Intervista a Marco Missiroli




A tu per tu con l’autore


Marco, ho la sensazione che “Fedeltà” sia il secondo atto di un’ideale trilogia iniziata con “Atti osceni in luogo privato”. È una sensazione che ha qualche fondamento?

No, non l’ho pensato come fosse una trilogia o un prolungamento di qualcosa avvenuto precedentemente, però in “Fedeltà”, in effetti, quando comincia, i protagonisti hanno l’età in cui “Atti osceni in luogo privato” finiva, per cui c’è sicuramente un mio fil rouge mentale, in cui la formazione di un uomo, di una donna, di tutti noi, deve diventare anche qualcosa che viene messo alla prova. In questo senso la vita vera deve mettere alla prova quella che è la formazione energica di un ragazzino, se vogliamo porre “Atti osceni in luogo privato” finalmente in un’adultità di coscienza anche difficile, perché comunque crescendo si hanno i demoni, si hanno i bivi della vita. “Fedeltà” mette alla prova proprio le vitalità iniziali, che diventano successivamente demoni e risoluzioni, in qualche caso. L’importante è che ci sia una coscienza di ciò che è la vita.

Carlo, Margherita, Sofia, Andrea. Sono rimasta molto colpita da come tu sia riuscito,nella massima oggettività rispetto ai tuoi personaggi, a renderli nelle pagine in maniera “partecipata”. Li hai “raccontati” e resi vivi senza “manipolare” i loro punti di vista attraverso il filtro del giudizio. Si intuisce il tuo amore per loro e per le loro perfette imperfezioni, ma come sei riuscito ad andare tanto in profondità senza inoculare il tuo punto di vista?

In “Fedeltà” il punto di vista del narratore deve essere escluso, proprio per come è la forma del libro, per questa sorta di piano sequenza e di scambio di anima di personaggi, per cui sono loro stessi, col loro punto di vista, quasi a darsi un giudizio sulle azioni che fanno, perché sono concitati, sono emotivi. Un giudizio del narratore avrebbe fatto saltare tutto, per cui io non giudico mai l’umano in questo libro, perché è l’umano a parlare con tutte le sue sfaccettature. Possiamo dire che è una tavolozza di anime che con le loro fragilità già si mostrano per quello che sono e cercano di mostrare quella che è l’universalità umana, per cui solo deviarli un poco, metterli in luce troppo o in ombra troppo, sarebbe stato probabilmente alterare quella che è la sostanza del libro, per cui la cosa fondamentale era mantenere la neutralità e far vedere le persone come si muovono in una quotidianità.

Ad un primo livello di lettura è indiscutibile che il tuo romanzo indaghi il tema della fedeltà applicato al rapporto di coppia, al recinto coniugale, così come definisce questo ambito Kierkegaard in Aut Aut. Ma è altrettanto indiscutibile che il senso ed il concetto trovi nelle tue pagine un’estensione molto più ampia. Kierkegaard, ancora, afferma non importa scegliere di volere il bene o il male, quanto di scegliere il fatto di volere.
Cosa vogliono in fondo da se stessi e per se stessi i protagonisti? Come sperano di ottenerlo?

Non sanno cosa vogliono perché devono rispettare quello che è il dubbio che il malinteso genera, quello che la presunta infedeltà genera. Il dubbio, il bivio è riproposto dal vortice dei personaggi che girano quasi su se stessi, poi in verità trovano una direzione ma la trovano perché il dubbio non può sussistere troppo tempo. Quindi non è un aut aut come direbbe Kierkegaard e come direbbe anche lo stesso Knausgard ma è semplicemente un et et. E’ un sia lo devo fare, sia non vorrei farlo. Questo bivio autoimmune li porta totalmente a gestirsi in maniera quotidiana, a non decidere progettualmente, perché il progetto era la famiglia, era il sistema famigliare piccolo borghese. Salta tutto mentalmente, quindi improvvisano. L’improvvisazione è l’unica cosa che succede in questo libro che avviene proprio per questo con quella tecnica di scambi di anime, di passaggi di anima, perché decidono in base agli incontri che fanno, alle energie che si scambiano e perché non hanno voglia più di progettualità, che li riporterebbe al sistema famigliare, ma vogliono loro stessi l’individuo e, per l’individuo e non la collettività, la prima persona singolare, non la prima persona plurale, devono poter improvvisare ogni giorno.

Dopo Il senso dell’elefante torna nell’ambientazione l’asse Milano – Rimini. Cosa rappresentano per te queste due città? È significativo che Sofia lasci Milano per tornare a Rimini, che indentifica come “casa”, mentre Carlo e Margherita, a Milano siano alla ricerca di una “casa” forse senza mai trovarla, ed in un certo senso anche Andrea sia in questa condizione? Estremizzo: Milano, il luogo delle opportunità, del possibile, Rimini il luogo dei punti fermi?

In questo romanzo Milano è il vaso di Pandora scoperchiato, e Rimini è il vaso di Pandora, invece, il cui coperchio non si leva, non si toglie. Questo accade perché Milano è una città di grandi conflitti che portano fuori conflitti e che ti fanno però trovare te stesso, se hai il coraggio di farlo. Non è il caso di Sofia, che può scegliere se rimanere o tornare in provincia e sceglie di tornare in provincia. E lì dice addio anche forse all’audacia di scoprire i propri talenti, quello della scrittura, all’audacia di scoprire se stessa, all’interno anche della malizia. E torna, diventa genitore del genitore e rimane un po’ in quelli che sono i ruoli riminesi un po’ già predefiniti, la figlia che forse si deve sposare, che non ce la fa, allora deve occuparsi del genitore, trova il suo angolo di mondo in una ferramenta, una specie di rifugium anche da quelli che sono gli istinti. Al contrario di Carlo e Margherita che rimangono nella loro Milano, che assume il ruolo di grande arena per diventare se stessi. In questo caso è una città molto feroce, ma che ti porta alla libertà o alla liberazione per te stesso. In qualche maniera Milano è la città della fedeltà che ti fa passare dall’infedeltà, Rimini è la città dell’infedeltà che ti sembra di far passare dalla fedeltà.

Andrea ed il cane, Cesar. Le pagine che descrivono il loro interagire così struggente e puro trovo siano cristalli di poesia. Posso azzardare?   Il senso più compiuto alla parola fedeltà si può dire che lo diano proprio loro due? Un vincolo che è più forte delle paure, fatto dell’esperienza del “capirsi”, dell’esserci come esercizio di volontà e non come frutto di calcolo o di status quo.

Sì, si può dire che Andrea e Cesar siano la vera fedeltà nel romanzo. Non solo perché passa attraverso un corpo che è ribelle, nel senso che viene esposto alle ferite, viene esposto alla morte, ma perché rimane per tutto, tutto il romanzo. Andrea non perde mai Cesar, Andrea non perde mai se stesso attraverso Cesar. Ed una cosa fondamentale perchè Cesar è un po’ la memoria di ciò che si è, di ciò che si diventa e di ciò a cui probabilmente si andrà incontro nella vita. E’ quindi una sorta di bussola di fedeltà, un cane che è anche quella che è la radice di un ragazzo che non riesce a trovare se stesso, ma che la trova attraverso prima i combattimenti e poi attraverso il ricordo di un amico animale che poi non c’è più. La scena di quando lui lo sotterra alla base del noce è probabilmente la scena che seppellisce anche tutte le infedeltà dei personaggi del libro, per far rimanere quella che è l’unica fedeltà possibile che è quella della memoria in un certo momento. Ecco perché Andrea è un personaggio fondamentale, anche se non è un protagonista.

Anna. Figura di una bellezza totale, sconfinata.  Anna è perno, abbraccio, Anna è quell’umano che incanta, di fragilità (ossa che si rompono) e forza (gesso che ricostruisce). Cosa rappresenta questo personaggio nell’economia del tuo romanzo? Cosa rappresenta per te questa figura e chi te l’ha ispirata?

Anna è quel porto franco che aiuta moltissimo sia lo Scrittore, sia i personaggi ad affrancarsi in un rifugium. Però non deve essere troppo buona, non deve essere proprio. Infatti ad un certo punto va da sola, è uno di quei personaggi che vanno da soli e che diventano reali perché sono ciò che sono. Viene dalla vecchia generazione, si è liberata grazie purtroppo al lutto del marito, perché si è svincolata da un contratto, chiamiamolo così, in cui l’uomo dominava la sua famiglia e lei era semplicemente una sarta appollaiata su uno sgabello e cuciva. E’ una madre. Diventa finalmente una donna libera, si sente una donna libera ed è per questo che riesce a cucire la non libertà e la presunta libertà di Carlo e Margherita e la sua voglia di libertà. Per cui è un personaggio totale del romanzo, se ne sta timida, poi no, poi ritorna timida e segue tutte le stagioni della vita, sia della narrazione di questa storia, sia di tutti gli altri personaggi, infatti li incontra tutti tranne Sofia, ma è come se la incontrasse, anche se attraverso Carlo, perché se ne accorge ed è meravigliosa perché è una donna che non sfugge alla paura dei legami.

Hai definito “Fedeltà” il romanzo-padre, ed è sicuramente una tappa fondamentale nella tua storia autoriale. Hai già in testa ora altre storie che vorresti raccontare? Ce n’è una che “urla”, bussa più forte delle altre?

No, non ce n’è una. Il mio processo creativo dura molto tempo, quattro, cinque anni. Di solito comincia quando un libro finisce anche la sua vita esterna, vuol dire che è uscito. Quindi teoricamente un embrione di storia creativa nascerà più avanti, e vorrei aspettare perché una delle mie fondamenta nel processo creativo è aspettare, darsi tempo, non avere fretta e pubblicare solamente cose che sento davvero e quando è il momento giusto.

 Marco Missiroli

Nel rinnovare la stima e rendere merito al lo straordinario talento narrativo di Marco Missiroli, tengo particolarmente a ringraziarlo di cuore per la squisita disponibilità.

A cura di Sabrina De Bastiani

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