Recensione di Francesca Mogavero
Autore: Jim Thompson
Editore: Harper Collins
Traduzione di Anna Martini
Pagine: 276
Genere: Noir/Hard-boiled
Anno di pubblicazione: 2021
Sinossi. Chi ha detto che tra moglie e marito non è mai il caso di mettere il dito? C’è chi lo fa e pure con discreto successo. Quando nella fiacca routine di Joe ed Elizabeth, che insieme gestiscono l’unico cinematografo della cittadina di Stoneville, irrompe la giovane e apparentemente ingenua Carol, assistente tuttofare, nessuno penserebbe mai che una storia di corna possa trasformarsi nella più improbabile delle finzioni shakespeariane, per giunta nella sonnolenta provincia americana. Eppure, è proprio Elizabeth a proporre al marito e alla giovane amante un patto di ferro: accetterà di farsi da parte e scomparire per sempre, inscenando la propria morte per un terribile incidente, pur di intascare i soldi dell’assicurazione. Perché, in fondo, l’amore e il vincolo del matrimonio sono sacri, ma un bel gruzzolo e la noia possono fare tutta la differenza del mondo. Nel frattempo, Elizabeth se ne starà rintanata in un luogo sicuro, in attesa dei soldi. Detto fatto. Basta un annuncio sul giornale per trovare la candidata idonea al ruolo di vittima designata. Qualcosa naturalmente non andrà per il verso giusto, anche perché il perito dell’assicurazione sente… puzza di bruciato quando fa un sopralluogo nel cinematografo incendiato da Joe. Nubi temporalesche si addensano sulla testa del maldestro Joe. Solo la benevolenza dei suoi concittadini gli evita di sprofondare. Ma la strada, persino nel deserto, è lunga e tortuosa.
Recensione
Nella commedia classica ricorrono due ruoli agli antipodi: il fanfarone, quello tronfio, banalmente vanaglorioso, e il servus currens, furbo e pieno di mille espedienti, gaudente, magari anche felice, a dispetto della sua condizione di schiavitù.
Joe Wilmot protagonista di Nulla più di un omicidio, riesce nell’impossibile: li interpreta entrambi, in un hard-boiled, per giunta. Con risultati pirotecnici.
Orfano e con il riformatorio alla spalle (che proietta ancora lunghe ombre), Joe gestisce il cinematografo di una piccola città di provincia riuscendo a sbaragliare, raggirare, perfino rovinare –ma sempre destando una certa amara ammirazione, pure nelle sue stesse vittime – concorrenti e affittuari, distributori e sindacati.
Joe è scaltro, è una volpe con un fiuto straordinario per gli affari, per strappare condizioni vantaggiose sempre sul filo della legalità e forse per sfamare il proprio senso di rivalsa; il suo matrimonio con Elizabeth – che è più grande di lui, dice e fa la cosa sbagliata al momento sbagliato, non si intende di questioni di soldi e magari nemmeno la interessano, ma è capace di rivoltarlo come un calzino – procede senza troppi slanci fino all’arrivo della giovane Carol, che non ha nulla di particolarmente strabiliante (“Era tremenda. Sembrava un sacco di crusca che non riesce a decidere da che parte cadere”) eppure lo attira in modo inspiegabile, inesorabile, fatale.
La tresca è presto scoperta dalla signora Barclay-Wilmot e qui scatta il patto: se insceneranno la sua stessa morte e le faranno avere i venticinquemila dollari dell’assicurazione fino all’ultimo centesimo, Elizabeth se ne andrà per la sua strada senza alcuna recriminazione. Del resto, ormai lei e Joe sono arrivati a odiarsi, no?
Ecco allora entrare in scena, del tutto secondario, quasi invisibile ma fondamentale, un altro personaggio di questa commedia nerissima: la donna che dovrà sacrificarsi ed essere scambiata per lei.
Basta un annuncio di lavoro sul giornale, trovare la candidata più adatta per corporatura e fisionomia e bang!, il gioco è fatto, tutti felici, ricchi e contenti. Troppo semplice? Già.
E il bello è che tutto questo lo scopriamo un pezzetto alla volta dalla voce dello stesso Joe, preso da mille altri maneggi, ricatti e tiri mancini, Joe che ci intorta nostro malgrado, rendendoci spettatori attivi e felicemente paganti, complici. Dà per scontato, saltabecca, sforbicia, come se fossimo amiconi da una vita e le spiegazioni non fossero necessarie, ci prende a braccetto, ci strizza l’occhio da faina, ci fa sentire sullo stesso piano, arguti e brillanti – “ci siamo capiti”… e come dirgli no, come deludere lui e noi stessi, ammettendo di non essere così astuti, dopotutto – ma solo per un attimo, perché poi ci spiazza ancora una volta… Anzi, è la vicenda stessa a imbizzarrirsi e a prendere una piega che lascia tutti quanti a bocca aperta.
Cosa si è disposti a fare, a nascondere, a perdonare per amore? E per dimostrare di valere qualcosa, al di là delle cattive stelle, delle opinioni e dei sonanti “testoni”?
Jim Thompson è il demiurgo che ride, il crudele burattinaio con un grande, cinico, assurdo senso dell’umorismo, e dà vita a un romanzo che odora di whisky e pellicola… Ma fate attenzione: sono entrambi infiammabili!
A cura di Francesca Mogavero
Jim Thompson
Jim Thompson è nato ad Anadarko, in Oklahoma, nel 1906. Ha cominciato a scrivere romanzi molto giovane, vendendo il suo primo racconto a True Detective quando aveva solo quattordici anni. Ha scritto ventinove romanzi e ha cosceneggiato Rapina a mano armata e Orizzonti di gloria, capolavori di Stanley Kubrick. Da molti suoi romanzi sono stati tratti dei film, sia negli Stati Uniti, che in Europa. È moto in miseria a Hollywood nel 1977.
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