A tu per tu con l’autore
Inizio facendoti i miei complimenti per questo tuo primo romanzo, che si è fatto leggere con un piacere assoluto. Mi sono trovata da subito in sintonia con l’ispettore Takeshi James Nishida, forse anche per una certa affinità di carattere, mi riferisco al suo lato più indisponente, ovviamente!Sono rimasta letteralmente rapita dalla storia e dall’uomo. Per quanto riguarda la storia ho apprezzato moltissimo la semplicità con cui i fatti si sono avvicendati, in una successione temporale lineare, salvo poi inserire qualche flash per dare maggiore completezza, fornendo così il pezzetto mancante del puzzle. Per quanto riguarda il personaggio, beh, mi è semplicemente piaciuto così com’è. In che ordine ha preso vita “L’ombrello dell’imperatore”? Partendo da una storia alle quale sono poi stati inseriti luoghi e personaggi o al contrario, iniziando da Nishida a cui poi è stato semplicemente realizzato un palcoscenico tutt’attorno?
La storia è iniziata dall’ombrello. Nishida è nato molto dopo. Quando mi stabilii in Giappone infatti, notai quasi subito questi ombrelli trasparenti molto particolari. Mi resi conto anche di come venivano spesso persi, scambiati, o perfino rubati a volte all’esterno magari di qualche supermercato. Erano usa e getta insomma. Così mi dissi che, con un po’ di fantasia, potevano finire proprio in mano a chiunque. Dall’uomo comune all’imperatore. E sarebbe stato interessante usare questa scusa per raccontare un po’ il Giappone di oggi attraverso una serie di personaggi stereotipi. Poi però, quando mi sono messo a scrivere, ho pensato che sarebbe stato ancora più interessante, forse, se quest’ombrello fosse stato ritrovato sulla scena di un crimine.Così è nato Nishida.
Per quanto riguarda lui, l’ispettore, è sicuramente una figura che spicca per le qualità che lo contraddistinguono, a partire dalla stazza fisica, per poi proseguire verso il suo carattere a tratti nipponico e a tratti decisamente occidentali. In che momento ti è comparso davanti agli occhi, così com’è in pregi e difetti, in tutta la sua interezza? Nonostante già da solo si presenti come un bel miscuglio di qualità talvolta anche di difficile convivenza fra di loro, sei riuscito comunque a dargli anche un po’ di italianità nascosta, qualcosa dello stesso Tommaso Scotti che lo contraddistingua?
Per quanto riguarda me stesso, forse solo un po’ la schiettezza generale. Sono sempre stato uno che non si fa problemi a dire le cose in faccia, e sono sempre molto aperto al confronto. Specie quando credo di avere ragione. J Scherzi a parte, devo dire che in Nishida non ho messo nulla che sia palesemente riferito a me stesso, perlomeno non in maniera volontaria. Sicuramente è un personaggio a tratti un po’ malinconico, cosa che sono molto anche io. La cosa che di certo abbiamo in comune è un po’ questo “conflitto” dell’avere una mentalità occidentale in un paese come il Giappone. Anche se per lui questo vale solo a metà. Devo dire comunque che Nishida non mi è mai “comparso davanti agli occhi così com’è”, ma si è sviluppato pian piano.
Uno dei tuoi personaggi, ad un certo punto fa una riflessione forte, che di fatto appare come un grido d’aiuto tardivo: “Detestava quella società, quelle regole, quel freddo che traspirava dalla pelle delle persone anche nelle estati più calde. Detestava il silenzio durante le cene in famiglia. Silenzio che era sempre meglio del vuoto di certe conversazioni, nelle rare occasioni in cui ce n’erano…”. Nel tuo libro, si parla di Hikikomori, un problema molto serio che tende ad allontanare dalla realtà i giovani che finiscono per caderci, finendo per confinarli dentro quattro mura davanti a computer e a realtà alternative. È veramente così diffuso in Giappone? Secondo te, quali sono le principali cause di questo disagio ed è vero, che anche questa tradizionale “distanza” di rapporto in famiglia lo abbia amplificato?
Il problema degli hikikomori è effettivamente davvero molto diffuso. Si parla anche di più di mezzo milione di persone. Senza contare che con tutto quello che è successo nel 2020, sembra che il fenomeno sia persino peggiorato. Per quanto riguarda le cause, difficile a dirsi. Una componente è sicuramente una società molto rigida e che mette molta pressione soprattutto sui giovani. Scuole impegnative, grandi aspettative dei genitori, tanta competizione. Competizione che in alcuni casi, nella seconda metà del secolo scorso ad esempio, iniziava addirittura in fase pre-scolastica, quando bambini che a malapena camminavano erano in gara per entrare negli asili migliori. Non per tutti è facile andare avanti in situazioni del genere. E di conseguenza alcuni ragazzi, che sia per fragilità, determinate predisposizioni psicologiche e caratteriali, o quant’altro, trovano rifugio nell’autoisolamento.
Procedendo con la lettura, ad un certo punto mi è parso di imbattermi in qualcosa di familiare per cui, poiché non so resistere, chiedo a costo di fare una figuraccia: è stata solo una mia impressione, o per un attimo, fra le pagine de “L’ombrello dell’imperatore” farà la sua comparsa anche un cameo, una sorta di alter ego di Tommaso Scotti?
Me lo chiedono in molti. La risposta è “ni”. Nel senso che ho messo volutamente alcune mie caratteristiche in un certo personaggio (non metto nomi visto che tu non ne hai messi), ma per altre siamo invece piuttosto diversi. Mi incuriosiva l’idea di infilare nella storia uno sguardo completamente estraneo, nonché creare un dialogo in cui si riscontrassero le difficoltà linguistiche. Proprio per lasciar parlare i personaggi con i sentimenti, più che le parole, e far vedere che a volte ci si può capire anche parlando due lingue diverse.
Parliamo della telefonata, quella telefonata che Nischidariceverà verso la fine. Poiché io sono terribilmente curiosa e soprattutto, se un personaggio mi piace ho fretta di ritrovarlo non posso fare a meno di chiedere, l’ispettore tornerà? C’è già un pensiero per una nuova storia che lo veda protagonistao per il momento lo hai accantonato per altri progetti?
C’è senza ombra di dubbio il pensiero e la voglia di fare. I tantissimi commenti entusiasti che sto ricevendo tra l’altro (di cui sono contentissimo) forniscono una bella dose motivazionale. Ma scrivere un romanzo è difficile, e non voglio farmi prendere dalla fretta tanto perché “devo scrivere un seguito”. Se l’idea su cui sto lavorando mi convincerà davvero, se riuscirò a scriverla bene e a completarla, Nishida tornerà. Ci sono un sacco di se. Succederà? Chi lo sa. Io spero di sì, e ce la metterò tutta.
Un po’ di anni fa hai fatto la valigia e hai scelto un cambio di vita totale, lasciando l’Italia per trasferirti in modo definitivo a Tokyo. Dato che dal romanzo, attraverso le parole del tuo protagonista, emergono profonde differenze culturali, organizzative e legislative, ti chiedo: è stata semplice la fase di transizione e adattamento o l’inizio si è rivelato un po’ più complicato del previsto? Se dovessi fare un bilancio, cos’hai guadagnato a livello umano da questo trasferimento e di cosa invece, costantemente avverti la mancanza?
Una bella domanda. Non è stato senz’altro semplice ma nemmeno troppo complicato. Avevo già una certa esperienza di vita all’estero, in Finlandia prima e in Cina dopo. Mi ero insomma già trovato in situazioni difficili, lontano da casa e senza alcun aiuto. Meno male che ho scelto luoghi con lingue semplici…Comunque, il Giappone è un paese particolare. Anzi, forse è più facile ambientarsi all’inizio, quando tutto è bello, pulito, ordinato, e collaborativo. I problemi iniziano dopo, quando si cominciano a capire certe differenze culturali, a rendersi conto che alcune cose sono solo una “facciata” e che la realtà che c’è dietro a volte è molto diversa. A livello umano ho guadagnato tante cose. Credo di essere cresciuto molto sia culturalmente che come persona. Insomma, ormai sono quasi dieci anni. In Giappone ho preso un dottorato, fatto le mie prime esperienze lavorative (intendo a tempo pieno), avviato una carriera, imparato una lingua, iniziato a studiare la calligrafia, fatto tantissime esperienze, approfondito storia e cultura del paese, e così via. L’unica mancanza che avverto è quella degli affetti. Famiglia e amici stretti mi mancano sempre, quello sì. È un compromesso inevitabile, un sacrificio d’amore in cambio del dono della conoscenza. Ma bisogna vedere fino a quando sarò disposto a farlo. Per il resto non mi manca molto. Ah, il guanciale. Ogni volta che finisce la scorta non posso più fare la carbonara.
Purtroppo, nell’ultimo anno, ciò cha ha reso più “uguali” e allo stesso tempo ha “allontanato” le persone nel mondo è stato l’avvento della pandemia, che ha imposto regole sue, andando contro alle nostre volontà, al nostro modo di essere e di vivere in libertà. Come hai vissuto le fasi più acute di questo momento e come, in generale i giapponesi hanno affrontato il Covid e le restrizioni che ne sono conseguite?
Su questo ci sarebbe da scrivere un libro, e sarà difficile rispondere in poche parole. Il 2020, in Giappone, è stato un anno quasi normale. Tolta l’ovvia impossibilità di viaggiare, la mascherina fissa, e altre accortezze generali ovunque ci si recasse (disinfettare le mani, misurare la temperatura etc). Per il resto, ristoranti aperti, scuole aperte, palestre aperte e così via. Onestamente non so che pensare. Qui in Italia sembra un mondo parallelo. Sicuramente in Giappone il livello di igiene generale, la pulizia dei luoghi e mezzi pubblici, e la cura per le cose non è nemmeno paragonabile aquanto siamo abituati. Inoltre, la gente tende a pensare di più alla collettività e a fare quello che gli viene detto di fare. Basti dire che non c’è mai stato un vero e proprio lock downforzato come da noi (non si può proprio fare per motivi costituzionali), ma solo uno stato di emergenza in cui alla popolazione veniva richiesto “per favore” di stare a casa. Be’, in quel periodo, di circa un mese, le persone uscivano pochissimo. Ma sarà davvero solo questo? A parte quel breve periodo e le accortezze di cui sopra, infatti, il resto dell’anno è stato normale: strade affollate, treni zeppi, e ristoranti pienissimi. Per aiutare l’economia locale, hanno addirittura fatto una campagna (go to travel) che incentiva le persone a viaggiare all’interno del Giappone con sconti molto vantaggiosi. Quindi non solo vita normale nelle città, ma anche tutti in giro in lungo e in largo. Ora, non sta a me fare giudizi sulle varie politiche nazionali né, non essendo medico, commentare sul virus in generale. Sta di fatto che, dopo essere stato in Italia qualche settimana questo gennaio 2021, sono ben felice di aver passato il 2020 in Giappone. E, se avete letto il libro, avete intuito che non sono uno di quelli con gli occhi foderati che tessono lodi del Sol Levante dalla mattina alla sera dipingendolo come il paese perfetto. Anzi.
Siamo giunti al momento delle domande di rito per chi viene a trovarci a Thrillernord. Che lettore è Tommaso Scotti? Quali sono i tuoi autori di riferimento e fra questi, vi è lo spazio per gli scrittori nordici? Qual è il libro più bello che hai potuto leggere lo scorso anno?
Sono un lettore particolare, credo. Nel senso che sono abbastanza “onnivoro” in quanto a generi, ma sono anche un lettore lento e vado a fasi alterne. Periodi in cui leggo molto e periodi in cui magari leggo un libro in due mesi. Tra gli italiani mi piace molto De Giovanni, soprattutto la serie del commissario Ricciardi, che in realtà ho scoperto un paio di anni fa al massimo (avevo già finito la prima stesura del mio libro). Libro più bello l’anno scorso forse Furore di Steinbeck, che non avevo mai letto. Ora però mi viene il dubbio di averlo finito nel 2019… Va be’, se quello non vale, diciamo che dei libri che mi sono molto piaciuti nel 2020 sono Tokyo Express di Matsumoto e L’Angelo di Monaco di Fabiano Massimi. Per il resto, come mi piacciono molto autori tipo Michael Connelly e Lee Child, ho adorato anche Harry Potter. Insomma, sono un po’ onnivoro, come ho detto.Per quanto riguarda i nordici, sempre nell’ultimo paio d’anni ho letto qualcuno dei casi della sezione Q di Jussi Adler Olsen, mi ha molto divertito Il Centenario che Saltò dalla finestra e scomparve di Jonasson, e poi il bellissimo (ovviamente a mio avviso) La vera Storia Del Pirata Long John Silver di Larsson.
Tommaso Scotti
A nome mio e di Thrillernord ti ringraziamo per il tempo che ci hai dedicato, e ti facciamo un grande in bocca al lupo, sperando di ritrovarci presto con in mano un tuo nuovo romanzo.
Loredana Cescutti
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