A tu per tu con l’autore
Quale strana congiunzione astrale mette assieme un ispanista che vive negli Stati Uniti con un giornalista genovese per scrivere un noir con una postina, neoassunta ed ex bagnina, come detective dotata di intuito e capacità investigative di tutto rispetto?
ALESSIO: Molti anni fa, ormai, lessi Il dolore del fango di Daniele e Valeria. E dentro di me pensai: “magari il commissario Marcenaro lo avessi creato io”. Stranamente, e solo dopo capii perché, quel personaggio, ma anche lo stile di scrittura, lo sentivo molto vicino. All’epoca io stavo scrivendo Omicidio in Piazza Sant’Elena e non aveva nessuna illusione del fatto che venisse pubblicato. Fatto sta che qualche anno dopo entrai anche io nella scuderia Frilli e lì conobbi meglio Daniele, anche perché la foto di copertina de L’inedito di De André è di mia moglie Laura. E poi, come sempre, da cosa nasce cosa ed eccoci qua oggi.
DANIELE: L’amicizia con Alessio, seguita da una collaborazione che mi lusinga, è la congiunzione di alcuni spunti nati durante sporadici incontri e da un’affinità inspiegabile e immediata. Un link importante, lo confermo, è stata la splendida foto di copertina che Laura ha regalato a L’inedito di De André, il romanzo di maggior successo tra quelli che ho pubblicato con Fratelli Frilli Editori. Il resto, è merito di Alessio. Mi ha chiesto una volta: scriviamo una cosa insieme? Me l’ha chiesto una seconda. Abbiamo iniziato, e ci siamo ritrovati a pubblicare con Mursia senza agganci né agenti.
Come nasce il personaggio di Benedetta Fabbri, così incasinata ma così vitale con un grande fiuto per le indagini?
A: A questo credo che possa rispondere meglio Daniele, fu sua l’idea originale di questa investigatrice dilettante. Da parte mia posso dire che, una volta letta la prima bozza di uno dei primi capitoli in cui Daniele mi presentava Benedetta, l’ho subito sentita anche mia. In maniera naturale.
D: Benedetta era il soggetto di una serie gialla pensata per un regista ligure in cerca di idee per un format televisivo. Quella serie non si è fatta mai, ma Benedetta è rimasta lì, ad attendere l’occasione giusta. L’ho presentata ad Alessio, ma rapidamente è diventata un’altra cosa rispetto all’embrione iniziale. E’ un personaggio che appartiene a entrambi, 50 e 50.
“Il suono della colpa” è intriso dalla musica come una colonna sonora che si insinua tra le pagine. Quali canzoni o quale compositore scegliereste in caso di una trasposizione cinematografica del romanzo?
A: Nel mio caso, sicuramente De André per le scene nella Genova della fine anni ‘70 e a Boccadasse. Forse Vecchioni, con Luci a San Siro, la più bella canzone su Milano, come nota malinconica finale. E Julie Rhodes, una blueswoman americana che fa vibrare le corde dell’anima, ogni qual volta Ben è in casa sua, da sola. Ha una voce, profonda, graffiante, ma capace di ballate dolcissime. Un contrasto che vedo ben cucito su Benedetta.
D: Nella scena iniziale, nelle vie di Milano stravolte dall’esplosione che ha cambiato la nostra storia, mi piacerebbe che un compositore illuminato si inventasse un brano dominato da violino solitario e tormentato, sulla falsa riga della splendida colonna sonore de L’ultimo dei Mohicani. Chi l’ha visto non può non ricordarla. Per il resto, Benedetta apprezzerebbe robe un po’ anni ’90, lei ha uno spettro molto ampio che va dagli Ac/Dc a Faber.
Il nucleo pulsante del noir “Il suono della colpa” è quello della memoria che va preservata anche se vacillante come quella del padre di Benedetta che però la trasmette alla figlia. Pensate che anche un noir possa servire a ricordare quanto orrore c’è stato durante il periodo della cosiddetta “strategia della tensione?
A: Credo che soprattutto il noir abbia gli strumenti narrativi per ricordare attraverso la letteratura cosa siano stati quegli anni. Anche per una generazione come la nostra che, sostanzialmente, non l’ha vissuta. Il noir è oggi quel genere letterario che, dentro una struttura abbastanza riconoscibile e solida, ha la flessibilità necessaria per muoversi nel tempo, scavare nello scantinato dove nessuno vuole andare a guardare, e fornire un punto di vista diverso. In fondo Sciascia diceva che la verità esiste solo in letteratura, e non è un caso se per molti suoi romanzi scelse la forma del giallo.
D: Mentre scrivevamo Il suono della colpa, anzi quando eravamo praticamente alla fine della prima stesura, con Alessio ci siamo detti: sai cosa manca? La puzza di morte e la disperazione di quel venerdì nero. Da lì sono nati alcuni dei capitoli più immersivi, scritti solo a valle di un’attenta ricerca del materiale dell’epoca.
Tra i tanti personaggi originali che aiutano Benedetta nell’indagine sulla morte del liutaio c’è quello del dentista che ha come hobby quello di studiare i casi oscuri e di risolverli mandando poi una lettera anonima agli inquirenti con la soluzione perfetta. Penso che sia un personaggio che ha un futuro. Ci state pensando?
A: Qui mi sento di dare merito al mio compagno di penna. Farinella è un suo colpo di genio, un lampo, mi fa piacere che tu, Salvatore, lo abbia notato. E fa parte della squadra di Benedetta. Ne è un pilastro, insieme a Primo. Ha un futuro spero glorioso davanti a lui.
D: E’ un personaggio utile, funzionale e singolare. Non aveva un ruolo così importante, all’inizio, ma strada facendo ci ha convinti a concedergli più spazio. Non credo lo mollerà tanto facilmente.
E a proposito, è in cantiere un altro noir con Benedetta Fabbri?
A: Siamo alle prime conversazioni, compatibilmente con gli assorbenti impegni professionali di entrambi. In due, poi, si scrive rapidamente, ma tutto ciò che viene prima è molto più lento. È necessario parlare e confrontarsi parecchio.
D: Diciamo la verità, Alessio, ottobre dev’essere il mese di una prima definizione. L’entusiasmo è a mille. Poi, ovviamente, attendiamo i primi riscontri dei lettori. Noi ce l’abbiamo messa tutta, se funziona o meno lo capiremo credo a brevissimo.
Quali sono i vostri autori preferiti nel campo giallo/noir?
A: Nel mio caso, Manuel Vázquez Montalbán, Jean Claude Izzo e Leonardo Sciascia.
D: Sarò banale, ma mi piace la scrittura spietata di Scerbanenco. Anche se tra gli autori in genere il mio preferito è McEwan.
Qual è la funzione del noir nella letteratura contemporanea? E’ quella indicata da Derek Raymond, “La funzione del noir è quella di impedire alle persone di dimenticare l’orrore che regna”?
A: Non credo si discosti da quella che è la funzione della letteratura e dell’arte in generale, che dovrebbe essere quella di svelare gli inganni del nostro tempo. Di aprire gli occhi del lettore e farlo dubitare (con coscienza, senza farlo diventare un complottista!). Ma credo che il noir abbia anche una funzione dissacrante: nell’orrore esiste il momento di felicità, l’attimo di serenità, il bagliore di luce. In Vázquez Montalbán era il cibo, in Izzo il Mediterraneo e in Sciascia l’ironia tagliente. Ecco in un certo senso il noir può anche restituire la speranza.
D: A mio avviso serve a spiazzare un po’ rispetto alle troppe certezze che abbiamo. In maniera semplicistica potremmo dire che scova il male nel presunto bene, invitando a scivolare nel buio delle sfumature, dei sospetti, delle verità nascoste. In realtà penso che il pubblico cerchi soprattutto qualcosa di divertente, non necessariamente con lieto fine annesso. In questo senso, credo che i lettori di questo genere siano estremamente intelligenti e curiosi della vita.
A: E molto esigenti, mi permetto di aggiungere.
A cura di Salvatore Argiolas
Acquista su Amazon.it: