Recensione di Francesca Marchesani
Autore: Adam Gopnik
Editore: Guanda
Traduzione: Bruno Amato
Genere: Biografia
Pagine: 384
Pubblicazione: Novembre 2011
Nuova edizione: Maggio 2020
Sinossi. Corrispondente da Parigi per il “New Yorker”, in questa sorta di diario sentimentale Adam Gopnikripercorre i cinque anni trascorsi nella Ville Lumière insieme alla moglie Martha e al piccolo Luke. Con gli occhi dell’americano a Parigi, esplora e osserva la città fin nei suoi angoli più intimi, cogliendo appieno la dicotomia tra la pomposità della cultura ufficiale e “la più splendida civiltà dei luoghi comuni mai esistita”: quell’amalgama unico e irripetibile creato dai café, dai parchi, dai musei, dall’alta moda, dalla luce sui tetti e dalla ritrosa cortesia degli abitanti. O dalla cucina intesa come un rito che ha inizio con la spesa mattutina. In pagine pervase dall’ironia e dalla sottile tensione tra due culture che si guardano con reciproco sospetto e ineffabile attrazione, Gopnikracconta quanto sia complicato procurarsi un tacchino per il giorno del Ringraziamento durante uno sciopero generale, o un appartamento in affitto ai tempi di uno scandalo immobiliare; di come gli addobbi natalizi francesi risultino incomprensibili a un newyorkese, o di come lo stesso newyorkese finisca per promuovere una rivolta fra i clienti di una brasserie minacciata dalla globalizzazione. Come in una chiacchierata tra vecchi amici, l’autore di “Una casa a New York” ci fa riscoprire una città romantica, ingarbugliata, fragile, ma anche moderna, concreta e, soprattutto, orgogliosamente viva.
Recensione
In questo periodo così strano e delicato in cui viaggiare è diventato quasi impossibile, c’è solo un altro modo per conoscere nuove città e gustarsi paesaggi sconosciuti. Leggere.
Questo non è un romanzo però, ma la storia della vita di un giornalista che decide di scappare da New York, una delle mete più ambite, desiderate, invidiate, amate, per trasferirsi con la sua famigliola a Parigi.
Il desiderio di crescere un figlio in una città europea come Parigi è un motivo già sufficiente, ma se solo ne avesse bisogno potrebbe appoggiarsi a mille altri. Insieme a lui confronteremo interessanti categorie quali la moda, la cucina, la condizione del lavoratore, che distinguono le due grandi città.
Per esempio, quando Gopnik afferma che gli americani si identificano con i beni che comprano, mentre i francesi dal mestiere che fanno. Mentre cammina per le vie della città, ancora come un turista nonostante gli anni passati lì, non può che ammirarne la poesia, la meraviglia.
Una persona che cammina per Parigi diventa parte integrante dei monumenti, delle strade, delle luci. Diventa un tutt’uno. È una sensazione che non ti si scolla di dosso una volta che torni a casa. Quando ci andai io, qualche anno fa, mi ricordo che presi un freddo micidiale.
Continuando negli anni a descriverlo come una parte integrante del viaggio quel freddo, che mi era entrato fin sotto le ossa. Probabilmente era una temperatura che ho provato mille volte anche qui, a casa mia, ma lì tutto si amplifica, diventa parte di un dramma, una scena.
Parigi diventa il palcoscenico e noi che lo calchiamo non siamo i protagonisti ma solo comparse. Torneremo a viaggiare prima o poi, e come tutte le volte ci divideremo in due categorie di turisti. Quelli che sanno quello che vogliono andare a vedere e si preparano un itinerario e ci vanno. Oppure quelli che vanno a concretizzare un’immagine che già hanno in testa, sono quelli che volano anche con la mente e con il cuore.
Per fortuna si può viaggiare in sicurezza semplicemente aprendo un libro, e perché non proprio questo?
Adam Gopnik
scrive per il New Yorker dal 1986. Durante la sua collaborazione con la rivista, ha scritto pezzi umoristici e di fiction, recensioni di libri, profili, réportage e più di un centinaio di storie per la rubrica “The Talk of the Town and Comment“. Gopnik è diventato critico d’arte per il New Yorker nel 1987. Nel 1990 ha collaborato con Kirk Varnedoe, allora curatore di pittura e scultura al MoMA, all’esposizione “High & Low: Modern Art and Popular Culture”, scrivendo (assieme allo stesso Varnedoe) nel contempo il libro dallo stesso titolo. Nel 1995 Gopnik si è trasferito a Parigi e ha cominciato a scrivere la rubrica “Diario parigino” per la rivista. Una collezione (aggiornata e integrata) dei suoi essais parigini, “Paris to the moon”,pubblicato nel 2000. Durante il suo soggiorno parigino, ha anche scritto un romanzo d’avventura, “The king in the window“, che è stato pubblicato nel 2005. Gopnik ha editato l’antologia “American in Paris”, per la Library of America, e ha scritto le introduzioni alle nuove edizioni delle opere di Maupassant, Balzac, Proust e Alain Fournier. Il suo libro “Through the Children’s Gate: A home in New York” (in Italia “Una casa a New York”,Guanda, 2010), riunisce e espande i suoi saggi sulla vita a New York e sul crescere due bambini in quella città. Nel 2020 viene pubblicato da Guanda Il manifesto del rinoceronte. Gopnik ha vinto tre volte il National Magazine Award for Essays and for Criticism, e anche il George Polk Award for Magazine Reporting.
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