A cura di Salvatore Argiolas
Edgar Allan Poe viene considerato il creatore del genere giallo, di detection con i racconti che hanno come protagonista monsieur Dupin e allo scrittore americano si è ispirato Taro Hirai, il padre del giallo giapponese in quanto lo pseudonimo con il quale è più conosciuto, Edogawa Ranpo è la trascrizione fonetica di Edgar Allan Poe.
Il Giappone è uno dei maggiori “consumatori” di gialli al mondo, romanzi d’importazione ma anche gialli scritti da narratori nipponici. In Oriente, soprattutto in Cina ma anche in Giappone esiste una tradizione antichissima di storie imperniate su giudici che compiono inchieste che spesso sconfinano in indagini poliziesche.
Nel 1923 Edogawa Ranpo pubblica un racconto poliziesco, “Nisen Doka” “La moneta di rame da due sen” e il successo avuto lo spinse a scrivere altri mystery creando la scuola giapponese della detection story.
Infatti il Club degli autori di polizieschi del Giappone, fondato da Edogawa Ranpo, accoglie centinaia di di scrittori professioni che si rifanno alla storia letteraria del loro paese fornendo tantissime variazioni sul tema del giallo.
Nel suo “Queen’s Quorum: A History of the Detective Crime Short Story”del 1951 dove passava in rassegna i migliori giallisti del mondo Ellery Queen lo nominava, ponendolo tra Agatha Christie e Edgar Wallace.
Questi sono alcuni suoi lavori tradotti in italiano:
“La belva nell’ombra”, “Morte di un sonnambulo”, “Il mostro cieco”, “La poltrona umana”, “La strana storia dell’Isola Panorama” e “Il demone dai capelli bianchi”.
Si possono identificare tre generi principali che contraddistinguono i gialli del Sol Levante:
il “Tantei” o giallo enigma, il Suiri, giallo psicologico il cui maggior rappresentante è Seicho Matsumoto e il nuovo giallo sociale, rappresentato da Seiichi Morimoura, Yoh Sano e Shizuko Natsuki.
Pur nelle diverse caratteristiche tecniche e di stili, i giallisti giapponesi cercano quella che Junichiro Tanizaki chiamava “la bellezza architettonica del romanzo”.
Anche se è noto per altri generi narrativi Tanizaki amò molto i gialli e nella sua produzione giovanile ci furono diversi racconti di genere ma anche in seguito l’autore di “La chiave” fece ricorso a elementi riconducibili al “tantei shosetsu” anche in romanzi che non sono gialli e che però sfruttano all’interno della trama delle peculiarità del romanzo d’investigazione.
L’appartenenza dei racconti di Tanizaki al genere poliziesco è legittimata nel 1929 con la pubblicazione di due raccolte, “Jun’ichiro hanzai shosetzu shu” (Raccolta di romanzi del crimine di Jun’ichiro) e “Nihon tantei shosetsu zenshu” (Raccolta di romanzi polizieschi giapponesi).
Seichō Matsumoto
Seichō Matsumoto è uno dei più noti autori di gialli in Giappone e lentamente sta raggiungendo una certa notorietà anche in Italia. Discostandosi dal tradizionale stile dei polizieschi Matsumoto integra nelle trame elementi di critica sociale mettendo in luce aspetti poco edificanti come la corruzione nelle forze dell’ordine, il rigido schematismo della società nipponica e la corsa all’arricchimento di piccoli e grandi industriali.
I gialli di Seichō Matsumoto hanno spesso come indagati non solo i criminali ma anche le storture della società giapponese che vengono indicate come complici.
Il suo romanzo più è senza dubbio “Tokyo express” che è stato pubblicato in italia anche con il titolo di “La morte è in orario”.
“Tokyo Express”, romanzo d’esordio di Seichō Matsumoto, scritto nel 1958 è un compendio di diversi stilemi del giallo classico, non ultimo quello del “giallo ferroviario” (anche se qui il crimine non avviene in treno ma la ferrovia fornisce l’alibi) frequentato dai più grandi giallisti a partire da Agatha Christie con “Assassinio sull’Orient Express” ma anche con “Il mistero del treno azzurro” e altri racconti, oppure da Freeman Wills Crofts con “Il mistero dell’espresso della notte”.
Diversamente dal giallo all’inglese però non è un “whodunit” perché il colpevole si intuisce quasi subito ma una “inverted detective story” o “howcatchem” (à la “Colombo”) dove il nucleo d’interesse del plot è capire come il crimine sia potuto accadere e soprattutto trovare le prove necessarie.
Quello che colpisce di questo giallo è la fiducia totale nell’affidabilità delle ferrovie nipponiche (nel 1958), in quanto tutto il meccanismo dell’inganno ruota su una finestra di quattro minuti di vuoto nella grande stazione di Tokyo. Un’altra peculiarità è l’abduzione che consente ai tenaci investigatori di risolvere il caso, non essendoci nessuna prova contraria alla teoria iniziale del doppio suicidio.
In definitiva è un giallo che convince e anche quelle tabelle orario delle ferrovie hanno un certo fascino nonostante la complessità della rete considerando che tra Fukuoka e Sapporo ci sono più di 2.000 chilometri.
Ciò non sorprende visto che Matsumoto in Giappone ha la stessa fama di celebri giallisti come Ellery Queen o la stessa Agatha Christie.
Sull’onda del successo di vendite di “Tokyo Express” Adelphi ha pubblicato “La ragazza del Kyushu”, pubblicato in Giappone nel 1961 e per la prima volta in Italia nel 2019, un giallo psicologico che esplora le dinamiche susseguenti ad un delitto e i rapporti tra chi dovrebbe indagare e non l’ha fatto e chi subisce le conseguenze di questa ignavia.
Kiriko giovane impiegata di K. città della periferica regione meridionale del Kyushu (che poi è Kitakyushu, città natale di Matsumoto) arriva un giorno a Tokyo per un compito importantissimo. Deve convincere il famoso avvocato Kinzo Otsuka a difendere il fratello accusato ingiustamente di aver ucciso a bastonate una vecchia avida usuraia.
Questo delitto ricorda immediatamente “Delitto e castigo” di Dostoevskij come se Matsumoto ne volesse fare la moderna versione nipponica.
Soji Shimada
In Italia sono stati pubblicati anche “Come sabbia tra le dita”, uno dei suoi gialli migliori che vede come protagonista l’ispettore Imanishi, “Agenzia A” e “Un posto tranquillo” appena edito da Adelphi.
Un altro autore nipponico di sicuro interesse è Soji Shimada noto per il suo “Gli omicidi dello zodiaco”,(“Kaitei kanzenban senseijutsu satsujin jiken”), sua opera prima del 1981, un giallo straordinario che. malgrado alcune pecche, colpisce per l’integrazione di diverse tematiche e la complessità della trama.
Il romanzo si snoda due piani temporali, quello dei delitti avvenuti nel lontano 1936 e quello dell’indagine finale che si svolge nel 1979.
Abbiamo quindi un “caso freddo” che all’epoca fece scalpore e due investigatori, plasmati sulle figure di Holmes & Watson, che indagano all’inizio solo sui documenti dell’epoca ricordando certe figure di “Armchair detective” come il Dupin del “Mistero di Maria Roget” o “il vecchio nell’angolo” della baronessa Orczy.
I delitti dello zodiaco sono tre casi separati, uniti solo dalle vittime che facevano tutte parte della famiglia del primo assassinato, lo stravagante artista Umezawa.
In poco tempo vengono uccise anche altre sette donne e tutto il Giappone segue con ansia e interesse le indagini che non portano a nessun risultato.
Solo il colpo di genio dell’astrologo Mitarai riesce a diradare ogni dubbio portando in luce la persona colpevole.
Benché venga venduto come una delle migliori camere chiuse di tutti i tempi proprio questa tematica è la più debole e la meno convincente anche se tutto il romanzo, basato su documenti e testimonianze dell’epoca, è avvolto da una nebbia ingannatrice.
In ogni caso “Gli omicidi dello zodiaco” è un giallo ben congegnato con diversi passaggi davvero intriganti.
Sta diventando familiare in Italia anche il nome di Keigo Higashino, autore di culto in Giappone e conosciuto per ottimi thriller come “Il sospettato X”, “Il sole di mezzanotte e “Filastrocca per l’assassino” dove Higashino ha ceduto al fascino delle filastrocche nei gialli.
Per ambientato in Giappone “Filastrocca per l’assassino” ha il sapore dei vecchi gialli all’inglese e per non farsi mancare niente contiene anche una pregevole “camera chiusa”.
Sono particolarmente brillanti le due protagoniste, Makoto e Naoko ragazze scaltre e astute che riescono a risolvere l’enigma pur essendo basato su tradizioni anglosassoni estranee alla loro cultura ma il loro approccio deduttivo di supporto alle indagini della polizia porta a risolvere il caso di diverse morti sulle rime di una filatrocca.
“Chi ha ucciso il pettirosso?”
“Io rispose il passero”
Anche questa volta sono le filastrocche di Mamma Oca a popolare la trama ma stavolta il giallo è ambientato in Giappone e l’ambientazione è fiabesca, incentrata su una eccentrica casa all’inglese, riconvertita in una pensione in alta montagna chiamata “Mamma Oca”.
Due ragazze cercano di capire i motivi dello strano suicidio del fratello di una di loro e nell’indagine si imbattono in una catena di filastrocche che le porteranno a scoprire un segreto antico che però causa ancora vittime.
Seishi Yokomizo è stato un giallista di ispirazione occidentale che ha utilizzato per i suoi gialli i luoghi canonici della detection classica all’inglese.
In questo suo romanzo si è proposto di trovare un originale diversivo al topos del cadavere sfigurato e lo fa ricreando un mondo molto intrigante al confine tra passato e presente.
E’ particolare anche il suo eroe, il detective Kindaichi, trasandato, irritante, balbuziente, scostante e infallibile.
Sembra strano ma in ogni giallo giapponese è presente o una locanda oppure una ferrovia e “La locanda del Gatto nero” non fa certo eccezione presentando un mistero che solo la capacità logica del detective Kindaichi riesce a sondare inchiodando il responsabile di tante morti al suo meritato castigo.
Più racconto che romanzo questo giallo è un pochino al di sotto delle aspettative e del precedente “Il detective Kindaichi”, che con “L’ascia, il koto e il crisantemo” sono i soli gialli tradotti in italiano anche se Yokomizo gode di una vasta popolarità in patria dove viene chiamato il John Dickson Carr giapponese” per la sua spiccata predilezione per le trame complesse che si avvicinano a quelle dello scrittore americano.