Recensione di Sara Zanferrari
Autore: Manuela Antonucci
Editore: Italo Svevo
Genere: Narrativa
Pagine: 234
Pubblicazione: 26 novembre 2020
Sinossi. «Da Taranto fino a Nardò non c’è nulla, c’è l’Arneo», scriveva Vittorio Bodini dell’agro salentino dove, negli anni Cinquanta, i contadini si organizzarono per prendersi la terra a cui avevano diritto. Furono picchiati e arrestati dalle forze dell’ordine, le biciclette, il loro unico bene, bruciate, ma l’Arneo, fino a quel momento escluso dalla Storia, divenne materia viva, e qui fa da sfondo alle vicende di due genera-zioni che là hanno vissuto e lottato. Nino, che sogna di costruire il falò più alto che si sia mai visto, la Pietra, maciara che toglie l’affascino, Tonino, pescatore di murene; e poi i giovani: Salvatore, Maria, Liberata. In mezzo c’è l’Anna, che sparisce mentre sta raggiungendo i compagni nei campi. Un decennio dopo, il ritrovamento del suo anello riporterà alla luce quel mistero, rivelando l’anima più nascosta dei compaesani in un Sud tagliato fuori dalle cartoline, dove appunto «non c’è nulla, c’è l’Arneo».
Recensione
“A mia madre e a mio padre, terra e acqua.”
E’ forse più terra che acqua, e forse più madre che padre, l’esordio della leccese Manuela Antonucci, classe 1983. Murene sono quelle che pesca Tonino, marito di Anna e padre di Liberata, l’acqua è quella del Mar Ionio, la terra è quella del Salento, dell’Arneo, quella su cui la povera gente negli anni ’50 ancora si spacca la schiena lavorando e i cui proventi però vanno ai padroni. La terra che i contadini rivendicano in una lunga notte di ribellione, durante la quale Anna scompare nel nulla e non si saprà più niente di lei.
“Incursioni” si chiama la collana dell’editore Italo Svevo dove troviamo “Murene”: ed è proprio un’incursione che questo romanzo fa e ci porta a fare, fra terra e mare, fra storia e mistero, fra sottomissione e ribellione, fra timidezza e ardore, fra disperazione e speranza.
Una narrazione ipnotica, quasi una polifonia di voci multiformi, un mormorio di voci, che raccontano una storia di fatica, dolore, rivincita, di superstizioni, morti e fantasmi.
Una polifonia complessa, narrata con note non facili da seguire: pensi di non capire e prosegui, poi all’improvviso invece tutto torna, capisci, e allora senti il desiderio di tornare per un momento indietro, per rileggere e ricapire, ora, molto di più quanto avevi letto ma mancava un tassello, la tessera del puzzle che doveva incastrarsi, l’hai cercata ma è arrivata dopo, ma non importa il quando e il come, perché la musica proprio a questo modo risulta bellissima. Nemmeno una stonatura, una lingua perfetta, un’armonia perfetta.
Ci sono Nino e Pietra, lui tutto preso dalla costruzione del suo falò, lei madre un po’ strega, che sa togliere i malocchi e saprà senza sapere che la figlia Anna non tornerà mai più.
C’è Anna, giovane donna, bella e ardente, ammirata e desiderata da molti soprattutto per lo spirito indomito, che quasi muore dando alla luce la piccola Liberata, ma invece sopravvive, solo per dissolversi poco tempo dopo nella notte dell’occupazione dell’Arneo.
C’è il marito, Tonino, pescatore di Murene, che quella notte le stava raccontando la storia di Celestino, pinne, corda e denti affilati, ma s’era fatto tardi e lei era dovuta andare, raggiungere gli altri al pozzo, per ribellarsi ai padroni, perché era giusto così, ma al pozzo nessuno l’ha vista, eppure dal pozzo uscirà la sua voce un’ultima volta.
C’è Liberata, figlia subito orfana di madre, che raccoglierà tempo dopo il testimone di quella storia, perché “c’è sempre tempo, anche per l’ultima storia” come titola l’ultimissima parte del libro.
E ci sono Pompilio e Domenico Cacciatore, Peppino, Ernesto, Ndata, Vituccio, Ginetta, Salvatore, Maria.
Ciascuno con la propria musica e le proprie piccole e grandi disperazioni. Ma non serve disperare, la vita va avanti, come se niente fosse. Anche senza Anna, con o senza terra, coi vivi e coi morti.
«Vorrei che buttassi la tua lenza nel mare. Il piombo farà il resto, Liberata: si porterà via tutto di peso. Non avere paura di sbagliare. La paura attorciglia le cose come nodi. Lascia andare il filo, messo così tra l’indice e il pollice… lo vedi? E aspetta. Sarai la prima ad accorgertene. Aspetta e vedrai che è proprio in quel momento, quando il silenzio arriva e ogni cosa sembra essersi fermata, è proprio in quel momento che tutto sta per cominciare». (pag.225)
Così dice Tonino alla figlia, prima di raccontare…
«Me la racconti questa storia?».
«Mi piacerebbe. Sarebbe la mia occasione di mantenere la promessa fatta a tua madre».
«Di cosa parla?».
«Della vita di un pesce».
«Di un pesce?».
«Be’, sì, di un pesce, e anche di un uomo. (pag. 224)
Grande esordio e grande sguardo sulla propria terra di questa giovane autrice, da leggere sulle pagine intonse di Italo Svevo, da tagliare col tagliacarte prima di cominciare, così, come un rito, un po’ come quelle magie che fa Pietra, con acqua e olio, e liberare così, poco a poco, la magia delle parole di Manuela Antonucci.
A cura di Sara Zanferrari
Manuela Antonucci
Manuela Antonucci è nata a Copertino nel 1983, ma ha vissuto a Roma, Lisbona, San Paolo e Barcellona. Negli ultimi anni si è occupata soprattutto di narrazioni audiovisive per una casa di produzione spagnola.
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