Abbassa il cielo e scendi
Autore: Giorgio Boatti
Editore: Mondadori
Genere: narrativa
Pagine: 264
Anno di pubblicazione: 2022
Sinossi. Il paese di Bruno è speciale: in quel mucchietto di case sprofondate tra campi e fossi, i bambini cercano di camminare sulle acque e le vecchie signore muoiono e dopo tre giorni risorgono – e non importa se solo per morire di nuovo. Bruno, però, dal suo piccolo borgo se ne va presto: mira alla santità, lui, e decide di studiare in seminario. Purtroppo, la follia ha un tocco veloce, e voci che muovendosi non fanno rumore: e così nessuno se ne accorge quando a centinaia bussano ed entrano nella testa di Bruno. Per lui e per tutti quelli come lui la malattia mentale dura per sempre – nel suo caso, mezzo secolo. Mezzo secolo di vecchi manicomi e psichiatrie riformate dai venti basagliani; centri di igiene mentale e abissali solitudini domestiche; tregue e improvvisi precipizi. Ma anche mezzo secolo d’Italia, perché Bruno è figlio del suo tempo, e il suo tempo è quello densissimo del Secolo Breve: e così insieme alla storia di Bruno corre anche la Storia di questo nostro Paese, dal tramonto del mondo contadino al boom delle città operaie, dal terrorismo agli anni da bere, e poi l’età delle famiglie che si disfano e il “ritorno al privato”, Internet, il lavoro precario. A raccontarci l’una e l’altra è chi, fratello di Bruno, nonostante il legame che li unisce, a lungo cerca di stargli lontano, col cuore e con la testa. Tutta la narrazione è però pervasa da una brezza che non cala mai, e conduce chi scrive e chi legge verso orizzonti di ricomposizione dopo lo sgomento che smarrisce e perde. Finché, caduto ogni confine tra vite normali e vite che sembrano non esserlo, tutto si accetta, tutto si comprende. Perché fratelli non si nasce, si diventa.
Recensione di Laura Bambini
Dei matti, una volta spariti dalle loro case, non se ne parla più. È come se fossero dei morti rimasti in vita, con l’unica differenza che per i morti facciamo altari, album delle fotografie, celebrazioni. Dei matti no: quelli sono morti da dimenticare al più presto.”
I libri che non fanno retorica sono qualcosa di cui il mondo ha bisogno.
Il narratore, in maniera non lineare come la vita vera, ci racconta com’è avere, vivere, convivere, con un fratello schizofrenico quando il Novecento ha appena iniziato a scucire la matassa lasciata dalle Guerre Mondiali, e non ha tempo né voglia – è quello, in fondo – di occuparsi anche dei matti.
Dunque Bruno, durante la leva, viene invischiato in una cellula “speciale”, poi sputato fuori e lasciato a una famiglia che non ha idea di come gestire i suoi attacchi di rabbia né i suoi silenzi.
Allora comincia la trafila dei manicomi, degli elettroshock, delle case cura, in un giro sinusoidale che dura mezzo secolo ed è segnato dai tentativi di suicidio di Bruno, che scrive continuamente al fratello intimandogli di provvedere alla sua eutanasia.
Ci vuole delicatezza per parlare di certi temi, per rendere su carta quanta lucidità abbiano “i matti” come Bruno che si rendono conto di essere tali e si sentono un “peso” che è meglio togliere, una zavorra che non vogliono neanche loro. Ci vuole altrettanta delicatezza per raccontare tutto questo dal punto di vista dei familiari senza nascondersi in una retorica facile e confortevole: il narratore dice chiaramente di vergognarsi, ammette di non sentirsi in grado di occuparsi del fratello, non si nasconde di fronte alla difficoltà del problema e cerca di (non) affrontarlo come può.
È questo che rende vero il romanzo.
Non c’è nessuna facile pietà nella schizofrenia. Non se ne viene mai a capo, non ci si abitua nemmeno quando ormai diventa un copione già vissuto, una scacchiera di attori che si muovono secondo uno schema già visto, qualcosa che a un certo punto credi di maneggiare e invece non conosci neanche.
Le tappe al pronto soccorso obbligate, le case di cura che prima erano manicomi e praticavano l’elettroshock che non se la sentono di assumere il caso, i dottori incompetenti che gridano al TSO come soluzione rapida e indolore per tutti, psichiatri che si rimbalzano perché, in fondo, la schizofrenia è scomoda.
Nel mezzo, oltre al Novecento che passa strisciando attraverso un problema senza tempo e porta il ’68, gli anni Settanta e i cambiamenti sociali, c’è il rapporto – scricchiolante, vero – dei due fratelli: dall’infanzia del Bruno intelligente e taciturno fino alla vita adulta che li separa senza mai dividerli davvero.
La cosa che ho apprezzato di più è che il narratore non dice mai di no, cerca di nascondere il problema ma poi lo affronta sempre, perché, appunto, fratelli non si nasce, si diventa.
(Leggetelo.)
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Giorgio Boatti
Giorgio Boatti è nato in un paese della Lomellina, al confine tra Lombardia e Piemonte. Giornalista e scrittore, ha lavorato in diverse città. Ora vive a Torre d’Isola, nel parco del Ticino, in una vecchia cascina accanto al fiume. Esperto di servizi segreti e intelligence è autore di numerosi libri su vicende italiane. Da Mondadori, La terra trema. Messina 28 dicembre 1908 e Bolidi. Quando gli italiani incontrarono le prime automobili. Da Einaudi, Piazza Fontana. 12 dicembre 1969: il giorno dell’innocenza perduta e Preferirei di no. Le storie dei dodici professori che si opposero a Mussolini. Negli Oscar Mondadori verrà ripubblicato anche il suo Sulle strade del silenzio. Viaggio per monasteri d’Italia e spaesati dintorni.
A cura di Laura Bambini