Intervista a Fabrizio Berruti




A tu per tu con l’autore


 

Innanzitutto, vorrei fare all’autore i miei complimenti per essere riuscito a rappresentare il disagio che è stato vissuto in quegli anni rendendolo avvincente come un romanzo d’azione. Per ragioni anagrafiche Berruti ha potuto vivere quel periodo solo da giovane testimone con poca consapevolezza di ciò che accadeva. Vorrei domandargli cosa è stato a far nascere in lui il desiderio di scrivere questo romanzo-inchiesta ambientato in quel particolare contesto storico, del quale, tutto sommato, conosciamo poco.

Gli anni Settanta sono sempre stati al centro delle mie passioni storiche e giornalistiche. L’impatto che ha avuto in me la prima visione, nel dicembre del 1989, di “La Notte della Repubblica” di Sergio Zavoli, che raccontava la strage di Piazza Fontana e la strategia della tensione, è stato enorme. Vedevo rappresentata, sul piccolo schermo, la nostra vita di quegli anni. Negli anni Settanta io ero molto giovane e la mia era una famiglia molto di destra. Sono cresciuto con i racconti mitici del fascismo dove si stava bene, le cose funzionavano, persino la mafia era stata abbattuta.Certo la guerra, quella si che era stato un errore, ma l’8 settembre invece un tradimento e il Re con la sua fuga aveva dimostrato di essere quel piccolo uomo che appariva. Si respirava in quegli anni un clima di incomprensibile speranza, qualcosa sarebbe accaduto, qualcuno avrebbe preso in mano la situazione. L’uomo forte, di nuovo, per rimuovere questa fastidiosa democrazia. Nostalgici certo di un passato che si voleva far tornare ma anche molti giovani, ragazzi poco più grandi di me.  Ho un ricordo, sarà stato il 1972, avevo 9 anni, ospitammo un ragazzo del nord che aveva bisogno di stare tranquillo. Intuivo che c’era qualcosa di strano, mezze voci carpite dietro la porta, Veneto, fascisti, colpo …. Ovviamente non capivo come fosse possibile, in un contesto così famigliare, per bene, parlare, anche solo accennare, a queste cose. Poi arrivò la scuola media pubblica, dopo le elementari dalle suore francescane del Lussemburgo. E lì mi si apri il mondo. Il momento più forte fu quando ci portarono al vicino cinema per la proiezione di “Roma città aperta” di Roberto Rossellini. Ero stordito, confuso, tutte le mie certezze vacillavano di fronte ad una rappresentazione di quella realtà completamente opposta alla mia, fino a quel momento. E poi un altro ricordo, sempre nel 1972, che avevo completamente rimosso fino a che non ho incontrato la storia di Montagna Longa e di Giuseppe Peri. Degli amici di famiglia, siciliani, frequentavano casa di mio zio. Me li ricordo molto simpatici. Poi un giorno si parlò di questo aereo che si era schiantato sulla montagna e il fratello di questa signora nostra amica, era morto lì, insieme a tutti gli altri. Una mia cugina, tanti anni dopo, ne ha sposato il figlio che all’epoca della tragedia, aveva 12 anni. Brandelli di memoria che sono diventati materia di interesse professionale.  Ho fatto molti documentari su quegli anni, il delitto Calabresi, la storia di Pasolini e quella della scorta di Aldo Moro. È stato il caso, come spesso accade, a farmi incontrare la storia di Montagna Longa, nel 2017. Io sono un appassionato della serie tv “Indagini ad alta quota” dove si raccontano i più grandi disastri aerei dell’aviazione civile. Incrociando i dati su internet mi sono reso conto che il 5 maggio del 1972 un aereo si era schiantato sulla montagna davanti a Palermo, Montagna Longa appunto, ed erano morte 115 persone. 108 passeggeri e 7 membri dell’equipaggio. Il più grave disastro aereo dell’aviazione civile italiana. Eppure, in quella serie non si parlava di questa tragedia. C’era una puntata su Ustica e una su Linate ma non su Montagna Longa.  

Mi ritornò, subito, quel ricordo lontano e cominciai a sentire una sensazione strana. Perché non si era mai parlato di quella storia in tutti questi anni? Leggendo gli articoli e le testimonianze si capiva sempre di più che c’era qualcos’altro dietro quell’aereo schiantato sulla montagna. Tanti dubbi, sul pilota, sulla sicurezza dell’aeroporto voluto dalla mafia. E ancora strani personaggi che eravamo abituati a vedere in contesti diversi, killer fascisti che uccidono magistrati a Roma e li ritroviamo protagonisti di una macabra rappresentazione criminale che vede, in Sicilia, insieme mafiosi, fascisti, servizi e tante altre cose. Una strategia della tensione in salsa siciliana. Eppure, non se ne parlava. Da lì è nata la voglia di raccontare quella storia e di inserirla nel contesto degli anni Settanta, perché anche Montagna Longa e le sue vittime ne fanno parte.

La storia di Giuseppe Peri è quasi sconosciuta. Come ne è venuto a conoscenza? Ci sono state delle persone che si sono spese affinché il suo sacrificio alla causa della giustizia ricevesse un riconoscimento, sia pure tardivo?

Giuseppe Peri è stata l’altra grande scoperta. È lui uno dei protagonisti di questo docuromanzo. Un personaggio affascinante. Mano a mano scoprivo delle cose incredibili su di lui, sul suo passato di investigatore. Lo chiamavano il Maigret siciliano. Un poliziotto vero che si mette ad indagare su una serie di delitti anomali, tra Alcamo e Trapani e poi ancora rapimenti, violenze e stragi. Mette tutto insieme in un Rapporto in cui inserisce, per la prima volta, anche Montagna Longa. Non fu un incidente ma una piccola bomba esplosa a bordo. Un attentato quindi? Questo Rapporto è rimasto sepolto negli archivi di ben 7 Procure italiane ma alla fine, dopo oltre 20 anni, è venuto fuori per poi sparire di nuovo. Il ricordo di Giuseppe Peri, allora allontanato ed esiliato in un ufficio a lavorare scartoffie, è stato tenuto in vita da testimoni che l’hanno conosciuto, come l’allora giovane poliziotto Carmine Mancuso, figlio di Lenin, che morì insieme al giudice Terranova. E poi alcuni giornalisti coraggiosi come Michele Gambino ed Enrico Bellavia. Enrico, in particolare, non ha mai mollato questa storia con la sua tenacia tutta palermitana ed è diventato il punto di riferimento delle famiglie delle vittime, ancora in cerca di giustizia. Sono loro i protagonisti di “SETTANTA. Il poliziotto e la strage negata” – Round Robin Editrice. Oggi Giuseppe Peri è considerato un eroe, anche dai vertici della Polizia.  Sono cambiate molte cose da allora, per fortuna, anche nelle nostre istituzioni. Ma bisogna sempre tenere alta la guardia e conoscere la nostra storia. Portare gli anni Settanta nelle scuole per proporre una lettura giusta ed equilibrata di quegli anni. Anni di violenza ma anche di grandi riforme.

In molte parti del romanzo vengono descritte le emozioni e gli stati d’animo di persone che loro malgrado si ritrovano coinvolte da un gioco perverso di cui ignorano addirittura l’esistenza. Questi brani sono frutto dell’immaginazione dell’autore o dell’incontro con alcune di loro?

Molti dei dialoghi e delle situazioni che vedono coinvolti alcuni personaggi del romanzo, personaggi veri, anzi verosimili anche se i loro nomi risultano diversi, sono inventati. Ma fino ad un certo punto. Tutte le cose che gli vengono attribuite nel libro trovano riscontro nella ricerca storica e negli atti giudiziari. Ho letto, poi, tutta la memorialistica su questi personaggi, le loro autobiografie. Anche per Giuseppe Peri ho usato lo stesso metodo. Nel momento in cui ho deciso di scrivere un docuromanzo su questa storia ho fatto una scelta: non avrei parlato con i famigliari delle vittime, molti dei quali erano facilmente raggiungibili ed anche personaggi noti. Non volevo farmi condizionare dalla memoria personale che, in un senso o nell’altro, avrebbe potuto influenzare il mio racconto. Con una sola eccezione: avevo questa mia cugina che mi ha raccontato il dolore di un ragazzo che a 12 anni perde il padre, nella tragedia di Montagna Longa, senza sapere perché. L’emozione più forte è stata quando, dopo l’uscita del libro e in maniera abbastanza singolare, mi ha contattato il figlio di Giuseppe Peri il quale mi ha chiesto, come prima cosa, se io conoscessi suo padre. Per come ero riuscito a raccontare il poliziotto ma anche l’uomo che era stato Giuseppe, con le sue abitudini e i suoi vizi (fumava quasi 100 sigarette al giorno). Il suo apprezzamento vale la fatica di questi anni.

Vedere l’interiorità dei personaggi negativi del romanzo – stragisti, terroristi, membri di servizi deviati e alcuni uomini politici – mostra un vuoto spirituale e una mancanza di scrupoli spaventosi. L’autore ha immaginato i loro processi mentali o ne ha incontrato alcuni esponenti? In questa seconda ipotesi gli stessi saranno stati, si suppone, affidati alla giustizia. Possiamo sapere qualcosa di questi incontri?

Quell’ambiente lo conoscevo bene da adolescente, l’ho frequentato anche da adulto per motivi professionali ma anche per conoscenze personali. Il racconto di Beatrice, una ragazza molto di destra, anzi quasi nazista, assomiglia a molti di quelli che ho conosciuto da ragazzo. Li avevo dimenticati perché poi la mia vita e le mie idee sono andate in tutt’altra direzione. Ma ti rimangono dentro, fanno parte di te.  Poi ci sono le letture che confermano i ricordi e le impressioni. Come quella del bellissimo saggio di Giacomo Pacini “La spia intoccabile. Federico Umberto D’Amato e l’Ufficio Affari Riservati” – Einaudi. Un ritratto pazzesco del nostro deep state. In quel libro ho trovato molte conferme a ricordi sfocati, Rose dei Venti e potere dei Servizi. Nel 1999 ho avuto la possibilità di incontrare Massimo Morsello, cantante, fondatore e leader carismatico del movimento di estrema destra “Forza Nuova”. Era appena tornato in Italia da una lunga latitanza londinese, dove aveva fatto fortuna grazie ad imprese nel settore turistico. Era considerato il De Gregori nero ed effettivamente era un personaggio interessante.  Era molto malato e sarebbe mancato di lì a poco. Mentre parlavamo, prima e dopo l’intervista, lui si rendeva conto che le cose che diceva erano da me comprese, non approvate ma che facevano parte del mio linguaggio. Nacque una strana intesa, da nemici. Non c’è un personaggio che possa riportare a Massimo Morsello nel mio libro, ma molto del suo modo di essere fascista.

Circolano sul web molti post nostalgici che ricordano gli anni settanta fornendone una versione piuttosto idealizzata. Sulla base dei fatti esposti nel romanzo, che giudizio ne darebbe invece l’autore?

Nel web circola di tutto e bisogna stare molto attenti. Ma è grazie al web che io ho conosciuto la storia della strage di Montagna Longa e del vicequestore Giuseppe Peri. È vero che c’è un forte elemento di idealizzazione ma questo è anche naturale quando raccontiamo fatti che si riferiscono alla nostra giovinezza. L’elemento nostalgia è un prezzo da pagare all’esattezza storica del ricordo. Sugli anni Settanta le cose, secondo me, vanno meglio. La Rete, il web sta liberando molte memorie e diverse interpretazioni che non hanno mai trovato tanto spazio nei circuiti culturali tradizionali. Sto preparando un lavoro sul 1977 e in rete ho trovato dei materiali straordinari. Altra cosa sono gli odiatori di professioni, i malati da tastiera che lanciano giudizi e riflessioni pericolose perché la rete le amplifica: sul web più la spari grossa e più trovi spazio. Un po’ come è accaduto e accade ancora per la tv. Cambiano le dimensioni e la pericolosità ma la storia è sempre la stessa.

Nella società attuale cosa è sopravvissuto della mentalità e dei timori di quell’epoca?

Molto secondo me. All’epoca furono in pochi a capire veramente come stavano andando le cose, pochi giudici, qualche giornalista coraggioso, i politici più attenti ai mutamenti del tempo. Per fortuna ci furono le masse, le persone che a migliaia si riversavano nelle piazze per protestare e tenere alta l’attenzione. Fu grazie a loro che la democrazia, ancora fragile, ha retto all’urto dell’eversione golpista. Ora come allora io penso che ci sia, in Italia, la voglia dell’uomo forte. Non è maggioritaria, per fortuna, 70 anni di democrazia qualcosa significano. Ma è presente nella società, nei bar, allo stadio, in autobus, tra la gente comune. E la Rete dà spazio a loro più che a quelli che vogliono ricordare e riflettere. Per questo è importante occuparsi di quegli anni, gli anni Settanta.

 Ringrazio per l’attenzione e sono a disposizione per eventuali approfondimenti.

Fabrizio Berruti

A cura di Agnese Manzo

Acquista su Amazon.it: