Julia, la strega di Siligo




ANTONIETTA URAS


Editore: IoScrittore

Genere: narrativa storica

Pagine: 415

Anno edizione: 2024


Sinossi. Julia non è come tutte le altre ragazze del paese: i capelli crespi e indomabili, il corpo vigoroso seppure disarmonico, non ha paura di girare per il bosco di notte, seguendo la luna, e di osservare i riti e le danze dei nomadi che si accampano appena fuori dall’abitato. Julia non ha timore delle grotte, che si sussurra conducano negli abissi della terra, dritte all’inferno. Soprattutto Julia possiede il “dono” ereditato dalla nonna, unica vera guida della sua giovane esistenza anche dopo la morte, attraverso i sogni. Grazie a lei la ragazza impara a conoscere i segreti delle erbe, come dosare odori e veleni per guarire le malattie e apprende le formule per prevedere e allontanare un destino maligno, per rassicurare le madri e aiutare i raccolti: è una guaritrice, una figura preziosa in una piccola comunità rurale. Ma anche pericolosa, perché nella Sardegna di fine Cinquecento, sotto il diretto dominio della Corona di Spagna, il clero e le autorità civili non esitano a soffocare, attraverso l’Inquisizione, qualsiasi forma di diversità e indipendenza, con terrore e brutalità. Basteranno dunque i pettegolezzi e l’invidia di alcune comari per la sua influenza sempre crescente, perché venga evocata l’immagine più spaventosa e sia emessa la condanna più terribile in quest’epoca tormentata: questa donna è una strega. Gli abusi, le torture, le sofferenze che ne seguiranno colpiranno Julia con durezza senza però piegare il suo spirito e appannare il suo sguardo, fino all’imprevedibile, straordinario finale. In perfetto equilibrio tra Storia e fiction, basato sugli atti del processo conservati negli archivi di Madrid, il racconto potente e provocatorio di una figura eccezionale ed emblematica sullo sfondo di una terra antichissima e affascinante.

 Recensione di Silvana Meloni


Il romanzo, ambientato tra la fine del 1500 e gli inizi del 1600, narra la vita di Julia Carta, personaggio storico, che fu inquisita dal Santo Uffizio della Sardegna e subì ben due processi per stregoneria ed eresia tra il 1596 e il 1606.

Il corposo lavoro prende le mosse raccontandoci di una Julia bambina e adolescente, cresciuta nel borgo contadino di Mores, fino al suo primo arresto, passando per il matrimonio con un agricoltore di Siligo, l’adattamento nel nuovo paese, le amicizie, le gravidanze sfortunate, i dissapori con alcune compaesane invidiose.

Ci viene presentata una ragazza di umili origini che vive modestamente, piuttosto ingenua e sempre disposta ad aiutare il prossimo nei limiti delle sue possibilità. Così come molte donne in quel periodo, conosce i poteri medicamentosi delle erbe, si affida a qualche superstizione insegnatale della nonna e si prodiga per curare le persone che chiedono il suo aiuto.

Le malelingue e l’invidia dei compaesani e delle compaesane, che mai l’hanno considerata altro che una straniera, le procurano i primi guai con la giustizia religiosa.

A questo punto termina la prima parte del romanzo e inizia il racconto di quanto accaduto negli anni in cui fu processata e condannata come strega ed eretica, suffragato da dati storici precisi ricavati dagli atti del processo, raccolti nel lavoro di Tommaso Pinna (Storia di una strega, l’Inquisizione in Sardegna, Processo di Julia Carta, Edes, 2000), nonché dalla copiosa bibliografia che troviamo alla fine del libro.

Per la recensione partirei dalle parole della stessa autrice che, in postfazione, ci dice:

“… la comunità di un villaggio, incredibilmente, collude con l’odiato sistema giudiziario, controllato da una importante inquisizione che per secoli si è impegnata a distruggere intere categorie sociali, vedendole come una minaccia all’intoccabile potere religioso e politico di Santa Madre Chiesa e dell’impero spagnolo… per cui la difesa del sistema dominante veniva attuata contrastando ogni manifestazione di diversità…

In questo postulato, a mio avviso, risiede l’importanza di raccontare oggi una storia così lontana nel tempo, una storia di comunità chiuse e diffidenti, di faide familiari che nascono da un’offesa banale e si protraggono per decenni, di autorità straniere che, nel timore di veder polverizzare il loro potere tra le maglie di una cultura contadina e pastorale che non comprendono, utilizzano sistemi violenti e autoritari ammantandoli di falsa giustizia.

Ottennero di fatto lo scopo contrario: allontanare il popolo da chi pretendeva di governarli, stranieri che applicavano una Giustizia estranea al territorio. Così era sotto la dominazione spagnola, così fu sotto la dominazione dei Savoia, così fu quando la Sardegna doveva sentirsi parte del nuovo Stato italiano.

Ma non è tutto, perché questa è solo la cornice. All’interno c’è la repressione del femminile, di quello che la Chiesa e il patriarcato governante giudicavano come un pericoloso attentato al loro potere.

Così la bellezza femminile, tentatrice e manifestazione del demonio, sposandosi con il controllo esercitato dal potere di guarire le malattie e di aiutare le partorienti, divennero ai loro occhi pericolose, giustificando le persecuzioni e la caccia alle streghe che si diffuse nel mondo occidentale tra il 600 e il 700, a rovina delle donne che si allontanavano dalla strada precostituita della sottomissione.

Per tutto questo il romanzo è encomiabile, per il messaggio che trasmette, per la puntuale ricerca storica che lo sottende e per il corposo impegno dell’autrice.

Tuttavia, da lettrice, ho da fare qualche rilievo. Ho trovato la prima parte della narrazione (le prime duecento pagine) davvero troppo lunga e ripetitiva nella descrizione delle dinamiche sociali tra le donne del paese, del continuo alternarsi tra amore e odio, richiesta d’aiuto e manifestazioni d’invidia, delle pratiche curative usate da tutte loro, non prive di superstizione e a tratti sorrette solo dal rancore.

Benché il linguaggio fosse semplice e scorrevole, la lettura mi è apparsa più volte pesante, soprattutto per il tentativo dell’autrice di rifugiarsi nel realismo magico senza riuscire ad essere convincente, almeno per una lettrice di età superiore a quella adolescenziale.

Molto diversa è invece la seconda parte del romanzo. Dal momento della denuncia, a cui fa seguito l’indagine e si racconta il primo processo, il tono dell’esposizione cambia. Diventa una narrazione avvincente e soprattutto si sviluppa attraverso circostanze diverse, azioni che coinvolgono il lettore e spingono a girare la pagina.

Molto interessante quanto viene esposto nella postfazione, che, a mio modestissimo parere, non avrebbe guastato come introduzione al romanzo; anzi avrebbe consentito al lettore un approccio diverso rispetto alla prima parte, così corposa e ostica se affrontata nell’ignoranza dei presupposti che hanno spinto l’autrice a trattare l’argomento con questo taglio narrativo.

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Antonietta Uras


L’autrice, che scrive con lo pseudonimo Antonietta Uras, è nata a Sassari e, dopo aver lavorato in ambito sanitario a Ravenna, ora è tornata a vivere in Sardegna, di fronte al suo mare, dove si dedica alla lettura e alla scrittura, che ha amato fin da bambina. È appassionata di storia da sempre. Nel 2014 ha pubblicato L’ultima regina di Torres (Curcio editore).

A cura di Silvana Meloni

Instagram/silvana.meloni