Se avessi due vite




Recensione di Sara Pisaneschi


Autore: Abbigail N. Rosewood

Editore: Edizioni E/O

Genere: narrativa

Pagine: 292

Anno di pubblicazione: 2021

Sinossi. Da bambina, isolata dal mondo in un accampamento militare segreto e cresciuta da una madre poco presente, si affeziona a un soldato compassionevole e alla sola altra ragazza nel campo, coltivando due amicizie che plasmeranno il resto della sua vita. Da giovane donna, a New York, lontana dal paese d’origine e tormentata dalle ferite dell’adolescenza, è ancora alla ricerca del suo posto nel mondo. Si innamora di una donna sposata che è la fotocopia della sua amica d’infanzia, e si ritrova a seguire degli sconosciuti che le ricordano il suo soldato. Quando la tragedia deflagra, deve tornare in Vietnam e affrontare i ricordi del suo passato per riconciliarsi con la propria identità. Attraverso una riflessione profonda sull’amore, la perdita, la presenza di un passato che non muore mai, il romanzo indaga un antico dilemma: apprezziamo le persone che fanno parte delle nostre vite per ciò che sono o per ciò che abbiamo bisogno che siano?

Recensione

Amo molto i libri che mi insegnano qualcosa, che mi aprono a mondi che non conosco, o che conosco molto poco. Quanti film, quanti libri e articoli di giornale abbiamo visto e letto nel corso degli anni sul Vietnam? Tantissimi.

Viverlo con gli occhi di una bambina di sette anni, invece, mai. Almeno per me è stato così. Anche se il suo è stato un mondo a parte. Dopo anni di separazione, la bambina raggiunge sua madre in un campo militare isolato. Il mondo fuori è troppo pericoloso per loro, per lei e soprattutto per sua madre, una madre così tanto presa dalla vita politica e dall’emancipazione da essere quasi completamente anaffettiva.

La politica vietnamita era complicatissima e nello stesso tempo banale: le persone scomparivano, e se erano fortunate talvolta ricomparivano qualche anno più tardi, a centinaia di chilometri di distanza dal luogo in cui erano state viste per l’ultima volta, con qualche dito in meno un occhio accecato, e fingevano di continuare a vivere, e ancora peggio di essere grate al proprio paese che aveva dato loro una seconda possibilità”.

Di lei si occupa un soldato. Si cura di lei, la accudisce come fosse un padre, è il “suo” soldato, non c’è quasi niente di più importante nel suo piccolo mondo. Come amica l’unica altra bambina del campo con cui instaura un rapporto simbiotico, nel bene e anche nel male.

Quel male di cui nessuno fa parola, che loro a malapena capiscono, che costringe a vivere in un mondo di fantasia parallelo o a scappare lontano. Quella bambina che alla fine lascia senza una parola di addio per andare in America e verso una vita migliore. Senza la madre.

Di nuovo. La vita in America è più facile di quel che pensava, basta non rivelare troppo delle sue origini, basta perfezionare la lingua in modo che sia indistinguibile dalla sua originale. Nessun legame, qualche lettera della madre lontana, un vicino di casa che le ricorda tanto il suo soldato e a cui si affeziona ancora prima di conoscerlo. E poi arriva Lilah e tutto viene rivoluzionato.

E scopre sentimenti che non credeva di poter mai provare. E tuttavia il passato è sempre lì in agguato a ricordati chi sei in realtà. È una morsa che non ti lascia, è nell’aria che respiri, è nella nebbia del sogno, è nella realtà delle piccole cose, è in fondo ad un cassetto impolverato e fasciato dentro un panno ingiallito dal tempo. Sta crescendo nel tuo ventre. Quando tutto frana, di nuovo, sotto i suoi piedi, capisce che non le resta altro che tornare a casa, il richiamo è troppo forte. Ma cosa spera di trovare o di ritrovare dopo tanti anni? Forse l’amica d’infanzia e il soldato che non ha mai smesso di cercare in tutte le persone che hanno fatto parte della sua vita?

Abbigail N. Rosewood ci racconta tutto con precisione chirurgica, non ci risparmia niente. Eppure riesce a toccare livelli poetici, anche, difficili da dimenticare.

La perdita, pensavo, era un’esperienza più completa rispetto all’amore. Era impossibile provare continuamente la sensazione di essere amati, ma la perdita ribadiva la propria presenza, pretendeva una risposta fisica mentre si scavava una strada dentro di te, lasciandoti abbastanza dariempire il vuoto”.

“Mi umiliava aver perso la calma. Le parole mi erano cadute fuori dalla lingua come giù da una rampa di scale; piene di lividi, stupide, prive di senso”.

 

Abbigail N. Rosewood


è nata in Vietnam, dove ha vissuto fino ai dodici anni. Ha conseguito un MFA in scrittura creativa alla Columbia University. Con un estratto del suo romanzo d’esordio si è classificata al primo posto del Writers’ Workshop of Asheville Literary Fiction Contest. Vive a New York.

 

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