Intervista a Giuseppe Festa




A tu per tu con l’autore


 

Do il benvenuto a Giuseppe Festa a nome della redazione e dei lettori di ThrillerNord e lo ringrazio per aver accettato il nostro invito.


Inizio dal tuo ultimo lavoro, che ho avuto il piacere di leggere. Una trappola d’aria è il tuo primo thriller. Ambientazione nordica ‒ Isole Lofoten, Norvegia ‒ che sarebbe abbastanza comune, seguendo il filone della narrativa di genere, ma che stupisce per via dell’autore italianissimo. Puoi spiegarci questa scelta?

La trama mi sembrava particolarmente adatta a quei luoghi e a quella cultura, sia per la dinamica dell’indagine sia per la psicologia dell’ispettore e dello stesso killer. Sarebbe stato un plot poco credibile, se ambientato nel nostro Paese. Per dare alla storia un punto di vista più vicino al lettore italiano, ho inserito il personaggio di Valentina Santi, una ricercatrice che si occupa di balene e lavora sulle isole Lofoten. A tal proposito, ho un aneddoto incredibile: quando sono stato in Norvegia per rifinire la trama, ho incontrato una ragazza con le caratteristiche identiche al personaggio che già avevo in mente: italiana, trentenne, laureata in Scienze naturali, studiosa di cetacei, alle Lofoten da cinque anni. Una coincidenza pazzesca… e anche piuttosto inquietante: dopo quell’incontro, infatti, ho cominciato a guardarmi le spalle. Hai visto mai di incrociare pure il killer?

Ho scelto la Norvegia anche per una sorta di debito di riconoscenza. La visitai a vent’anni, durante un momento buio della mia vita. Ero affondato in una palude di torba, come direbbe l’ispettore Marcus Morgen nel mio libro, un luogo della mente in cui è più facile arrendersi che tentare di respirare. Nel momento più cupo, non so come, trovai la forza di partire. Direzione Grande Nord. La Norvegia, e in particolare le isole Lofoten, mi accolsero con la loro straordinaria bellezza: i sipari cangianti dell’aurora boreale, le spiagge bianche e il mare cobalto, le vette acute a graffiare il cielo artico. Fu rigenerante e salvifico. In quei luoghi ritrovai quella dimensione spirituale di me stesso e della natura che avevo quasi del tutto perduto. Scrivere un romanzo ambientato in quei luoghi era un desiderio che cullavo da anni e Una trappola d’aria me ne ha dato l’occasione.

Altra peculiarità è la collocazione storica. Siamo negli anni ’90. L’idea che mi sono fatta è che tu abbia optato per un’epoca che fosse abbastanza recente ma non così all’avanguardia dal punto di vista delle tecniche d’indagine. Intuizione corretta?

Hai colto nel segno! Diciamocelo: se gli omicidi che racconto nel libro fossero avvenuti al giorno d’oggi, tra celle telefoniche e telecamere sparse ovunque, il killer sarebbe stato arrestato dopo dieci minuti!

A parte questo, mi affascinano i thriller ambientati in epoca predigitale, ho l’impressione che l’intuito di chi indaga sia più valorizzato.

Una trappola d’aria è il tuo primo thriller ma tutt’altro che il tuo primo romanzo. Hai vinto numerosi premi, tra cui il Premio Gianni Rodari, nel 2021. Cosa ti ha spinto dalla narrativa per ragazzi al thriller?

Spesso sono le storie che decidono per noi. Quando è arrivata questa, la scelta di genere e target è stata quasi obbligata. È anche vero che, dopo molti anni di scrittura per ragazzi, avevo voglia di cimentarmi in qualcosa di diverso, di imparare cose nuove. Uno scrittore è come un artigiano, non smette mai di apprendere e lo può fare solo mettendosi in gioco.

Infine, credo che in questa scelta abbia contato anche il timore di ripetermi: ho scritto vari libri per ragazzi che raccontano storie di uomini e animali, dove il ruolo del cattivo è sempre stato appannaggio di chi sfregia la natura. Questa volta ho voluto ribaltare le cose e ho costruito un villain convinto di difenderla, anche se in modo violento e aberrante.

Le descrizioni paesaggistiche accompagnano e sostengono la narrazione, sono importanti quasi quanto l’azione. Spesso le rendi vivide attraverso il ricorso alla metafora. Quanto è importante per una storia avere proprio quella cornice? Che peso dai all’ambientazione nell’economia del romanzo?

Per me è molto importante, tanto che nella fase di stesura della trama devo immergermi di persona nei luoghi in cui si svolgeranno i fatti. Non solo per respirare l’ambientazione con tutti i sensi e arricchire quindi le descrizioni, ma anche perché spesso alcuni luoghi mi suggeriscono importanti snodi della trama. Un esempio legato a Una trappola d’aria: durante il mio ultimo viaggio alle Lofoten, ho visitato la spiaggia di Haukland e per caso sono finito in un piccolo cimitero lì vicino, con le lapidi di pietra grezza sparpagliate in un prato color smeraldo. Quel posto ha ispirato un capitolo del libro, ma non solo: mi ha suggerito un episodio significativo nel passato dell’ispettore Morgen, che ha scatenato un effetto a catena sugli eventi successivi. Se non fossi capitato lì, la trama del libro sarebbe stata molto diversa e, ne sono convinto, più debole.

Una trappola d’aria sfrutta due piani temporali, che a un certo punto della storia coincideranno, e un narratore per ciascuno di questi piani, di cui uno principale ma non prevalente, con una focalizzazione che di fatto è variabile. Come li hai gestiti e perché queste scelte?

Sono tipi di narrazione che avevo già sperimentato nel passato in altri miei libri, ma senza mai alternarli nello stesso romanzo. In questo caso volevo offrire il punto di vista dell’assassino, facendo scoprire al lettore la sua storia personale e il percorso emotivo che lo ha formato durante l’infanzia. La scelta dei due piani temporali e narrativi, quindi, rispondeva bene a questa esigenza.

Invece, per quanto riguarda il narratore prevalente nel tempo presente, mi sono affidato a un punto di vista che, di capitolo in capitolo, si trova vicino ai diversi protagonisti della storia, con l’intento di offrire al lettore la possibilità di sentirsi più coinvolto, trovandosi sempre “accanto” ai personaggi e non “sopra” di essi.

Ti va di condividere con noi le letture che ti hanno formato?

Da bambino mia mamma mi leggeva Le favole al telefono di Gianni Rodari. Inoltre amavo molto ascoltare le storie bizzarre che inventava lei stessa (devo aver ereditato da lei la passione per la narrazione). Tuttavia, fino a dieci anni non sono stato un grande lettore. Poi la maestra mi regalò La mia famiglia e altri animali di Gerald Durrel. Lo divorai. Da allora non ho più smesso. Durante l’adolescenza, due libri che ricordo vividamente sono Il buio oltre la siepe di Harper Lee e Il signore delle mosche di William Golding. 

Crescendo, ho apprezzato molto i classici italiani, da Il gattopardo di Tomasi di Lampedusa a Le città invisibili di Italo Calvino, da La lunga vita di Marianna Ucria di Dacia Maraini a Sei personaggi in cerca d’autore di Pirandello. E sono un grande appassionato di storie per ragazzi, soprattutto se di autori contemporanei e italiani. Ce ne sono di straordinari, tradotti in tutto il mondo: Elisabetta Gnone, Pierdomenico Baccalario, Gabriele Clima, Davide Morosinotto, Guido Sgardoli, Tim Bruno, Tommaso Percivale, Manlio Castagna, solo per citarne alcuni che stimo in modo particolare.

A cura di Claudia Cocuzza 

Acquista su Amazon.it: