti. Negli anni dell’esilio in Svizzera, Germán si è laureato e in seguito ha condotto una importante sperimentazione su un nuovo farmaco. Per questo gli hanno offerto un posto nel manicomio femminile di Ciempozuelos, vicino a Madrid, dove ritrova Aurora Rodríguez Carballeira, che era stata la più enigmatica fra le pazienti di suo padre. Colta e intelligentissima, Aurora era affetta da una grave forma di paranoia che l’aveva condotta a compiere il più atroce dei gesti. Condannata per l’omicidio della figlia Hildegart, Aurora vive da anni in uno stato di apatia, interrotto solo per fabbricare inquietanti pupazzi di stoffa… Scardinare le difese di una mente così intricata sarebbe impossibile senza un alleato, ma Germán può contare su María, infermiera ausiliaria già messa a dura prova dalle esperienze della vita, malgrado la giovane età. Per lei infatti Aurora ha una considerazione particolare, insieme trascorrono lunghi pomeriggi studiando le piante e consultando il mappamondo alla ricerca di posti lontani. Sfidando le convenzioni, lo psichiatra si avvicina a María, finché tra i due nasce un sentimento puro e fragile, che per sopravvivere dovrà sottrarsi alle ombre del passato di entrambi. Gli anni Cinquanta in Spagna furono anni ingrati, in cui tutto era peccato e peccare era reato: una realtà cupa, asfissiante, su cui Almudena Grandes apre uno squarcio, raccontando la storia di un uomo e di una donna che hanno avuto il coraggio di opporsi alla dittatura – anche dei sentimenti – che strangolava il paese.

Recensione


È facile dare della “matta” a una persona. Troppo.

Da sempre – da troppo, di nuovo – matto è chi esula dalla “norma” (che cosa sia, poi, questa “norma”, è tutto da vedere), chi fa eccezione alla regola; matto, o pazzo, strambo, originale, bizzarro, è chi sfida, magari senza saperlo, le convenzioni, chi trova il “si può fare” dietro il proibito, chi pratica la stregoneria o forse è solo fuori tempo, troppo avanti, chi fugge dalla folla o al contrario la ricerca e la sbeffeggia, chi si sfoga nell’arte o nel silenzio, chi sente le voci e chi non può parlare, chi è malato. Quante sfumature dietro una definizione semplicistica e vuota.

Tuttavia, se la parola mollata a vanvera come uno schiaffo fa male, ma, il più delle volte, non ha conseguenze (basta non ascoltare), negli anni Cinquanta (e anche oltre), nella Spagna franchista (e lì come altrove) una definizione di poche lettere su una cartella clinica può segnare a vita e fare da tappeto rosso – ma di quelli sudici, sotto i quali vivono colonie di acari e di orrori – all’ingresso in manicomio. Una porta ampia, che si spalanca e inghiotte con facilità, ma il cui meccanismo opposto è stranamente inceppato… soprattutto per le donne.

Madri mancate o considerate inadatte, spose scomode, figlie dallo sguardo appannato o acceso di curiosità, sete di studio e di indipendenza, figure solitarie, “zitelle” dallo status inammissibile, fardelli, bocche in eccedenza: i corridoi di luoghi come Ciempozuelos ne sono lastricati, come l’inferno di buone intenzioni. Spazi vuoti, freddi, popolati di fantasmi che ancora respirano, ma senza possibilità di trovare pace e riscatto.

Germán arriva nella struttura armato di ideali, esperienza e clorpromazina, un medicinale ancora sperimentale, ma dagli effetti quasi miracolosi sui pazienti schizofrenici, e ritrova una terra d’origine uguale e allo stesso tempo irriconoscibile: ai sapori e al sole dell’infanzia si è sovrapposto un regime oppressivo e ossessivo che, a braccetto con un credo invadente e ipocrita, invade il pubblico e il privato, osteggiando qualsiasi cambiamento, vedendo peccati e minacce dietro ogni angolo, dietro ogni pensiero, sguardo, espressione.

Soprattutto una presenza è rimasta invariabile, inamovibile, instancabile nel suo delirio paranoide e nei suoi progetti: donna Aurora, madre assassina, coltissima e inquietante. Personaggio realmente esistito, protagonista di cronache, libri e film, che tra queste pagine emerge come una Medea sul palcoscenico della nostra epoca: terribile, drammatica, al di là del bene e del male. Una principessa da fiaba oscura, quasi del tutto abbandonata a un sonno chimico, che il giovane psichiatra saprà risvegliare.

Ma ogni novità, ogni passo su strade non battute, ogni rivoluzione, anche quella più piccola, consumata tra mura private, richiede coraggio e rinunce, comporta pericoli, battaglie, sacrifici: possono un uomo solo, un gruppo di colleghi e amici che prende gusto a “delinquere”, un amore fragile e dolce accettare la sfida e uscirne incolumi, vivi non solo nel corpo, ma prima di tutto nello spirito, restare liberi e fedeli a se stessi?

Con La figlia ideale Almudena Grandes firma il quinto capitolo della serie storica Episodi di una guerra interminabile”, opere indipendenti che raccontano il franchismo con gli occhi di personaggi differenti, ma tutti potenti e profondi: in questo romanzo emergono le donne, dalle chicas topolino, ragazze alla moda diventate fenomeno sociale e antesignane dell’emancipazione, alle “perdute”, le dimenticate, le “pazze”, che vedono più lontano e meglio della massa, le eterne lottatrici che proprio per la loro energia, l’abnegazione e la passione sono già vincitrici in partenza, comunque vada.

 

A cura di Francesca Mogavero
 
wwwbuendiabooks.it

Almudena Grandes


è nata a Madrid nel 1960. Presso Guanda sono usciti: Le età di Lulù, caso letterario e best seller internazionale, Ti chiamerò Venerdì, Malena, un nome da tango, Modelli di donna, Atlante di geografia umana, Gli anni difficili, Troppo amore, Il ragazzo che apriva la fila, Cuore di ghiaccio, Inés e l’allegria, Il ragazzo che leggeva Verne, I tre matrimoni di Manolita, I baci sul pane e I pazienti del dottor García.

 

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