HAN KANG
Traduttore: Lia Iovenitti
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Anno edizione: 2024
Sinossi. Un vasto cimitero sul mare. Migliaia di tronchi d’albero, neri e spogli come lapidi, su cui si posa una neve rada. E intanto la marea che sale, minacciando di inghiottire le tombe e spazzare via le ossa. Da anni questo sogno perseguita la protagonista Gyeongha che, dopo una serie di dolorose separazioni, si è rinchiusa in un volontario isolamento. Sarà il messaggio inatteso di un’amica a strapparla alla sua vita solitaria e alle immagini di quell’incubo: quando Inseon, bloccata in un letto di ospedale, la prega di recarsi sull’isola di Jeju per dare da bere al suo pappagallino che rischia di morire, Gyeong-ha si affretta a prendere il primo aereo per andare a salvarlo. A Jeju, però, la accoglie una terribile tempesta di neve e poi un sentiero nell’oscurità dove si perde, cade e si ferisce. È l’inizio di una discesa agli inferi, nel baratro di uno dei più atroci massacri che la Corea abbia conosciuto: trentamila civili uccisi, e molti altri imprigionati e torturati, tra la fine del 1948 e l’inizio del 1949. Una ferita mai sanata che continua a tormentare le due amiche, proprio come aveva tormentato la madre di In-seon, vittima diretta di quel crimine. Tre donne, unite dal filo invisibile della memoria, che con determinazione si rifiutano di dimenticare, di dire addio e troncare il legame con chi non c’è più.
Recensione di Paola Iannelli
Non sapevo chi fosse l’autrice di questo romanzo, prendo coscienza del suo narrare avvicinandomi al libro suo più noto: La vegetariana. Mi colpisce l’estrema concretezza del linguaggio, quella linea dura, spoglia di orpelli, priva di qualsivoglia riferimento classico. Lei ci parla utilizzando un registro asciutto, reso necessario per trasmettere la cruda realtà, senza girarci intorno, né costruendo storie melense, in cui la protagonista affonda i ricordi in stravaganti combinazioni romantiche.
Non dico addio è una lunga e accorata preghiera, per coloro che hanno lasciato questa terra, in nome della vile conseguenza che colpisce le vittime di guerra.
Han Kang attraversa un sogno, dal quale emergono come per incanto i ricordi legati ai massacri avvenuti nella sua terra: la Corea.
Sebbene queste realtà siano ben lontane dal comodo abbraccio in cui si stringe la nostra cara e vecchia Europa, senza dimenticare di ciò che avviene ad est, Han Kang ripercorre con un ritmo serrato le vicende che hanno sconvolto la sua gente.
La lettera di addio che non si conclude, ma segue il racconto in tutta la sua interezza, viene bruscamente interrotta dalla chiamata di una sua amica Inseon, che giace in un letto di ospedale per aver perso due falangi di una mano, durante l’esecuzione di un’opera in legno. L’intarsio della materia acuisce lo scopo del viaggio che la protagonista Gyeonha decide di compiere, sotto la bizzarra richiesta di Inseon: salvare il pappagallo Ama da morte certa.
Una bufera di neve si abbatte durante il tragitto, i fiocchi perdono la loro fisicità, si trasformano in stelle cadenti, unici indizi che seguono Gyeonha nel trasbordo, da un capo all’altro del paese.
I cristalli che compongono i fiocchi si materializzano, non perdono la loro forma originaria, neanche quando si fondono a contatto col suolo, restano integri in ricordo di un’esistenza labile, scomponibile. La materia e la forma sono gli elementi essenziali per l’essere umano, non possono scindersi l’uno dall’altro, compiono un rettilineo pieno di curve, la cui meta è sconosciuta.
All’inizio del racconto la protagonista cerca di scrivere una lettera d’addio, ma dopo aver attraversato la tempesta di neve, resuscita dal profondo stato di negazione in cui era crollata, fendendo il telo della disperazione per ritrovarsi da sola a riemergere dal fango della crudeltà che la voleva morta.
Il finale ci lascia spazio all’immaginazione, le due donne appaiono vicine e lontane, in un sogno che perpetua le loro esistenze senza tralasciare il benché minimo sospetto che la loro vita finisca. La speranza di un mondo migliore resta nell’intima voglia di rimescolare le carte e giocare un’ennesima partita.
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Han Kang
1970, Gwangju Han Kang è una scrittrice coreana, vincitrice del Premio Nobel per la Letteratura nel 2024. Vittoria che le ha permesso di diventare la prima autrice asiatica nella storia ad aggiudicarsi tale riconoscimento. «Fin da quando ero bambina, ho sempre voluto conoscere. Conoscere il motivo per cui siamo nati. La ragione per cui esistono la sofferenza e l’amore. Queste domande sono state poste dalla letteratura per migliaia di anni e continuano a essere poste oggi». – Dal discorso di Han Kang alla cerimonia di premiazione del Premio Nobel per la Letteratura. Nata nel 1970, è figlia dello scrittore Han Seungwon e come il padre ha vinto il Yi Sang Literary Award. Studiosa di letteratura coreana alla Yonsei University, ha iniziato la sua carriera come poetessa. Nelle sue opere Han Kang si confronta con traumi storici, esponendo la fragilità della vita umana, enfatizzando le connessioni tra corpo e anima, vivi e morti, con uno stile poetico unico e sperimentale, confermandosi un’innovatrice della prosa contemporanea.
In Italia i suoi romanzi sono pubblicati da Adelphi. Tra i titoli ricordiamo, La vegetariana, vincitore dell’International Booker Prize nel 2016, Atti umani (2017), Convalescenza (2019), L’ora di greco (2023), Non dico addio (2024). Han Kang nel 2024 ha vinto il Premio Nobel per la Letteratura con la seguente motivazione: «per la sua intensa prosa poetica che affronta i traumi storici ed espone la fragilità della vita umana.»
A cura di Paola Iannelli