A tu per tu con l’autore
Mirko, “L’uomo del bosco” arriva a tre anni di distanza da “Cosi crudele è la fine.” Nel presentarlo una delle cose che hai detto è che si tratta di un libro dalle tante voci, dalle tante suggestioni. Mi permetto di aggiungere che però l’anima di queste pagine è una sola. Quali sono le tante voci che hai ascoltato per scrivere questo romanzo e come hanno impattato su quell’anima, unica in molti sensi, che è la tua?
Sabrina, che domanda bella e complicata! Innanzitutto le voci degli autori, dei miei maestri. In primis Dennis Lehane di Mystic River (ricorderete il film con Sean Penn, Kevin Bacon e Tim Robbins) che è uscito nel 2020 per Longanesi nella mia traduzione e che ho tenuto accanto mentre scrivevo L’uomo del bosco per il suo senso del ritmo del destino. Poi sicuramente il King di Stand by me e It nella costruzione del mondo dell’infanzia del protagonista, il Prof. John Glynn. C’è la suggestione di Verne con Viaggio al centro della Terra e di Poe con Una discesa nel Maelström. E poi ci sono le voci che dimorano tra le fitte schiere dei fantasmi e che sussurrano incessantemente. La voce di un autore è la sintesi di tutti i suoi fantasmi, letterari e vividi, che abitano la memoria e che producono storie, allucinazioni, amori.
La storia che racconti, come nei migliori e più riusciti thriller, ci fa prigionieri fin da subito, trascinandosi in una lettura priva di tempi morti e passaggi scontati, spiazzante e sorprendente fino alla fine. Ho usato il termine thriller per immediatezza, ma di fatto il romanzo travalica e svalica i generi. Avevi precisamente in testa la traiettoria del plot, oppure lo svilupparsi dei piani temporali e logistici ha in qualche modo sorpreso anche te e stimolato a raccontare sviluppi diversi?
Avevo in mente una serie di storie che dovevano intrecciarsi, avevo in mente da subito il tema del Mistero e la voglia di costruire una risposta complessa alla domanda: cos’è il Mistero? Sapevo di voler raccontare una storia che mi mettesse per primo di fronte al mio di mistero e che mi desse la possibilità di fronteggiarlo man mano che scendevo negli inferi. Sapevo che sarebbe stato un romanzo complesso per struttura e ambizioso per l’effetto finale che volevo. Un romanzo con tre anime, una siderale, una geologica e una psicologica, che desideravo s’intrecciassero a raccontare e ri-velare l’universo, la Terra e l’io come una trinità del Mistero tout court.
Dovessi isolare una parola chiave di questa lettura così potente, sceglierei scavare. Mi ha colpito l’affinità di questo verbo con il cognome di uno dei protagonisti, Trivelli. È del tutto casuale o è un pensiero che hai avuto anche tu nel dargli un’identità?
Tutti i miei personaggi (anche Enrico Mancini) portano sulle spalle il peso del proprio destino nel nome, in un modo o nell’altro: perché indossano il nome di qualcuno che ho conosciuto, di un antenato o avo, di personaggi storici che sono stati dimenticati, di eroi popolari e infine per l’ombra di senso che quei nomi si portano dietro, come nel caso del commissario Trivelli ne L’uomo del Bosco.
All’ambientazione del romanzo, già suggestiva di per sé, hai regalato con la tua narrazione ulteriori sfumature e fascino ammaliante. Cosa ti ha raccontato il territorio che descrivi?
Chiunque si rechi a Civita di Bagnoregio si troverà a fare i conti non solamente con uno splendido luogo incantato, ma con un “adunaton”, letteralmente un “impossibile”, un luogo letterario se altri mai. Sospesa sul picciolo di una rocca al centro di una valle smisurata sta Civita con le sue case antiche, il campanile di San Donato e tutto il borgo che sembra sospeso in un tempo gigantesco, catastrofico, perché la sensazione di precarietà che produce la vista di Civita di Bagnoregio, conosciuta come “la città che muore” (la rocca perde 5 cm l’anno di roccia), è straordinaria. Conferisce a tutto una sensazione di precarietà che direi esistenziale.
Chi ha già letto il romanzo si starà senz’altro domando e adesso dove ci porterà Mirko Zilahy? Senza rivelare troppo, puoi darci solo un indizio circa i tuoi progetti futuri?
Un indizio… Se L’Uomo del Bosco ha spiazzato molti dei miei lettori e delle mie lettrici affezionate al commissario Mancini, il prossimo romanzo lo farà ancora di più…
E, a proposito, quando e quanto è meglio rivelare e quando e quanto ri-velare?
Io credo nel potere magico delle parole e nella potenza viscerale della letteratura. E ho scelto l’ambiguità della letteratura che non spiega, come prova a fare la scienza, non ha messaggi da consegnare al lettore, non insegna nulla che valga davvero la pena di imparare. Ma ri-vela, deforma, carica di ombre ulteriori il segno e ce lo rende impossibile da normalizzare. Produrre sgomento e meraviglia è l’unico scopo della letteratura, per me.
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