Intervista a Marco Vichi




A tu per tu con l’autore


 

La lettura di queste tre avventure è stata l’occasione per conoscere il commissario Bordelli. Ho sbagliato ad iniziare da qui?

Nessuno sbaglio. Romanzi e racconti sono “indipendenti”, anche se scorrono lungo il filo del tempo. Diciamo che leggere i romanzi in fila potrebbe essere meglio, ma non è certo indispensabile. In questa raccolta vediamo Franco Bordelli da bambino, e anche durante la guerra, quando non sapeva ancora che sarebbe entrato in Pubblica Sicurezza. Con la memoria si getta un’occhiata anche alla fine degli Anni Trenta, dove lo troviamo impegnato in qualcosa che fa capire come il lupo perda il pelo ma non il vizio.

Di lui ho apprezzato l’umanità e il metodo deduttivo che segue, non violento, non “all’attacco”. Si tratta di una caratteristica del Bordelli agli albori o la ritroviamo anche strada facendo? Mi perdoni ma è una domanda che arriva da chi la serie non l’ha ancora letta...

La perdono, la assolvo, e adesso le rispondo: è proprio così. Franco Bordelli non evita certo l’azione nel momento in cui è necessaria, ma cerca sempre di arrivare alla soluzione fidandosi del proprio istinto, pur sapendo che potrebbe sbagliare. La sua arma preferita è la conoscenza dell’animo umano, che coltiva anche a forza di romanzi. Poi ho scoperto che molti “sbirri” di alto grado che conosco sono da sempre grandi lettori, e mi ha fatto un grande piacere.

Se dovesse scegliere tre aggettivi per descrivere Bordelli, quali userebbe?

Ironico, malinconico, leale… e aggiungerei umano.

In un panorama in cui sono tanti i commissari che si contendono le attenzioni dei lettori, Bordelli merita di essere conosciuto perché…

No, non riesco a farmi pubblicità. Posso solo dire che i romanzi con il commissario Bordelli non sono veri gialli. Non ho mai amato il genere per il genere, i romanzi costruiti sul meccanismo d’indagine, sui depistaggi indirizzati al lettore e sui colpi di scena, cioè sulla pura trama, dove i personaggi sono solo pedine al servizio dell’intreccio. In qualunque romanzo, anche dove c’è un delitto e un castigo (notare la citazione) cerco un’indagine umana, un viaggio nell’anima dei personaggi, un percorso di conoscenza. E di polizieschi così ce ne sono molti, uno fra tutti quelli di quel genio che si chiama Friedrich Dürrenmatt. Dunque, anche da narratore, quando scrivo sul commissario inseguo la storia cercando di raccontare i personaggi, come faccio scrivendo i romanzi e i racconti “sine Bordelli”. Una giornalista di Pistoia, invitata e moralmente “costretta” da un amico a presentare un mio romanzo con Bordelli, Ragazze smarrite, era un po’ preoccupata: non mi aveva mai letto e non amava il giallo. Poi ha detto, pubblicamente: “Credevo di trovare un giallo e ho trovato un arcobaleno.” Mi ha fatto un grande piacere. E per merito suo ho capito finalmente cosa sono: un arcobalenista.

Ora invito lei a fare un tuffo nel passato. Un suo ricordo di un Natale passato: le va di condividerlo con noi?

Dio mio, era una magia, ho ricordi struggenti di quando ero bambino… Sono emozioni che nessun bambino di oggi potrà mai vivere. Metto qui un ricordo del commissario sul Natale: “Quando era molto piccolo, passava interi pomeriggi a guardare il presepio, e immaginava di veder camminare i pastori, di sentir abbaiare i cani, belare le pecore, a volte gli sembrava che stesse succedendo davvero… e nel naso sentiva quell’odore unico, l’odore del presepio.”

Marco Vichi 

A cura di Stefania Ceteroni

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