Recensione di Sara Zanferrari
Autore: Gaia Servadio
Editore: Bompiani
Genere: narrativa
Pagine: 352
Pubblicazione: 27 gennaio 2021
Sinossi. Febbraio 1903. Zaccaria e Samuele Levi, cugini e amici, vagano in calesse per la Lucchesia: Samuele è un fresco ingegnere che sogna di diventare impresario musicale; Zaccaria lavora nella banca di famiglia. A unirli è la passione per l’opera e per Giacomo Puccini, che incontreranno, nemmeno l’avessero evocato, in una circostanza a dir poco avventurosa. C’è molta musica, ma ci sono anche libri, viaggi, progetti, dolori immensi in questo romanzo che narra di due famiglie ebree molto diverse: i Levi, intellettuali, amanti dell’arte, innamorati dell’Italia e dell’italiano, felici abitatori di un piccolo paradiso in terra marchigiana ma sempre curiosi dell’altrove; e i Foà, torinesi e filosabaudi, fieri rappresentanti di una piccola borghesia chiusa e conservatrice. È un matrimonio combinato a intrecciare storie e destini lungo un secolo intero: una guerra, poi l’altra, e in mezzo le leggi razziali, nuove famiglie, nuovi bambini, le persecuzioni, il fronte, le partenze, le perdite. E la fatica di continuare a vivere nonostante, di reinventarsi in un mondo nuovo ma non troppo. I figli di Zaccaria coi loro bei nomi letterari, Ariel, Cielo, Miranda; la piccola luminosa orfana Giovanna; Kate, in fuga coraggiosa dalle bombe con i suoi bambini; Prospero, dalla resistenza alla politica: una folla di personaggi legati da parentele e affinità, qualche volta divisi da scelte che li allontanano. Ebrei, giudei, israeliti, esseri umani.
Recensione
Italiani brava gente.
Quelli che “noi no, sono stati i tedeschi”. Eppure, le leggi razziali sono state emanate anche in Italia. Eppure, anche noi abbiamo avuto campi di deportazione, delazioni, discriminazioni e tutto quello che questo orribile capitolo di storia del ‘900 ha offerto alla nostra memoria.
Memoria. Romanzi come questo sono fondamentali per capire e ricordare.
A volte meglio di un libro di storia, asettico, forse parziale, non emozionale.
Sono le storie quelle destinate ad aiutarci a fare memoria: le storie delle persone, quelle semplici, uomini, donne, bambini, le storie delle loro esistenze, a volte delle loro morti.
La memoria passa attraverso l’emozione. E “Giudei” è un romanzo che colpisce al cuore, con leggerezza e senza particolari drammatizzazioni.
Questa è la storia di due famiglie e forse anche un po’ la storia dell’Italia, forse, di una certa Italia. Una storia parziale, ma la storia è sempre parziale. Raccontata a volte da chi l’ha vissuta a volte dal narratore, che poi sarei io, l’autore del romanzo. Si intromettono varie voci che appartengono i membri della famiglia, in certi casi sono i pensieri di persone al di fuori della cerchia familiare però mai del racconto.
La storia ha inizio nel 1903. I membri di due famiglie, molto diverse fra loro, vengono unite dal matrimonio combinato fra Zaccaria Levi e Rebecca Foà. Torino e Ancona, sono le città dove risiedono: la prima è la casa dei Foà, borghesi conservatori, religiosi e filosabaudi, la seconda dei Levi, intellettuali poco osservanti, amanti della cultura, dell’arte, della musica.
Sono molte le città italiane raccontate da Servadio: Padova, molta Padova, con i luoghi cari all’autrice che lì è nata e cresciuta, e poi Roma, Firenze, Parma, Palermo, un’Italia bella prima della guerra, ferita durante e dopo.
E poi c’è la cultura, i libri, e soprattutto la musica, in particolare l’opera, altra passione dell’autrice, qui passione anche dei cugini Levi, che incontrano nientemeno che il compositore Giacomo Puccini, vedono Arturo Toscanini, assistono alla morte di Giuseppe Verdi.
Sullo stesso spartito ecco che arrivano improvvise le due grandi guerre. Nella prima, sul Carso a scavar trincee perderà la vita Samuele Levi, lasciando la giovane Sara Foà, crocerossina, di lui innamorata segretamente e per sempre, a occuparsi della di lui orfana Giovanna, una delle voci più indomite e belle di questa saga familiare di ebrei italiani.
Saga che non può che appassionare per la sorte di queste tre generazioni di uomini, fra loro a volte molto diversi, per fede, impegno politico, convenzioni varie, ma ebrei che prima di tutto si sentivano italiani, nel cuore e nello spirito. E invece sono stati costretti a subire il tradimento della propria patria, che in loro vide prima semplicemente gli Ebrei, poi li chiamò Giudei, con l’avvento delle leggi razziali, fino a farli diventare i Nessuno, condannati al Silenzio, e infine li vide tornare a una sorta di nuova vita come Israeliti. Sono proprio questi i titoli delle cinque sezioni in cui è suddiviso il romanzo, che scandiscono gli avvenimenti drammatici di un popolo, fra borghesia e buon tenore di vita prima, e la discriminazione e le deportazioni poi, le delazioni, la paura continua, i bombardamenti, la fame, che li portano alla fuga, all’incessante vagare di un popolo che proprio nella diaspora ha la sua cifra principale.
Ogni sezione è poi suddivisa in tanti brevi capitoli, il cui titolo a volte è quello che ci aiuta a capire di chi è la voce narrante, a volte in terza persona, altre in prima, ma non è sempre la stessa.
Un romanzo fortemente autobiografico che mescola molta verità con un po’ di finzione, nella quale Servadio a volte sembra divertirsi e giocare, come nei racconti quasi mitologici degli incontri di alcuni protagonisti con il compositore Puccini, o che ci vuole toccare profondamente come con la scena struggente dell’incontro mancato fra Samuele morente e la “sua” crocerossina, riportandoci echi di “Guerra e Pace”.
Sono tanti i personaggi, ma così ben caratterizzati da non poterli confondere, dove alcune figure femminili attraverseranno la Storia lasciando un’impronta unica e importante. Una per tutti, la piccola Priscilla, la più piccola della discendenza Levi, sopravvissuta alle bombe, alle perdite, eppure ancora sufficientemente “intatta” nei suoi sogni, nella sua fame di vita.
Storia di tragedie, e di Male, questo ‘900. Eppure, c’è una certa, straordinaria levità in Servadio nel raccontare eventi di tale portata, senza indulgere nel dramma, senza puntare indici. Levità nel raccontare la vita quotidiana di questi essere umani alle prese con la discriminazione e le grandi ferite che le guerre e l’odio scavano dentro a tutti coloro che le hanno vissute, lasciando a noi lettori eventuali considerazioni, giudizi se del caso, ma soprattutto emozioni.
E doverosa memoria.
“Questo libro è dedicato a mio padre, a mia madre, ai miei morti”.
A cura di Sara Zanferrari
Gaia Servadio
è scrittrice, giornalista, saggista e pittrice italiana e vive a Londra dal 1956. Ha esordito nel giornalismo scrivendo per «Il Mondo» di Pannunzio e ha lavorato per «La Stampa», la BBC e la RAI. Attualmente collabora con «The European» e al «Corriere della Sera». Ha pubblicato una trentina di libri: tra gli altri i romanzi “Tanto gentile e tanto onesta” e “Didone regina”, l’autobiografia “Raccogliamo le vele”, il saggio “I viaggi di Dio”, le biografie “Luchino Visconti”, “La donna del Rinascimento” e “Gioachino Rossini, una vita”. È stata insignita del titolo di Cavaliere Ufficiale e poi di Commendatore al merito della Repubblica Italiana. Vive tra l’Umbria e Londra. Con Bompiani ha pubblicato “L’italiano più famoso del mondo” (2018).
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