A tu per tu con l’autore
Tu sei veneziano e ami molto il tuo territorio, lo si sente: anche nel tuo romanzo precedente c’è la laguna, con tutta la sua poesia. Quello che è successo un anno fa, quel 12 novembre 2019, lo hai vissuto in prima persona? E’ per questo che hai voluto raccontarlo?
Al di là del fatto che solo un pazzo potrebbe non amare Venezia, diciamo che non è semplice raccontarla; è una grande prova, una grande responsabilità, anche vivendoci. Dopo aver scritto tanti romanzi lontani, da Van Gogh alla resistenza al nazismo in Norvegia, ci ho provato nel 2019 con “Le ultime lezioni” che tu citavi e a cui sono davvero molto affezionato; la storia di Jacopo e del suo professore di liceo. Non avevo invece nessun progetto di scrivere un libro sull’acqua alta, ma l’acqua alta è arrivata, e quell’evento ci ha davvero travolti. È stato enorme, non ho potuto fare a meno di scrivere.
Nella storia non c’è solo l’apocalisse che si è scatenata su Venezia, ma anche la storia dell’immensa solidarietà che l’ha seguita. Succedono insomma altre cose eccezionali, eccezionali come lo è stato l’avvenimento che le ha innescate. La città come ha reagito?
Proprio questo credo che mi abbia spinto. Quell’evento è stato eccezionale per due diverse ragioni. La prima è l’acqua alta in sé. La misura eccezionale (187 centimetri sul medio mare), la distanza dalle previsioni (42 centimetri in più), la velocità con cui è salita, il maltempo che l’ha accompagnata. Questo sfacelo è stato visto da tutto il mondo, che si è commosso. Quello che il mondo non ha visto, che forse non è stato davvero raccontato, è invece quel che è successo dopo; la reazione straordinaria, istintiva, dei veneziani. Migliaia di piccoli gesti, di solidarietà, d’amore, di allegria, non potevano andare persi. Ci fa bene ricordarli, ne sono sicuro, in questi tempi difficili.
E naturalmente c’è Vittorio, il libraio, e la sua Moby Dick, dal nome evidentemente evocativo, che cerca di salvare i suoi libri dall’acqua che li gonfia, li sommerge, li uccide. Come hai scelto il tuo protagonista per raccontare l’acqua granda?
Vittorio è un personaggio d’invenzione. È “il” libraio indipendente, quello che vive per i suoi libri, che lotta per salvare i suoi libri. Un po’ scontroso e goffo, un po’ tenero ed energico. Ma in Vittorio ci sono i librai veri, che sono peraltro poi presentati in coda al volume, con una guida alle librerie indipendenti veneziani. Vittorio è un simbolo; dei librai, ma direi di tutti i commercianti così tragicamente colpiti in quest’anno. Certo, i libri hanno un posto speciale, non solo per quello che significano, ma proprio perché con l’acqua lottano come giganti. I libri non si possono lavare, si devono salvare pagina a pagina.
Poi c’è la storia d’amore…Vittorio e Sofia. Ma anche Venezia e i veneziani?
L’amore è sempre quello che spinge a fare le cose grandi. L’amore per una donna, per le proprie cose, per la propria città. Spero che molti riescano a trovare ne “Il libraio” la Venezia che non sanno che esiste. Una Venezia fatta di persone, piccoli eroici fortunati lottatori. Una Venezia che è il motivo per cui ci vivo; certo, lo splendore di San Marco, di Rialto, della laguna. Ma anche le piccole botteghe, le persone ironiche, spiritose, avventurose e scaltre come i personaggi di Hugo Pratt.
Rosalba è un personaggio così tipico di Venezia: l’anziana che guarda da dietro il vetro quello che succede da basso. Non ci sono ascensori a Venezia e se le gambe non ti reggono, resti prigioniero di scale che non puoi scendere né salire. Ma gli occhi possono vedere, e a Venezia sotto le finestre ne succedono di cose…Hai scelto lei per raccontare in prima persona la tua storia…
Io credo che la meraviglia dei giorni dell’acqua alta, in una città abitata perlopiù da anziani, sia stato l’enorme numero di giovani che, da Venezia ma anche da fuori, è corso ad aiutare; a sgomberare magazzini, pianterreni, a pulire e lavare prima che l’acqua salsa corrodesse i pavimenti. Ma non bisogna dimenticare che tutti hanno dato una mano, anche quelli più in là con l’età. Non sveliamo cosa fa Rosalba, ma basterebbe così poco per far migliori le città in cui viviamo. Specie in un’epoca in cui davvero a tutti è stato chiesto di darsi una mano, non solo ai più giovani. Quanti medici rientrati dalla pensione stanno tenendo in piedi i nostri ospedali? Il libraio, forse senza volerlo, parla di questo: non è solo il racconto speciale di Venezia, ma anche il profilo universale di come si reagisce a una grande emergenza, con unità, pianti e risa, facendo cose che non si pensava si sarebbe stati in grado di fare.
Giovanni Montanaro
Sara Zanferrari
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