Intervista a Fabiano Massimi




A tu per tu con l’autore


 

Ciao Fabiano, ti ringrazio anche a nome di ThrillerNord per aver accettato di rispondere a qualche domanda su “Vivi nascosto”, il tuo nuovo giallo della serie del Club Montecristo. 

Grazie a te (grazie a voi), è sempre un piacere. 

La tua professione è quella di bibliotecario, qual è stata la scintilla che ti ha portato a scrivere gialli? 

Sono bibliotecario da vent’anni, ormai – ho iniziato all’interno della Scuola Holden dopo aver concluso il mio master e ho continuato nelle biblioteche pubbliche di Modena – ma da molto prima desideravo scrivere, si può dire che non abbia mai desiderato altro sin da bambino. Per avvicinarmi alla scrittura, nel corso del tempo ho provato diverse porte: l’università, il giornalismo, la scuola di scrittura, l’editoria… Le biblioteche mi hanno regalato l’ambiente e la tranquillità giuste per mettermi alla prova sul serio, e a quel punto, il giallo era d’obbligo, non tanto perché fosse il mio genere preferito come lettore (nella mia dieta era molto presente, ma non preponderante), quanto perché tutti noi, alla fine, siamo schiavi delle nostre premesse, e il libro che mi ha cambiato la vita, insegnandomi la strada quando lo incontrai la prima volta a quattordici anni, era un giallo, per quanto molto speciale: Il nome della rosa. 

Come cambia il tuo approccio alla scrittura dai gialli storici drammatici come quelli della serie de “L’angelo di Monaco” ai gialli contemporanei permeati da tanta ironia come quelli del Club Montecristo? 

Il Club è arrivato prima di Sauer. Quando finalmente mi decisi di provare a scrivere qualcosa di mio, mi dissi che come inizio dovevo rendermi la vita facile, e se possibile felice, per cui scelsi di raccontare della mia città (o quasi – da Modena siamo passati a Mutina), dei miei tempi (o quasi – invece che il 2015, il 2012, dove siamo ancora con il secondo romanzo della serie, allontanandoci rapidamente dal presente di chi legge) e soprattutto delle mie passioni. La prima, naturalmente, sono i libri; la seconda, le relazioni amorose-amicali-famigliari; ma la terza, indispensabile come l’aria, è il riso. Viviamo in tempi a volte così cupi che proprio non so come sopravviverei giorno per giorno se non fosse per Peanuts, Wodehouse, Seinfeld, le barzellette di Moni Ovadia, i calembour di Bergonzoni… Sin da subito, mettendo la penna sulla carta, sapevo che i romanzi del Club sarebbero stati, per quanto possibile, romanzi allegri. Tranne che per la vittima, certo. Quando poi mi sono dedicato al thriller storico, ambientando L’angelo di Monaco e I demoni di Berlino nella Germania degli anni Trenta, be’, lì non è che potessi partire con la stessa premessa: i tempi e i fatti narrati avevano una gravitas loro, e il thriller impone un certo tono che non potevo non rispettare. Eppure anche nella “Sauer Series” l’umorismo ha finito per trovare uno sbocco, concentrato quasi esclusivamente su un personaggio che non a caso è il più amato dei lettori: il sempre ironico Mutti.

Qual è la dinamica della costruzione di personaggi come Arno Maletti e Lans Iula, protagonisti di “Vivi nascosto”? Sono frutto esclusivamente della tua fantasia oppure ricordano qualcuno che hai conosciuto? 

Si parte sempre dalla realtà. Uno scrittore è prima di tutto un osservatore, e come diceva qualcuno, la gente è lo spettacolo più incredibile che ci sia, ed è pure gratis. Un po’ muovo da me, un po’ da chi mi circonda; qualcosa viene da storie che ascolto (amici, amici di amici, persino nemici); qualcos’altro dai libri che leggo e dai film che guardo. In definitiva, di invenzione in senso stretto c’è poco, ma del resto, inventare deriva da invenire, ovvero “trovare”. Si inventa trovando qualcosa che si è cercato (o anche no, come nella serendipità). In Vivi nascosto, per fare un esempio, c’è un ex detenuto che veste, pensa e vive come Bruce Springsteen, solo trapiantato in terra emiliana. Be’, se conoscete l’Emilia avrete visto qualche esemplare di questa curiosa razza, prima o poi. Il mondo, scriveva Mallarmé, è fatto per finire in un buon libro.

Seguendo una procedura effettuata nel libro ho provato a cercare delle parole chiave ho trovato che la parola tempo occorre ben 143 volte. Assieme a nascosto sono i due vocaboli che danno la chiave di lettura del tuo romanzo? 

Credo di sì, ma chi lo sa? Umberto Eco ammoniva che i testi sono macchine per generare interpretazioni, e che gli autori sono in genere gli ultimi in grado di interpretare se stessi, perciò dovrebbero limitarsi a scrivere e tacere. Di sicuro nella vita di chi ha passato parecchi anni dietro le sbarre il tempo è un fattore cruciale. Ma lo è anche in un’indagine per omicidio, e in buona parte dei romanzi che parlano di rapporti: cos’è un amore, un’amicizia, una famiglia se non tempo condiviso? In questa nostra epoca che sembra bruciare giorni settimane mesi anni come fossero infiniti, avere tempo per godersi il tempo è diventata la cosa più difficile. A volte per riuscirci tocca nascondersi.

Zero Zero, uno degli Ammutinati è un vero fuoco d’artificio di battute e freddure ma anche tu hai inserito tanti spunti ironici che valgono da soli il prezzo del libro come quando definisci Mutina, il nome che utilizzi per schermare Modena, “Mutown, come veniva soprannominata da alcuni con un gioco di parole sempre più oscuro man mano che i talent-show e la musica ultrapop finivano di uccidere anche il ricordo del soul anni Settanta.”. Quanto ti sei divertito ad inserire questi passaggi da standing ovation? 

Sei troppo buono, ti prego continua. Scherzi a parte, nei thriller storici il divertimento è ricostruire epoche ed eventi per poi costruirci dentro percorsi romanzeschi; nei gialli del Club, il divertimento è soprattutto guardarmi intorno per cogliere quanto di buffo, comico, entusiasmante si cela tra le pieghe del mondo. John Updike, un altro dei miei maestri, diceva che il suo scopo era rendere giustizia alla bellezza del quotidiano. Un po’ il mio motto, magari sostituendo “bellezza” con “spasso”. 

L’ispettrice Lana sta ottenendo sempre più spazio ed è grazie ad una intuizione che il caso sarà risolto con grande bravura. Il suo ruolo così importante era programmato oppure ormai sta vivendo di vita propria? 

La seconda che hai detto. Il fatto è che i personaggi davvero fanno quello che vogliono, dopo un po’. Tu pensi di crearli, ma nel caso migliore li imposti soltanto, e loro, una volta impostati, portano le loro caratteristiche fino alle estreme conseguenze, spesso sorprendendoti. Lana doveva essere solo la liaison tra Ammutinati e polizia, è diventata una potenziale liaison di Arno, e ora che anche Elsie, la moglie di Arno, si è letteralmente svegliata chissà dove arriverà. Io provo a fare come diceva Manzoni: al mattino apro il cassetto, tiro fuori i personaggi, li metto sul tavolo e li lascio agire, pensare, parlare. Alla fine della fiera, sono loro i protagonisti. Io mi limito a prendere appunti.

L’ultima domanda non poteva che essere su Siegfried Sauer. L’ho ritroveremo presto in libreria? Ci sono progetti per una trasposizione cinematografica dei romanzi che lo vedono protagonista, “L’angelo di Monaco” e I demoni di Berlino”? 

Sauer sta dormendo sogni non tranquilli, in questo momento. Presto tornerò a scrivere le sue avventure, che lo porteranno in luoghi e tempi molto pericolosi, subito dopo la presa di potere da parte di Hitler. C’è un piano preciso, per la sua macro-vicenda, e anche se di solito mi fido il giusto dei piani (Eisenhower diceva che è necessario farli anche se si sa che non verranno realizzati) so esattamente dove tende tutto ciò che gli capiterà nei prossimi romanzi. In effetti, tutti i sequel dell’Angelo di Monaco derivano da questo: dall’aver scoperto a libro pubblicato che la vicenda di Geli Raubal non era conclusa del tutto. C’è un episodio storico, più in là negli anni, in un altro paese, che la riapre e la richiude alla perfezione. È lì che stiamo andando, e che forse andranno anche le future trasposizioni cinema o tv. Sulle quali posso dire soltanto che sì, ci sono stati interessamenti, ma avete presente il Sandman di Neil Gaiman? O Incontro con Rama di Arthur C. Clarke? Ci crederò solo quando vedrò i titoli di apertura proiettati su uno schermo. Nel frattempo dedichiamoci ai romanzi.

Grazie per le risposte e complimenti per il romanzo che mi è piaciuto tantissimo per il riuscito innesto di un tessuto narrativo ironico e ricco di citazioni culturali, da Borges a Heidegger, passando per Eliot e Umberto Eco, in una trama gialla convincente ma allo stesso tempo originale. 

Grazie a te, non capita tutti i giorni un lettore così attento, e così entusiasta. Userò questa energia per alimentare il romanzo in corso 🙂 

Alla prossima occasione, 

Fabiano

A cura di Salvatore Argiolas 

 

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