Recensione di Salvatore Argiolas
Autori: Peter Mohlin e Peter Nyström
Traduzione: Chiara Ujka
Editore: HarperCollins Italia
Genere: Thriller, noir Pagine: 512
Anno di pubblicazione: 2021
Sinossi. 2019. L’agente infiltrato dell’FBI John Adderley si sveglia in un letto d’ospedale, piegato dal dolore. Dopo aver scoperto la sua vera identità, il capo del cartello nigeriano di Baltimora ha cercato di ucciderlo. Il terrore lo invade quando nota che nel letto a fianco, distante solo un braccio, si trova l’uomo che poche ore prima gli ha puntato una pistola alla testa… 2009. Karlstad, una tranquilla cittadina della Svezia, viene scossa dalla scomparsa della giovane Emelie Bjurwall, ereditiera di una ricchissima famiglia locale. Dopo giorni d’indagini, la polizia accusa di omicidio un ragazzo che vive nei sobborghi. Tuttavia il corpo della ragazza non viene mai trovato e il presunto delitto rimane irrisolto. Una volta dimesso dall’ospedale, John deve abbandonare la sua vita e cancellare ogni traccia di se stesso il prima possibile. La sua vita è appesa a un filo. Avvisato della riapertura del cold case Bjurwall, John chiede di farsi trasferire nel corpo di polizia investigativa di Karlstad attraverso il programma di protezione testimoni. In Svezia ha trascorso l’infanzia insieme alla madre, e a guidare il suo interesse per la scomparsa di Emelie c’è un inconfessabile motivo personale. Dovrebbe mantenere un basso profilo e non farsi notare, ma più si avvicina alla soluzione, più l’ombra del cartello si ingigantisce.
Recensione
Stieg Larsson ha avuto il grande merito, con la sua trilogia “Millennium”, di riportare il giallo nordico all’attenzione dei lettori dopo i grandi fasti di Sjöwall e Wahlöö, affiancandosi a grandi maestri come Mankell e Nesser e ha creato un palinsesto nuovo che è servito come ispirazione per tanti giallisti, specialmente con “Uomini che odiano le donne” il primo libro della trilogia che era stata pensata come un ciclo di dieci libri ma che per la tragica morte di Larrson si è fermata al terzo episodio “La regina dei castelli di carta” del 2007.
Tra gli scrittori che si rifanno a questo canovaccio ci sono Peter Mohlin e Peter Nyström che al loro esordio narrativo utilizzano alcune tracce del primo grande successo di Larsson come il “cold case”, la ragazza misteriosamente scomparsa, il detective non convenzionale e l’ambiente borghese torbido e ricco di misteri ma li inseriscono in una trama ben congegnata ricca di tensione e di colpi di scena.
John Adderley è un detective americano di colore con madre svedese ripudiata dal padre e che, infiltrato nella mafia nigeriana, viene scoperto e ferito gravemente, salvandosi solo con l’aiuto di un altro infiltrato e viene inserito in un programma di protezione testimoni.
Contattato dalla madre malata che lo supplica di tornare in Svezia dove ha vissuto nei primi anni di vita per tentare di scagionare Billy, il fratellastro sospettato dell’omicidio di Emelie Bjurwall, una ragazza scomparsa dieci anni prima e che si suppone sia stata uccisa, John decide di forzare la situazione e costringere l’FBI con cui ha collaborat, a farsi assumere in incognito dalla polizia svedese col compito di studiare i casi ancora irrisolti.
Il fratellastro era stato messo sotto accusa perché il suo sperma era stato trovato nel posto dove la ragazza era stata vista per l’ultima volta e dove era stata rinenuta una notevole quantità di sangue della giovane.
I sospetti sono corroborati dal fatto che Billy aveva dei precedenti per stupro e che tutto il quadro probatorio sembra far convergere gli indizi contro di lui.
John Adderley è un investigatore molto capace e in breve tempo riesce a trovare il cadavere della ragazza nascosto in un bosco ma ciò rende ancora più delicata la posizione di Billy perché può portare alla concreta accusa di omicidio.
Giocando su due fronti, tra accusa e difesa e cercando in tutti i modi di occultare la sua vera identità per paura degli spietati sicari della mafia nigeriana che lo braccano Adderley segue indizi di diversa importanza ma fondamentali per poter seguire una pista investigativa convincente ma difficile da sostenere in tribunale.
Nella loro opera prima Mohlin e Nyström dimostrano di avere appreso la lezione dei loro connazionali più famosi intrecciando diverse sottotrame che spaziano tra passato e presente e si intrecciano in tessuto narrativo di grande impatto portando alla ribalta un nuovo investigatore di cui si sentirà parlare ancora perché porta una ventata di novità, pur con tutti i tratti caratteristici del ruolo ma con un vissuto e delle fragilità molto particolari.
Il titolo “L’ultima vita” si riferisce ad un tatuaggio che la vittima aveva che ha fotografato l’ultima notte della sua esistenza e che poi ha postato su Facebook e che mostrava tre caselle contrassegnate da una spunta e che si riferiva all’infantile desiderio che si potessero avere tre vite di scorta come nei videogiochi e che fanno capire lo stato di difficoltà psicologica di Emelie ragazza figlia di ricchissimi imprenditori che trova nella droga e proprio nei videogiochi l’unica ragione di vivere.
“L’ultima vita” è un ottimo noir, anche se contiene tante suggestioni non proprio inedite, che scandaglia un mondo borghese ricco di denari ma povero di valori che costituisce uno scenario di tenebra piuttosto inquietante.
Peter Mohlin e Peter Nyström
sono cresciuti insieme in una piccola cittadina svedese e hanno scritto il loro primo poliziesco a dieci anni. Dopo aver lavorato come giornalisti e come sceneggiatori sia di teatro che di cinema per molti anni, hanno deciso di scrivere il loro primo romanzo di una serie crime.
Acquista su Amazon.it: