Intervista a Dario la Rosa




A tu per tu con l’autore


Parliamo del suo libro “Testamento alle amanti”. Come si colloca quest’opera così particolare all’interno della sua produzione letteraria, che comprende soprattutto gialli?

Se dovessi guardarmi allo specchio vedrei qualcuno simile allo Charlot di Chaplin. Un uomo che sa far ridere ma che conserva sempre quella dose di intimità che riesce a toccare il cuore. Così, il Testamento mostra il lato più intimo della mia scrittura. Nei gialli sto sempre più lavorando anche alle parti più misteriose e intime di Iachìno Bavetta. Mi piacerebbe che anche nelle sue inchieste venisse fuori questa duplicità, che rappresenta un po’ il nostro essere uomini, con gioie e dolori. Poi, sai, sono le storie che chiedono di venir fuori, non riesco a pianificare un libro a tavolino. Ero in macchina, pieno inverno, fuori pioveva ed ero melanconico per una cosa che mi era successa. Ho preso il cellulare e ho scritto senza più potermi fermare.

Dal libro traspare un grande rispetto nei confronti della componente femminile della società. A suo parere le donne oggi hanno raggiunto un adeguato riconoscimento sociale?

Credo fermamente che le donne siano il futuro. Vedo in loro una caparbia, una capacità di analisi, di essere decise e al contempo umane che non riscontro più nelle generazioni di uomini nate dopo di me. Sul riconoscimento sociale, inutile dire come ci sia da lavorare, così come sulla reale capacità di fare gruppo. La strada e un pallone riescono ancora a mettere insieme, fra ragazzi, le persone più distanti politicamente o di estrazione sociale. Con le donne noto che ciò avviene con più difficoltà. Senza le donne, però, non ci sarebbero gli uomini. Io tifo per loro e mi esercito anche a fare il casalingo!

In “Testamento alle amanti”, quanto è autobiografica la figura del notaio e chi rappresentano le amanti?

Il notaio del Testamento alle amanti è un uomo che conta gli ultimi giorni della sua vita. Io, da buon quarantenne, (tocchi ferro chi legge…) spero di avere qualche decennio ancora a disposizione, quindi di realmente autobiografico c’è poco. Quel che c’è di mio, però, ed è uno dei concetti portanti del testo, è il tema del ricordo, le emozioni che si vivono quando le persone che abbiamo avuto accanto iniziano a farsi distanti per i motivi più disparati. Cosa ricordiamo e cosa ricorderemo di loro? Questa domanda ha un grande fascino e milioni di possibili risposte.

Qual è l’insegnamento che vuole dare il libro, ammesso che ci sia?

Lungi dal volerne dare uno. Io racconto una storia e ogni storia tocca delle corde differenti in base a chi la legge. Dentro c’è il mio grande amore per l’universo femminile. Un mondo che ogni giorno scopri diverso e che ti fa mettere in gioco. L’insegnamento più grande è quello della vita vissuta giorno per giorno, nel rispetto degli uni verso gli altri e in quella che è diventata quasi una parola che fa paura oggi: empatia. Amare è sentire l’altro, è fermarsi a dare una mano, è dire grazie o chiedere scusa.

Quali sono i suoi progetti futuri di scrittura, si collocheranno ancora nell’ambito del giallo o saranno rivolti a testi più intimi come il “Testamento”?

Il primo e più faticoso passo sarà quello di trovare un buon editore per Iachìno Bavetta e compagnia bella, perché fra poco non avrò più spazio nel cassetto e le storie scritte dovranno in qualche modo (spero) venir fuori. E poi i gialli sono il mio grande amore, non potrei non andare avanti. Insieme a questi, però, sta crescendo sempre più la voglia di affrontare tematiche importanti con uno stile più intimo, quindi spero di poter produrre qualcosa in questo senso. E poi ci sono i bambini, sono cresciuto con una mamma che non finiva mai di raccontarmi storie. Oggi ne ho qualcuna nata come letture per i miei bambini. E chissà che anche quella non sia una bella strada da poter percorrere.

Il punto è che scrivere mi rende felice.

Dario la Rosa

A cura di Chiara Forlani

 

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