Recensione di Angela Giusti
Autore: Jonathan Bazzi
Editore: Fandango
Genere: Narrativa
Pagine: 328
Anno di pubblicazione: 2019
Video Recensione
di Fiorella Carta
Sinossi. Jonathan ha 31 anni nel 2016, un giorno qualsiasi di gennaio gli viene la febbre e non va più via, una febbretta, costante, spossante, che lo ghiaccia quando esce, lo fa sudare di notte quasi nelle vene avesse acqua invece che sangue. Aspetta un mese, due, cerca di capire, fa analisi, ha pronta grazie alla rete un’infinità di autodiagnosi, pensa di avere una malattia incurabile, mortale, pensa di essere all’ultimo stadio. La sua paranoia continua fino al giorno in cui non arriva il test dell’HIV e la realtà si rivela: Jonathan è sieropositivo, non sta morendo, quasi è sollevato. A partire dal d-day che ha cambiato la sua vita con una diagnosi definitiva, l’autore ci accompagna indietro nel tempo, all’origine della sua storia, nella periferia in cui è cresciuto, Rozzano – o Rozzangeles –, il Bronx del Sud (di Milano), la terra di origine dei rapper, di Fedez e di Mahmood, il paese dei tossici, degli operai, delle famiglie venute dal Sud per lavori da poveri, dei tamarri, dei delinquenti, della gente seguita dagli assistenti sociali, dove le case sono alveari e gli affitti sono bassi, dove si parla un pidgin di milanese, siciliano e napoletano. Dai cui confini nessuno esce mai, nessuno studia, al massimo si fanno figli, si spaccia, si fa qualche furto e nel peggiore dei casi si muore. Figlio di genitori ragazzini che presto si separano, allevato da due coppie di nonni, cerca la sua personale via di salvezza e di riscatto, dalla predestinazione della periferia, dalla balbuzie, da tutte le cose sbagliate che incarna (colto, emotivo, omosessuale, ironico) e che lo rendono diverso.
Recensione
Finalmente lo possiamo dire: che bello leggere un libro che affronta tematiche “pesanti” senza l’uso di pietismi e retorica, che bello leggere la confidenza onesta e coraggiosa di un essere umano che, nel suo diventare uomo, non ha paura di essere ciò che è. Febbre è un esordio da applausi, scritto divinamente, scorrevole, comico e tragico allo stesso tempo. Maledettamente contemporaneo e al passo con i tempi. Bazzi è abile nell’accostarsi a una tematica così delicata usando un tono gentile, lineare, tradotto in uno stile semplice ma di impatto, diretto, privo di inutili virtuosismi.
Troviamo un’incantevole coerenza stilistica nella sua incoerenza di vita, un ordine razionale nel suo narrare vicende famigliari caotiche, nel suo spasmodico alternarsi tra passioni diverse nell’attesa di capire quale sia la sua meta, la sua identità. Un continuo e studiato bilanciamento tra il padre e la madre, tra ciò che è lui e ciò che sono gli altri, tra il paese di provenienza (Rozzano) con le sue piccolezze e la ricchezza dell’ardore che gli brucia dentro ad ogni nuova passione.
Nel ripercorrere alcuni momenti salienti della sua infanzia e poi della sua adolescenza, Bazzi, si libera di alcuni scheletri nell’armadio, ma lo fa senza rancore, dalla prospettiva privilegiata di chi, dopo aver inghiottito bocconi amari, ha finalmente digerito il suo vissuto, è finalmente maturato. Non c’è rancore astioso, non c’è spazio per la rabbia e questo è, a mio avviso, uno degli aspetti più meritevoli del libro. Ovviamente rimane traccia del bambino a cui è stato sottratto amore e che lo reclama, eppure Bazzi dimostra di aver accettato i suoi genitori per quello che sono: suo padre un adulto incapace di essere padre, Don Giovanni fedifrago impenitente e sua madre, una donna con tutte le esigenze di una donna, ma che, come la maggior parte delle mamme, alla fine non può fare a meno di essere mamma.
Mettendo insieme i pezzi del mosaico, costruendosi la sua identità (balbuziente, parrucchiere, omosessuale, primo della classe), ogni cosa è come se prendesse infine il suo posto nella casella, fino al climax esplosivo e lucido delle ultime pagine.
“Ho l’HIV, sono sieropositivo. Sono uno di loro. Non so più chi voglio essere, dicevo ogni volta. Ciclica-mente, saranno vent’anni. Non so chi sono, non l’ho mai saputo. Per tutta la vita, finora, ho cercato senza sosta di diventare qualcosa, assumere una forma, incarnarmi: il cantante, il pittore, il giornalista, l’aspirante professore universitario, la filosofia, il kung fu, lo yoga, la letteratura, l’ebraismo, il buddismo,l’animalismo, la chitarra, teoria e solfeggio, il femminismo, la meditazione, la danza classica, l’esoterismo. Vocazioni innumerevoli, durate niente. Magnifico, e poi sempre tutto noioso. Tutte le identità che ho provato ad assumere prima o poi hanno ceduto. Le ho negate, superate, svilite, sono passato in fretta ad altro. Neanche qui, neanche questo – devo essere qualcosa di nuovo. Ora sono stato accontentato. Anch’io ho una qualità stabile da esibire al mondo. Di cui non posso sbarazzarmi (…).L’HIV è una mia caratteristica reale, incontrovertibile. Una delle tante. Un metro e settantanove, occhi marroni, capelli (pochi) castani, molti peli sul corpo, piede numero 43, balbu zie, ernia inguinale – forse sparita da sola (i medici dicevano:impossibile, bisogna operare) –, canino inferiore sinistro spinto in avanti dal dente del giudizio (mi storta la bocca), setto nasale un po’ sporgente da un lato, miope, lievemente intollerante all’alcol (quando bevo più di un bicchiere mi riempio di macchie), sieropositivo.”
E la seguente dichiarazione di intenti sul finale, fortissima e bellissima:
“E allora? Condizione corporea, oggettiva. Non decisa, scelta, voluta: il virus in realtà non dice niente di me, non dice niente di chi ce l’ha. Sempre lo stesso, uguale per tutti. Semmai conta il modo in cui chi ce l’ha assume su di sé la sua diagnosi, lo stile con cui sceglie o riesce ad attraversarla. Ci avete mai pensato?Ve ne frega davvero qualcosa? Ho deciso di essere un sieropositivo che si lascia individuare, che racconta più che lasciarvi immaginare. La precisione è l’arma di cui mi sono munito. La compagnia degli altri, la soluzione che ho scelto.”
L’autore infine esce dalla confusione, prende una posizione. Non starà in silenzio.
Ci vuole molto coraggio e lucidità mentale per fare quello che ha fatto Bazzi, per raccontarsi con brutale onestà aprendoci una finestra sul suo mondo personale.
Insomma, che dire, per uno che balbetta, parla molto bene.
Jonathan Bazzi
Jonathan Bazzi è nato a Rozzano nel 1985. Collabora con Gay.it, The Vision, Vice e Il Fatto. Febbre è il suo primo libro, votato come libro dell’anno dalla trasmissione Fahrenheit di RadioTre.
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