Recensione di Laura Salvadori
Autore: Jokha Alharthi
Traduzione: Giacomo Longhi
Editore: Bompiani
Genere: narrativa straniera
Pagine: 264
Anno di pubblicazione: 2022
Sinossi. Nel piccolo paese di ‘Awafi, in Oman, vivono tre sorelle. Mayya, la maggiore, sposa ‘Abdallah, figlio di un ricco mercante di schiavi, dopo aver sofferto patimenti d’amore. Insieme saranno felici, e la loro unica figlia femmina, London, diventerà medico e sarà una donna forte ed emancipata. Asma’, appassionata di letteratura e romantica sognatrice, si sposa per puro senso del dovere. Khawla, la più bella, rifiuta tutti i pretendenti e resta in attesa del suo grande amore, emigrato in Canada. Intrecciando le vicende di ‘Abdallah, il cuore del romanzo, che riflette sulla sua vita mentre si trova in volo verso Francoforte, a quelle delle tre sorelle e dei loro figli, Jokha Alharthitratteggia un vivido affresco dell’Oman di oggi, con le luci e le ombre che lo contraddistinguono. Grazie alla sapiente alternanza tra passato e presente, la narrazione scorre come un fiume in piena, animata dal desiderio di confrontarsi con antiche regole e infine sovvertirle.
Recensione
Un romanzo così ti colpisce per forza: la sua copertina, un tripudio di colori sgargianti in contrasto con il velo che copre il viso delle donne che vi sono disegnate e un titolo che richiama concetti metafisici, che hanno a che fare con la vacuità e l’impalpabilità del cielo, in contrasto con la storia che il romanzo narra, quella delle donne e degli uomini di un piccolo paese dell’Oman.
In effetti, Corpi celesti narra tante storie in cui il contrasto tra la tradizione e la modernità tocca l’apice. L’Oman è un paese fatto di contraddizioni, in cui sopravvive la superstizione, la magia, antichi riti di una saggezza che sconfina con il timore di un Dio intransigente e si bagna di credenze e convinzioni tribali ma che è anche attraversato dai bagliori di una ricchezza sopraggiunta quasi all’improvviso, inaspettata e per certi versi spaventosa.
Il contrasto è incarnato dalle tre figlie di Azzan e di Salima, che vivono in un presente anacronistico in cui il matrimonio è l’unico mezzo per acquisire visibilità e significato. Ognuna di loro vive l’amore a suo modo, lo idealizza e al contempo lo svuota di ogni significato.Lo subisce, lo anela, lo idealizza, lo distrugge. Più con rassegnazione e ubbidienza che con consapevole scelta. Accettando i riti arcaici che lo accompagnano pur anelando ad una emancipazione che si traduce nella voglia di istruirsi o nella caparbietà di aspettare un amore idealizzato e inconsistente.
La generazione che le precede appare ancora più soggiogata dalle tradizioni. Donne invisibili, sante o puttane, senza via di mezzo. Timorate o stravaganti streghe che ammaliano e portano con sé maledizioni e sortilegi. Schiave, concubine, pazze. Vittime e carnefici di un’idea distorta di amore e di devozione.
I giovani, invece, appaiono offuscati dalle ricchezze e dalle nuove visioni di vita frutto dell’influenza occidentale, ma stentano, al pari di chi li ha preceduti, a trovare la propria strada.
Lungi dal rappresentare una rivincita sul destino per chi li ha preceduti, falliscono miseramente nei loro intenti, quasi a voler indicare che il nuovo non è sempre portatore di bellezza e serenità. Sono corpi celesti che devono trovare la loro orbita. Pianeti che attraggono o sono attratti. Corpi che orbitano da soli o che finiscono per cadere nel campo magnetico di altri corpi. Corpi che cercano la loro metà per essere completi o che invece stanno bene da soli nelle profondità del cielo.
Questo romanzo è un puzzle di colori e di sensazioni. Di odori speziati, di ombre che danzano sulle dune del deserto, di donne misteriose e tristi e di uomini che non riescono a trovare il loro cammino, persi in un ruolo che spesso non gli appartiene.
Un romanzo corale, fatto delle voci del popolo omanita. Voci che raccontano storie ammalianti, ma anche voci che raccolgono la fatica di conciliare tradizioni e nuovo. Una prosa evocativa, eppure asciutta e a tratti onirica, rendono la lettura un’esperienza quasi sensoriale e mistica, in cui le voci del deserto e le credenze popolari incantano il lettore occidentale, troppo spesso affrancato dal sogno, trascinandolo in un mondo odoroso e antico in cui provare ad immaginarsi.
Jokha Alharthi
Jokha Alharthi è nata nel 1978 e ha studiato nell’Oman e a Edimburgo. Autrice di romanzi, storie per ragazzi e saggi, insegna letteratura araba alla Sultan Qaboos University, non lontano dalla capitale omanita, Mascate. Nel 2019 Corpi celesti ha vinto il Man Booker International Prize.
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