Buio a Grinville




Recensione e intervista a cura di

Claudia Mameli


Titolo: Buio a Grinville

Autore: Sergio Pavoloni

Editore: Bookabook

Anno: 2017

Genere: Thriller

Pagine: 335

Susan è un’agente di polizia che sta finalmente vivendo una bella storia con Adam. Ha quasi la certezza che sia amore quando, a stravolgere la sua apparente tranquillità, riemerge dal nulla un passato vecchio una decade di nome Thomas Willing.

Ai tempi della scuola, prima che venisse ucciso da un assassino senza nome, forse per aver scoperto un terribile segreto, lui e Susan erano fidanzati. Da allora la vita della vedova bambina, così viene ribattezzata dai suoi compaesani, si concentra nella continua ricerca della verità.

L’unico indiziato e spasimante di Susan all’epoca dei fatti, Gary Ferreira, è prosciolto per mancanza di prove, ma Susan si ostina a voler scoprire a tutti i costi la verità; a maggior ragione, quando in una foto scopre un dettaglio agghiacciante.

Circondata da un mondo omertoso, pronto a giudicare senza mai mostrare apertamente il proprio volto, Susan si ritrova vittima di uno sconosciuto che la perseguita a forza di minacce pur di impedirle di proseguire le ricerche.

Ad appoggiarla saranno soltanto Margaret e Kras, i suoi più cari amici da una vita. Sarà grazie a loro che, un tassello alla volta, potrà ricostruire un puzzle troppo difficile persino per la polizia, dove niente è come sembra, le menzogne fanno meno male della verità, e la morte appare come la soluzione agli intoppi della vita.

Utilizzando improvvisi cambi di registro che tengono sempre accesa l’attenzione del lettore, Sergio Pavoloni intreccia una trama nella quale il filo conduttore è la presa di coscienza del bene e del male.

Questi due elementi vanno infatti a reggere l’intero romanzo e vengono interpretati come inscindibili l’uno dall’altro diventando, così, la chiave di lettura che condiziona l’agire di tutti i personaggi.

Se da una parte c’è chi trova riprovevoli determinati atteggiamenti, d’altra parte abbiamo chi è fermamente attaccato all’aforisma del fine che giustifica i mezzi.

La protagonista principale viene denudata quasi immediatamente, in modo da avere subito chiaro il suo pensiero riguardo al senso di giustizia, cosa che avviene in linea di massima anche per gli altri personaggi e, soprattutto, per quello che è il pensiero comune che alberga la mente della comunità in cui vive.

In quest’ultima appare immediato il volersi appropriare delle disgrazie altrui, in modo da poterne trarre spunto di pettegolezzo per il mero svago personale; da qui, si evince che l’autore abbia voluto sottolineare un generale grado di superficialità che caratterizza buona parte dei gruppi sociali cittadini.

Il secondo personaggio principale viene invece introdotto nel racconto in maniera graduale e solenne, partendo da una serie di princìpi e norme morali, spesso mostrate in maniera enigmatica, con le quali vorrebbe poter aprire una finestra sul mondo della consapevolezza del senso della vita stessa.

Le ambientazioni descritte sono molto accurate, cosa che fa pensare ad una buona documentazione dell’autore, che non si è invece sbilanciato più di tanto nel dare indizi concreti per la risoluzione del caso, inserendo invece diversi colpi di scena che mantengono alto l’interesse fino alla fine.

Ottimo esordio per un giovane scrittore che sa usare la penna con delicatezza e maestria. Un invito al proseguo della sua carriera!

“Erano passati anni prima che lei si sentisse nuovamente in grado di vedere se stessa con un uomo. L’episodio del 1998 le aveva lasciato una cicatrice profonda, ma Adam era riuscito a farle superare questo ostacolo. Non erano innamorati, ma questo non voleva dire nulla.”

“Guardando agli angoli di tutto il bar, si rese ben presto conto che nel locale c’erano appena cinque persone e che tutte la stavano fissando. La cosa ancora più clamorosa era che non le faceva neanche più impressione. A Grinville tutti sapevano chi era Susan Lay.”

“Lei guardava lì fuori, nel buio, e nessuno le toglieva dalla testa l’idea che qualcuno, contemporaneamente, stesse osservando lei.”

“Lenny, il bene assoluto non esiste. Nessuno fa nulla per nulla, nessuno mette il bene comune di fronte ai propri interessi. Ma è normale, è nella natura umana. I buoni gesti che tu vedi far ehanno sempre un doppio fine. (…) Il bene non è altro che la maschera del male. L’uno non esiste senza l’altro.”


Intervista a Sergio Pavoloni

Ciao Sergio, benvenuto su Thriller Nord. Partiamo subito da due parole: Australia e ONU. Come si ricollegano a te?

Ciao Claudia. Grazie, per me è un piacere essere qui con Thriller Nord. Partiamo dall’Australia, ho vissuto lì per tre anni quando ero un bambino, ma ero grande abbastanza per ricordare tutto ed essermi potuto vivere al massimo l’esperienza. Ci trasferimmo con tutta la famiglia volendo cogliere un’opportunità. E devo dire che ancora oggi la reputo la mia più grande fortuna e l’esperienza di vita che più mi ha segnato.

L’ONU è stata invece un’esperienza professionale incredibile. Vivere tutti i giorni a contatto con persone che provengono da ogni parte del mondo, scoprire culture, abitudini, filosofie di vita che noi neanche immaginiamo è fantastico. È stata un’esperienza fatta durante il mio percorso di studi, ma la reputo veramente formativa da un punto di vista personale.

So che sei sempre stato un lettore curioso e col tempo hai coltivato il desiderio di provare a scrivere qualcosa di tuo, anche se il genere thriller non era quello che ti attraeva maggiormente. Qual è stato il romanzo che ti ha fatto cambiare idea?

È vero, faticavo a vedere nel thriller e nei gialli un modo di raccontare una storia, non so esattamente per quale motivo a dir la verità. A farmi ricredere è stato per primo Roberto Costantini con “Tu sei il Male”. Ad illuminarmi, invece, sono stati i romanzi di Donato Carrisi. Parliamo di due autori italiani che possono tranquillamente competere e mettersi al livello dei giganti americani secondo me.

Buio a Grinville” è un romanzo complesso, nel quale il caso investigativo fa da facciata ad un argomento che, forse, è più oscuro di un delitto irrisolto. Dove e come nasce la scelta di affrontare una storia di questo tipo?

Parto da un presupposto, quando scrivo non ho la presunzione di voler insegnare nulla. L’unico obiettivo è divertire e incollare il lettore al romanzo. Farlo perdere nella storia. Spesso ragiono sul bene e sul male, anche leggendo molti romanzi mi sono accorto che sono temi spesso trattati. Ecco, l’intento che avevo era di far passare la mia idea, ovvero che bene e male non sono distinti. Sono entità “complici”, inscindibili. Dove una persona vede il bene, un’altra può vedere il male assoluto e viceversa. Faccio sempre lo stesso esempio. Proviamo e dire a un bambino che se si mette con una lente d’ingrandimento a riflettere i raggi del sole su un ragno questo prende fuoco… Vorrà subito provare. Per lui è un gioco, ma stiamo parlando di qualcosa di terribile a pensarci bene.

Parliamo del tuo essere autore emergente. Che idea ti sei fatto di questo mondo, quali difficoltà stai trovando e quali, invece, sono le soddisfazioni? Hai già un nuovo progetto letterario in testa?

Studio il mondo editoriale da anni. È sicuramente una realtà molto complessa, in cui non sempre sono i romanzi straordinari a trovare la pubblicazione che meritano. Ma le possibilità di emergere, con sacrificio, ci sono. Io gestisco personalmente una mia pagina d’autore da qualche mese e devo dire che, seppur piccola, si sta creando un comunità molto interessante. La forte spinta per un romanzo arriva dal passaparola quando non hai un grandissimo editore che ha disponibilità economiche rilevanti.

Un progetto in testa c’è, sta prendendo ancora forma, diciamo è in fase embrionale. Ma non voglio darmi fretta, sarebbe sbagliatissimo. Sono convinto che quando una persona legge un libro, investe del tempo su una storia altrui, e il tempo non ce lo ridà indietro nessuno. Non voglio rischiare che per fretta di raccontare una nuova storia possa far “perdere” tempo a un lettore. Devo fornire il miglior prodotto che riesco e per questo ci vuole tempo.

Ti ringrazio per avermi sopportato in quest’intervista, che non si può concludere prima che tu mi abbia detto se hai da poco letto un autore nordico. Se si, quale? Se no, cosa aspetti?

Sono io a ringraziare te per la pazienza.

Amo gli autori nordici. Il primo maestro e grande fonte d’ispirazione per me è stato chiaramente Stieg Larsson. Sembrerà una buffa coincidenza, ma, attualmente, ho da poco iniziato a leggere “Sete” di Jo Nesbo, un altro grandissimo, come la maggior parte degli autori nordici in termini di gialli e thriller. Ma questo, voi, già lo sapete.

Sergio Pavoloni