Intervista AA.VV. di “Enigmi in camicia nera”




A tu per tu con l’autore

A cura di Sabrina De Bastiani


Daniele Cambiaso e Angelo Maranzana

(Curatori dell’antologia)

Daniele, Angelo, innanzitutto complimenti per questa antologia,  che trovo un vero gioiello per qualità narrativa e contenuti. Quale è stata la vostra prima reazione quando avete ricevuto la proposta della curatela? E soprattutto come è stato vedere il progetto che prendeva forma sotto i vostri occhi?

D. A. Cara Sabrina, grazie per l’apprezzamento per il lavoro che abbiamo sviluppato insieme agli Autori, cui va gran parte del merito se, come crediamo, la raccolta presenta un apprezzabile livello di qualità. È andata così: si chiacchierava con Angelo al telefono (ogni tanto ci ritagliamo momenti così) sui nostri comuni interessi storici e letterari, quando è nata l’idea di provare a creare un’antologia che offrisse una sorta di rappresentazione corale di un periodo storico che riteniamo centrale, origine di molti aspetti della realtà contemporanea. Angelo ha proposto di sottoporre il progetto a Paola Tosi per la casa editrice La Torre dei Venti e devo dire che l’idea ha trovato fin da subito un’interlocutrice sensibile ed entusiasta. Abbiamo iniziato a pensare alla squadra di Autori da coinvolgere e anche qui abbiamo trovato entusiasmo e grande voglia di raccontare. Con l’arrivo dei vari racconti, ci siamo resi conto che stava nascendo un volume importante, di cui personalmente sono molto orgoglioso.

La caratteristica fondamentale di un curatore credo possa essere inquadrata nella capacità di individuare gli autori più adatti a dare corpo ad un particolare progetto. I nomi che firmano l’antologia ne firmano anche la qualità e l’obiettivo. Inoltre, la caratteristica fondamentale di una curatela condivisa è il feeling e l’unità di vedute tra i due curatori. ‘Enigmi in camicia nera’ attesta che entrambe queste situazioni si sono realizzate. Ci raccontate operativamente come vi siete mossi e rapportati l’un l’altro?

D. A. Con Angelo avevo già condiviso in passato la curatela di un paio di antologie e ci siamo reclutati reciprocamente in vari progetti, per cui esiste un feeling che deriva dalla lunga strada condivisa. Nutriamo entrambi, come dicevo, un interesse profondo per alcuni temi, quindi la sintonia è facile. Molto semplicemente abbiamo proposto al vaglio reciproco una batteria di nomi, abbiamo iniziato i contatti e l’avventura è partita. Devo sottolineare come Paola Tosi sia stata sempre presente in ogni fase della lavorazione, stimolandoci con idee e contribuendo a creare una piattaforma comunicativa condivisa con tutti. È stata davvero un’esperienza piacevole e molto costruttiva.

Valenti ed affermati autori lo siete voi stessi, ed infatti firmate due dei racconti che compongono l’antologia. Ce ne parlereste?

D.    Per quanto mi riguarda, ho firmato “Sangue sulla Porta del Cielo”, una storia legata al nostro passato coloniale in Estremo Oriente. Forse non tutti ricordano che l’Italia, oltre alle colonie africane, era titolare anche di una Concessione a Tien Tsin, che risaliva grosso modo ai tempi successivi al nostro intervento nella Guerra dei Boxer. Ho provato a raccontare la vita nella Concessione attraverso un momento “giallo” legato a un altro evento storico, ossia la visita di una delegazione del Partito Nazionale Fascista in Cina, Manciuria, Corea e Giappone, nell’ambito delle iniziative per rinsaldare l’alleanza tra Roma e Tokyo. Una strana sparizione di armi, un individuo inafferrabile che si muove nella Concessione, il profilarsi di un attentato sono gli elementi del mistero Sarà davvero così? A indagare è Riccardo Dorigo, un poliziotto della guarnigione distaccata in Cina, che ha un passato interessante nella Legione Redenta. Si trattava di un reparto costituito dopo il primo conflitto mondiale con i prigionieri dell’esercito austriaco di etnia italiana (dalmati, istriani, giuliani…) che si trovavano nei campi di prigionia dei Russi. Si sono ritrovati coinvolti nella guerra civile russa a fianco delle Armate Bianche, poi sono stati portati a Tien Tsin e da lì riportati in Italia. Pensate che odissea… Ovviamente tutta questa parte nel racconto non c’è se non in alcuni ricordi o riflessioni del protagonista, ma immagino che Dorigo abbia scelto di fermarsi a Tien Tsin e si ritrovi quindi a vivere la Concessione come la sua nuova patria da difendere contro un aggressore dal volto misterioso.

Il mio racconto si intitola “Il suono di una fredda primavera”. Richiama l’espressione russa “il suono dei cristalli di ghiaccio” che riporta a un’idea di freddo talmente intenso da vibrare nella trasparenza del ghiaccio che si forma sugli alberi. Nel caso del mio racconto sono i ghiaccioli che pendono da due fontane emblema della mia città, anche se mi sono preso la briga di anticiparne di un decennio la loro costruzione. Ma credo che possa rientrare nel ruolo di scrittore. Il racconto è un giallo, molto tradizionale, con tanto di omicidio, indagine, falsa pista e verità svelata grazie ai dubbi e all’intuizione del suo protagonista, il commissario Dimitri Zenas di origini greche, di una Rodi allora italiana, elemento che mi consente anche di sfiorare altre culture alternandole all’ambientazione tutta alessandrina. Siamo alla fine degli anni ’30 e in un certo senso ho provato a sfregiare l’idea tutta fascista dell’italiano che non si macchia di alcun crimine e di una società che si muove in tutta sicurezza grazie all’operato e al rigore delle forze di polizia. La vittima è una sarta, Wanda Malacarne, e la sua morte nasconde un mistero che ovviamente non posso svelare in queste poche righe ma che richiama i soprusi commessi nei confronti degli ebrei dopo l’approvazione delle leggi antisemite.

Scegli una frase del tuo racconto che rivesta per te particolare significato, citala, e spiegarne il motivo ed il senso del racconto.

D. “La svolta era lì, palpabile. Salvezza, guadagni, menzogne, disonore da una parte. Verità, giustizia, probabilmente morte dall’altra. Con onore.”

Credo che questa frase rappresenti alla perfezione il senso del mio racconto: in tempi di assolutismo, diventa centrale la responsabilità individuale, la capacità critica nel senso etimologico del termine, che deriva dal verbo greco κρίνω, ossia giudicare, discernere. I tempi più duri credo siano dei contesti formidabili per porre un uomo davanti a delle scelte importanti e, in ultima analisi, per capire chi sia veramente. Sono sempre stato ammirato da figure come Perlasca, Schindler e altri che hanno “scelto”, andando magari anche contro le convinzioni ideologiche che fino a quel momento li avevano animati. Alla fine dell’indagine di Dorigo, credo non ci sia soltanto la soluzione di un caso, ma soprattutto l’acquisizione di questa consapevolezza.

A: “Era un tragitto breve quello che separava la questura da casa sua. Ma scelse di allungare il percorso. Si incamminò per una città semi intontita dal freddo. Passò accanto al Palazzo delle Poste su cui risaltavano i colori delle tessere del lungo mosaico razionalista creato pochi mesi prima da Gino Severini per raccontare la storia delle comunicazioni. C’era quiete in giro. La luce del tardo pomeriggio contrastava con il gelo inatteso di marzo. Si spinse in direzione del caseggiato di via Trotti, cuore di un crimine che una città di provincia non avrebbe scordato facilmente e che la lunga fila di autorità fasciste avrebbe voluto archiviare in tempi rapidi. Si appoggiò al portone, lo socchiuse e infilò la faccia in mezzo, come un bimbo con la voglia di spiare al di là di quel divieto. Raggiunse il cortile. La folla curiosa si era dileguata nell’intimità degli appartamenti. Quell’angolo di Alessandria sembrava essere ricaduto nel grigio torpore di sempre. Carestia, il presunto colpevole era innocente, e qualche innocente pronto a puntare il dito contro altri, in realtà aveva la coscienza sporca. E dove stava nascosto l’assassino? Dentro o fuori quel caseggiato?
Pochi minuti dopo, Zenas era sulla strada di casa, all’imbocco di piazza Dalmazio Birago. Anche il cielo si presentava in una differente dimensione, quasi fosse una volta bianca, opaca, scolpita nel freddo. Si fermò a fissarlo quando venne distratto da una voce sconosciuta.
«Signore, ascolti il suono imprigionato nel gelo della primavera?»
Era la voce di una donna vestita di nero. Zenas la vide arrivare alle sue spalle, maestosa, con il viso morbido, paffuto e rosso come una mela. Uno scialle nero di lana le copriva testa e spalle.
La donna pareva comparsa dal nulla, tanto si muoveva con passo felpato.
«Oggi non sento nulla.» Rispose. Quella donna gli ricordò le tante vecchie che si muovevano lungo le strade di Rodi, dallo sguardo severo ma generose e affettuose, soprattutto con i bambini come lui.
«A volte la vita ci rende sordi. Per riuscire ad ascoltare devi combattere contro il diavolo che si annida dentro ognuno di noi. E vincere la sfida.»
Zenas non replicò ma quasi gli parve di vedere nella propria immaginazione una mano impugnare un paio di forbici e infierire sul corpo della signora Wanda. E mille schizzi di sangue inondare la scena che gli scorreva davanti agli occhi. Il diavolo si era annidato nell’anima dell’assassino senza volto. Su quali abiti si era posato tutto quel sangue?
«Il suono che cerchi è nell’incantesimo dell’aria che vibra per il freddo, è una voce che ti parla, così sfuggente che solo la pace interiore ti può aiutare ad ascoltare. È come pregare con tutto il cuore. E la Madonna ti può dare una mano, se glielo chiedi.».”

Ho scelto questo passaggio perchè raccoglie sia alcuni elementi dell’omicidio su cui indaga il commissario Dimitri Zenas sia descrittivi dell’atmosfera (appunto di una gelida primavera), della città di Alessandria dove si svolge la storia (credo che le cosiddette geografie del crimine debbano avvolgere il lettore anche attraverso la realtà architettonica e topografica del luogo) e pure un accenno alla città di Rodi, città natale del commissario che all’epoca era considerata un pezzo d’Italia.

Un’antologia così connotata storicamente, oltre ad essere un pregevole intrattenimento narrativo offre molteplici spunti di riflessione. Ne scelgo uno. Quale pensate possa essere, oggi, la valenza di guardare ad eventi del passato? Quale  il valore del ricordo, laddove l’effimero, l’attimo. sembrano essere i dettami del tempo nostro?

D. Possiede una valenza importantissima, soprattutto oggi, in un tempo in cui, come correttamente dici tu, la dimensione dominante è quella dell’effimero. Ricordare è importante, me ne accorgo lavorando con i ragazzi a scuola, ma anche affrontando la quotidianità. Primo Levi ci comandava la memoria, nei suoi versi, e credo che sia importante non dimenticare chi siamo e quale sia stata la nostra storia, se vogliamo provare a tracciare una rotta per il nostro futuro che non ci porti a rivivere incubi analoghi a quelli vissuti dalle generazioni che ci hanno preceduti. Ci si chiederà: un romanzo, un racconto cosa possono fare? Stimolare la curiosità, suscitare anche un dibattito, perché no? Sarebbe già tantissimo e se ne sente sempre maggiore necessità.

Oggi, in piena celebrazione del 25 aprile, ricorre un termine che spesso si macchia di retorica ma al quale io credo molto, ed è la memoria. Ogni società è frutto del passato, la storia muove i suoi passi indirizzando la vita collettiva in una direzione piuttosto che in un’altra. A noi, come comunità, compete comprendere e analizzare tutti quegli elementi che possono rendere migliore il nostro modo di vivere. Di certo una società come quella che ha caratterizzato la prima metà del secolo scorso non può essere un modello da riproporre, visto che si tratta di anni travolti e stremati da una guerra sanguinosa e fratricida, dalla logica della morte e della distruzione, dalla crudeltà del nazifascismo e dalla forte limitazione delle libertà individuali. Pertanto ogni strumento è valido per perseguire il meglio (pur con tulle le contraddizioni che lo governano) e la forza della narrativa è proprio quella di incidere sull’aspetto emotivo facendoci rivivere le tragedie personali e collettive di un’epoca per aiutarci a esorcizzarle e che spero nessuno ambisca a riproporre sul palcoscenico dell’umanità.

Grazie di cuore, e tutta la stima.

D. A. Grazie a  te e Thrillernord per l’attenzione che state offrendo a questo nostro lavoro. La stima è del tutto reciproca. Alla prossima!

Sabrina De Bastiani

Ho chiesto a ciascuno degli Autori, di scegliere una frase del proprio racconto che rivesta per lui/lei particolare significato, citarla, spiegarne il motivo esponendone anche il senso generale, chiedendomi se le suggestioni che più mi avevano colpito fossero le stesse, oppure no…

Ecco le loro risposte :
La mia? Leggete questi racconti … e rileggeteli ancora …

Armando D’Amaro

“Mi avvicino allora al bar dirimpetto, luogo concordato per l’appuntamento durante l’incontro con il collega germanico: nonostante indossasse la lugubre divisa da SS non mi aveva fatto una brutta impressione, fors’anche per il rispetto dimostrato nei miei confronti: il tenente Bachmann era venuto in Questura invece di convocarmi al suo comando, presso la Casa dello Studente.”
da “Boccadoro e il trio Lescano”
Quando l’amico Marco Frilli mi chiese di cimentarmi con un nuovo personaggio accettai con entusiasmo, e le soddisfazioni – da Nero Dominante in poi – non sono mancate. Ma già da subito mi ero posto un problema: partendo dal ‘38 e proseguendo cronologicamente, nel volgere di pochi anni sarei arrivato al ’43. Come si comporterà il Commissario Boccadoro – tenero padre di famiglia ma nel contempo ligio funzionario dello Stato – quando dovrà agire in anni ancor più bui dei precedenti?
Certo non come il collega dell’Ufficio Politico Giusto Veneziani, entusiasta collaboratore del ‘boia’ di Genova Engel. Ma neppure come Giovanni Palatucci, il vice commissario aggiunto deportato e deceduto a Dachau per essersi eccessivamente esposto nel salvataggio di Ebrei.
Ecco, Daniele Cambiaso e Angelo Maranzana, invitandomi a partecipare a questa bella iniziativa editoriale de La Torre dei Venti, mi hanno anche dato la possibilità di metterlo alla prova. Con l’ordinanza di polizia n. 5 del 30 novembre 1943, firmata dal ministro dell’Interno Guido Buffarini Guidi, la R.S.I. dispose l’invio di tutti gli ebrei in campo di concentramento e il sequestro dei loro beni. Da qui l’incarico imposto a Boccadoro di interrogate le sorelle Lescano, di madre israelita, che gli riveleranno…
La frase selezionata fornisce un indizio sul suo comportamento, ai lettori l’ardua sentenza.

Armando D’Amaro

Enrico Luceri

“Corsero all’aperto, mentre tuoni assordanti laceravano la notte e la pioggia rendeva rapidamente il sentiero un pantano fangoso. De Riù reggeva il manico della lampada con una mano e annaspava con l’altra. Quando credette che Anna avesse perso l’equilibrio, l’allungò e lei la strinse. Si accorsero troppo tardi di aver smarrito la direzione giusta e di essere entrati nel bosco.”
da “Il bosco mannaro”

Nella prima metà degli anni ’30, un giovane maresciallo è inviato a comandare la stazione dei carabinieri di un remoto borgo del Friuli. La popolazione del luogo, arcaica e diffidente, è spaventata da alcuni omicidi efferati, commessi nella vicina campagna. Il maresciallo indaga, e chiede la collaborazione di una scienziata quarantenne, che il regime ha inviato lì, al confino, per presunte attività sovversive. L’inedito sodalizio diventa quasi amicizia, l’uomo e la donna scoprono le ragioni reciproche dei propri comportamenti, e la coppia svela il mistero, scampando miracolosamente alla morte in un bosco tetro e sorprendente.
Il senso del racconto è l’istintivo sostegno e la solidarietà convinta fra personalità che rappresentano istituzioni o valori diversi, e talvolta opposti, quando devono affrontare un avversario che minaccia la comunità alla quale, comunque, appartengono entrambi.
Enrico Luceri

Flavio Villani

“Ascolta, figlio mio, ascolta le mie parole. Viviamo in storie che sono la nostra memoria. Noi siamo la nostra memoria. Finché sarò nella tua vivrò. È strano, ma la mia di memoria è ancora perfetta. Ricordo tutto, i particolari di quasi un secolo. Ora mi manca il corpo, che poi è tutto ciò che davvero possediamo. E dunque, adesso o mai più. Non c’è più molto tempo, e tu che sei la cosa più cara che m’illudo di possedere devi conoscermi meglio. Che la fine possa essere un dono. Per amarci ancora di più. Per sempre.”

da “L’incontro”

Ecco il senso ultimo della narrazione: rivivere il passato, affrontarlo, esorcizzarne i fantasmi e il senso di colpa che può distruggere un’intera esistenza.
La capacità di narrare è propria dell’umanità, e la memoria è l’essenza stessa dell’uomo. La memoria è sacra. E sacre erano nell’antichità le prime narrazioni mitologiche. Attraverso tali narrazioni l’uomo affrontava l’oscurità, spiegava la propria esistenza, immaginava mondi ultraterreni, riviveva gli errori compiuto per cercare di non ripeterli.
La memoria, attraverso l’istantanea ricostruzione della biografia individuale e collettiva, dà una forma e un senso alla vita che altrimenti sarebbe solo un caotico avvicendarsi di fatti non correlati tra loro, di vicende spesso ai limiti dell’assurdo. Senza memoria non esistiamo; la sua disgregazione, la peggiore tra le iatture, distrugge l’uomo nella sua vera essenza, lo uccide nel modo più assoluto e definitivo.
Ecco dunque la necessità di ricordare e tramandare, ecco la necessità del narratore – del quale conosciamo solo il nome di battaglia, Efesto – di raccontare a suo figlio/a (la cosa più cara che m’illudo di possedere) un fatto terribile che ha condizionato tutta la sua esistenza.
In questo racconto due persone sono unite da un destino che è l’eterna condanna a non dimenticare il male e a perdere la possibilità di amare ancora. Ma l’immersione nel dolore del ricordo può portare alla redenzione: la narrazione è la catarsi che conduce al perdono più difficile da ottenere, quello verso se stessi.

Flavio Villani

 

Laura Segnalati

“Insomma, niente tedeschi, fascisti, partigiani, nessuna motivazione politica. Piuttosto, per dirla con Fenoglio, una questione privata.”

da “La canonica”

Questa frase chiude il racconto e consegna il sugo della storia. La guerra non viene certo dimenticata, anzi, consente di mescolare al suo orrore la quota di violenza che sempre attraversa ogni umana società, piccola o grande che sia. La ferocia della Storia infatti può legittimare lo scatenamento della ferocia privata, offrendole protezione, nascondimento, addirittura – come in questo caso – assicurando l’impunità. Il racconto non è in presa diretta perché spesso, molto spesso, solo la distanza temporale consente discernimento e disvelamento.
Laura Segnalati

Rino Casazza

“In attesa che arrivasse da Fidenza quell’esperto membro della Milizia, avevano condotto lì tutti e nove i sospetti del crimine. Erano le famiglie di due fratelli locali, Biagio e Giovanni Tonelli, composte dalle rispettive mogli e cinque figli, due per  Biagio e tre per Giovanni.
Fin dal giorno prima erano stati fermati e tradotti in carcere con l’accusa di favoreggiamento, perché uno di loro era di certo responsabile del duplice omicidio, e gli altri stavano coprendolo.
Solo che quei rozzi contadini si erano mostrati tosti, e il nome non usciva.
Informatone, assieme alle circostanze dubbie del delitto, Cavatorta aveva chiesto di poterli interrogare sul luogo del misfatto, per meglio chiarire i ruoli e la posizione di ognuno quando erano partiti i colpi che avevano trucidato i due miliziani.
Il capomanipolo prediligeva aver a che fare coi sovversivi nel loro habitat, non nei luoghi ufficiali delle indagini.
Non solo perché lì godeva di mano libera, e la sua mano pesante aveva bisogno di libertà. Aveva sperimentato che a casa propria, accanto a familiari e vicini, chiunque diventava più malleabile… Lo diventavano, a futura memoria, anche quanti assistevano all’indagine…”

Da “Nella città perduta”

Il mio racconto cerca di esplorare le ragioni della violenza, sempre complesse.

Rino Casazza

Lapo Sagramoso

Maggiore Vadalà,” disse il Sovrano, “Tu non mi invidi, non vorresti essere al mio posto. Ti rendi conto forse per la prima volta di quanto sia ingrato il mestiere dei Re. È vero. Ma un monarca ha dei doveri che vanno oltre quelli ufficiali. La politica, a questi livelli, è un gioco sottile, una partita di scacchi tra maestri navigati, un duello con regole complicate e terribili.”

da “La versione del Re”

Vittorio Emanuele III si confida con “L’ufficiale addetto alla sicurezza del Sovrano”, il maggiore dei reali carabinieri Rocco Vadalà. E svela così i complessi e tesi rapporti che corrono tra  Mussolini e la Corona, ultima istituzione rimasta a impedire che la dittatura fascista si trasformi in tirannia assoluta. Un punto di vista sugli avvenimenti, quello del Re, in fondo mai trattato dalla narrativa e che forse ha la capacità di accendere una luce diversa sul periodo più tormentoso della storia del nostro ‘900.

Lapo Sagramoso

È stato Angelo Marenzana a propormi l’antologia di racconti ambientati durante il Ventennio. Angelo da anni esplora con i suoi romanzi come Omicidio al civico 7, oppure Il delitto del fascista Nuvola Nera e molti altri, proprio questo periodo storico.

Quante volte si dice che il romanzo mette a fuoco meccanismi del passato che non sempre si colgono nelle pubblicazioni accademiche, anche solo perché queste restano circoscritte in quegli ambiti.
Ho accettato senza pensarci due volte. Sono passati cento anni da quando i Fasci italiani di combattimento si trasformarono nel Partito Nazionale Fascista. Era il 1921, l’anno dopo la Marcia su Roma. È un periodo molto studiato ma secondo me mai abbastanza, il nostro presente arriva anche da lì e far luce, indagare significa non solo dare connotati più precisi alla Storia ma sopratutto valutare con senso critico il nostro presente.

Il regime di Mussolini, come spiegano bene i curatori, mal sopportava che si scrivessero romanzi gialli, se la vittima doveva esserci che fosse straniera, perché l’Italia fascista era sicura, al riparo dalla criminalità e gli italiani erano brava gente.

Man Mano che i racconti arrivavano in redazione ci siamo resi conto che stavamo componendo un grande puzzle, ogni autore con il proprio stile e con la conoscenza del periodo, ha fatto luce su uno spicchio di storia sociale, militare, politica fino a ad avere una fotografia della realtà tutta di quell’epoca.

Un lavoro entusiasmante per tutti noi de La torre dei Venti ma credo anche per gli autori.

Paola Tosi

Paola Tosi
Direttore editoriale La Torre dei Venti www.latorredeiventi.it

 

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