La linea del sangue




Recensione di Marina Morassut


Autore: Jesmyn Ward

Traduzione: Monica Pareschi

Editore: NN Editore

Genere: Narrativa

Pagine:  320

Anno di pubblicazione: 2020

Sinossi. Una voce contemporanea importante: una narratrice sensibile, lirica, di storie aspre provenienti dalla terra di Faulkner e Welty»The New York Times

Joshua e Christophe sono gemelli e vivono a Bois Sauvage, Mississippi, insieme alla dolce Ma-mee, la nonna cieca che si è sempre presa cura di loro. La madre, Cille, si è trasferita ad Atlanta per cercare fortuna, mentre il padre, Sandman, è tossicodipendente e li ha abbandonati da tempo. I gemelli si sono appena diplomati e trascorrono la loro ultima estate di libertà tra tuffi nel fiume, partite di basket e feste con gli amici. Ma devono anche iniziare a cercare un lavoro: saranno loro, adesso, ad aiutare la nonna, diventando gli adulti di casa. Joshua trova un impiego al porto e si innamora di Laila, mentre Christophe non ha fortuna e inizia a spacciare. Le strade dei due fratelli si dividono per la prima volta, e ai loro malumori si aggiungono le incomprensioni con Cille e le tensioni con Sandman, che dopo anni ricompare a casa di Ma-mee.

Recensione

La linea di sangue che unisce Joshua e Christophe alla madre quasi per caso ed al padre sbagliato, come pure alla dolce nonna Ma-mee. La linea di sangue che unisce anche gli altri due romanzi della Ward, che con quest’ultima prova costruisce un intricato sentiero che il lettore batte consapevole di ciò che troverà, soprattutto se ha già letto i precedenti due romanzi di Bois Sauvage: “Salvare le ossa” e “Canta, spirito, canta”.

La linea di sangue o di verde linfa vitale che si fa appiccicosa per il caldo afoso e che riempie l’aria in questa parte del profondo Sud di un’America che ancora una volta mette in scena la vita fra chi è ricco e chi vive nella povertà, a chi proprio di povertà vive.

Quest’ultimo romanzo che conclude la trilogia voluta dalla Ward è in realtà la prima parte di questo trittico, e si colloca più o meno ad un mese dall’arrivo del devastante uragano Katrina. E come abbiamo puntualizzato parlando del secondo romanzo di questo ciclo, si rimane meravigliati dal cambio di registro che Jesmyn Ward imprime ad ogni nuovo racconto.

Non già la reiterata storia trascinata avanti per tenere legati a sé i lettori, ma una ricerca costante ed attenta degli argomenti su cui far pensare, su cui far discutere i propri lettori, cambiando completamente le storie, usando lo stesso sfondo per dare un continuum narrativo eparlando in fondo delle stesse dinamiche viste da diversi punti di vista e viste da famiglie diverse, ma sempre ai margini di quella società che si bea della linea del Mississippi.

Un romanzo, “La linea del sangue”, che proprio come questo vischioso liquido o come il fiume Mississippi si curva, si ramifica in rivoli e non sa che direzione prendere, anche se il tracciato è oramai definitivamente segnato.

L’intervallo ci consente di osservare partecipi alle vicissitudini di questa famiglia sui generis, come ce ne sono molte, in fondo. Due fratelli gemelli che sono all’atto conclusivo del loro percorso scolastico, diploma alla mano – e che si ritrovano all’improvviso a doversi assumere le responsabilità che ciò comporta, e a dover quindi abbandonare la spensieratezza degli studenti e a doversi reinventare come novelli uomini.

Uomini forti e coraggiosi, come li ha educati l’ammirevole nonna Ma-mee, roccaforte della loro vita, che fin dalla più tenera età dei nipoti si è vista costretta ad anteporre il ruolo di madre a quello di nonna, per questi due piccoli cuccioli. La figlia Cille, troppo irrequieta, o forse distratta, o forse non così forte da poter affrontare la maternità, si trasferisce presto ad Atlanta, per aiutare economicamente la famiglia, a sua dire. Una figura inconcludente, sterile. Sarà un tradire la linea del sangue, il cui percorso varierà, risalendo la linea genealogica ed assestandosi in grembo alla vera madre, dispensatrice dell’amorevole calore casalingo:la nonna. Un padre inesistente, Sandman, che procura più danni e che risalta per l’incapacità di non saper vivere, se non vilmente. Del resto, la Ward ci ha abituati a queste figure maschili inette, se non addirittura violente. Attorno a tutti loro, il cugino dei gemelli, un amico tentatore ma dal cuore d’oro – e tutta la famiglia.

In questo racconto, Bois Sauvage è un leone, insieme ai gemelli – ed in generale la natura qui, connaturata ad un clima torrido, afoso, serpentesco e alle gestualità così fisicamente  pressanti, non lascia un attimo di respiro, se non bollente, ed accompagna ogni santo giorno la crescita emotiva, spirituale e fisica di questi due giovanissimi uomini.

Se in un certo senso negli altri due romanzi, accanto alle dure difficoltà della povertà estrema e della diseguaglianza razziale e sociale si aggiungeva una poetica sfumatura dolce-amara, quantomeno nella narrazione, in questo primo romanzo la Ward ci precipita in un mondo doloroso e crudo, fatto di chi soffre ma segue la via giusta, a costo di un impegno disumano condito da sudore e fatica estreme, e fatto di chi sceglie la via più semplice, il mondo del “mors tua vita mea”, condito da droga e nello stesso tempo dolore e pentimento e di sporchi sotterfugi, che rischiano di risucchiare nel buco nero anche chi cerca di tendere la mano amica e fraterna.

In tutto questo, anche per misurare il divario temporale tra un romanzo e l’altro, (visto che qui ad esempio incontriamo “nuovamente” Skeetah), incombe a poca distanza e appena accennato l’arrivo della madre dispensatrice di morte, Katrina, l’uragano che nel 2005 crea un prima ed un dopo, irriconoscibile per gli abitanti stessi delle zone interessate da questa spietata catastrofe.

E’ difficile leggere quest’autrice americana, che canta in modo impeccabile le problematiche di un’America dove ancora la povertà estrema ed il colore della pelle ti segnano irrimediabilmente, senza fare un raffronto con la sua vita, la morte ingiusta del fratello, la violenza senza giustizia, la droga onnipresente. E nel leggere i suoi romanzi si percepisce sempre un’urgenza di dire, di raccontare, di far uscire allo scoperto questo bubbone che impedisce una vita dignitosa e ti costringe sempre a delle scelte limitate e di seconda classe.

E allora noi, senza mediazioni intellettuali, ma solo con il potere delle parole della Ward che sgorgano in superficie per riportare la linea del sangue al suo percorso originario, terremo sempre a mente l’immagine con cui si apre il romanzo, quando ancora i due fratelli sono una cosa sola, quando è ancora tutto in divenire e solo a volerlo, ogni possibilità che ci si spalanca davanti può essere afferrata. E li seguiamo sopra il ponte, nell’attimo in cui si lanciano verso il fiume rinfrescante, abbracciandosi.

 

Jesmyn Ward


è una scrittrice statunitense. Vive in Mississippi, dove insegna scrittura creativa alla Tulane University. Con il suo romanzo Salvare le ossa ha vinto il National Book Award nel 2011, e il suo memoir Men We Reaped è stato finalista al National Book Critics Circle Award. Con il suo ultimo romanzo, Sing, Unburied, Sing, Jesmyn Ward ha vinto il National Book Award per la seconda volta, prima donna dopo scrittori come William Faulkner, John Cheever, Bernard Malamud, Philip Roth, John Updike.

 

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