Recensione di Sara Zanferrari
Autore: Loreta Minutilli
Editore: La Nave di Teseo
Genere: narrativa
Pagine: 256
Anno di pubblicazione: 5 marzo 2021
Sinossi. Ettore, il protagonista e voce narrante, è un uomo che racconta la sua vita attraverso la lente dell’amore per Elisa: prima sua vicina di casa, poi graziosa fidanzatina adolescente e infine moglie e madre dei suoi figli. Ma anche una donna molto diversa da lui, che proviene da un contesto degradato e non sempre riesce a capire l’amore totalizzante e a tratti morboso del marito. Ettore finisce per programmare ogni minimo dettaglio della vita di Elisa: dall’abito da indossare la sera dell’anniversario fino alla decisione di tenerla al riparo dalle fatiche del lavoro, votandola a una vita da casalinga che Elisa non ha nemmeno il tempo di chiedersi se è veramente ciò che desidera per sé. Un giorno, come un fulmine a ciel sereno, la donna decide di prendersi una pausa da lui, tornando a vivere dalla madre. Rimprovera Ettore di non averla mai né ascoltata né tanto meno capita e dopo qualche insistenza promette di spiegare cosa è stato per lei il loro matrimonio: un’esperienza soffocante che non può più proseguire su quegli stessi binari. Ettore sarà disposto a mettere in discussione gli schemi imposti dai ruoli tradizionali, i suoi comportamenti e le sue scelte, per ritrovare il rapporto con la moglie? Loreta Minutilli entra nella mente di un uomo e racconta la storia di un matrimonio allo specchio, di un marito e una moglie di fronte eppure distanti, di una coppia che si domanda se non sia troppo tardi per reimparare ad amarsi.
Recensione
Quante volte abbiamo chiamato amore ciò che poi si è rivelato altro?
“Quello che chiamiamo amore”: un titolo azzeccato, per questo romanzo sottilmente critico che punta il dito su quel particolare “buonismo” del sesso forte, che pagina dopo pagina attraverso i pensieri del protagonista, Ettore, svela il maschilismo sotteso alla teoria del “Io ti salverò”.
Lo troviamo in tanta maniera di pensare e vivere, ogni giorno, l’eterna favola del principe azzurro che col cavallo bianco salva la fanciulla prigioniera del castello. E del drago.
In questo caso Elisa, la vicina di casa del balcone di fronte, è la dolce fanciulla indifesa, il drago anzi i draghi, sono i genitori, una madre che urla e un padre che alza le mani, ed Ettore decide che sarà colui che un giorno porterà via la vittima da tutto ciò, consacrandosi Salvatore.
Lo decide già bambino e ci costruisce intorno tutto un film che non può svolgersi diversamente da come lui l’ha sceneggiato. Un film che in realtà vede lui come unico protagonista. E sta lì l’errore: in amore i protagonisti dovrebbero essere due, invece Ettore non si chiede mai cosa pensa Elisa, cosa desidera, cosa vuole. È mosso dalla convinzione di sapere, solo lui, cosa sia bene per lei e che quello sia “voler bene”, amare. Così convinto che è assolutamente inconsapevole di non accorgersi di nulla di ciò che gli accade intorno.
Farebbe quasi tenerezza a tratti, in questa sua ingenuità infantile, se in realtà non sortisse alla fin fine l’effetto opposto: in un angolo recondito del nostro cervello si forma lentamente il pensiero checome atteggiamento sia tutto sommato di gran comodità.
C’è pure chi ci prova qua e là a insinuargli il seme del dubbio: la madre, la sorella Arianna, spessissimo nel corso di litigate furibonde, Elisa stessa prova timidamente nel dipanarsi degli anni, della relazione e del matrimonio, a forzare la situazione di stallo che la vede oggetto e non soggetto, priva di volontà e possibilità. Ma nulla, Ettore procede imperterrito come un treno sul suo binario, lento, tranquillo, diritto.
Fino a che succede l’imponderabile, l’impensabile: Elisa improvvisamente si ribella. Dopo 15 anni di matrimonio Elisa informa il marito di aver deciso di andarsene, punto e basta, subito, senza margine di discussione, mandando in frantumi il sogno di vita di Ettore, assieme all’ideale di donna che ha costruito su misura alla moglie. Ma che di fatto non è lei, è solo un’immagine costruita a suo uso e consumo. Una relazione dove lui non è un salvatore, quanto piuttosto un manipolatore. E il fatto di esserne inconsapevole tuttavia non lo assolve.
“Io ed Elisa adesso eravamo legati da qualcosa di molto più solido che un istinto o una sensazione irriducibile: fra me e lei c’era un patto. Io la salvavo dal nulla, e salvarla mi faceva sentire bene, mi dava uno scopo così appagante e facile da raggiungere che non potevo neanche pensare di metterlo in discussione. Lei si faceva salvare, si occupava delle cose futili del quotidiano, cresceva i nostri figli, era bella e accogliente e in cambio non aveva niente di cui preoccuparsi al mondo. Su quel patto avevo costruito tutto. Non era importante che forse l’avessi stretto con la persona sbagliata. Ormai il patto esisteva, ed era fra me e lei. Era folle pensare di vivere senza.”
A questo punto Ettore ha due scelte:
mettersi finalmente in ascolto e quantomeno capire come si sia potuti arrivare fino a lì, oppure continuare coi paraocchi sul sentiero segnato, nonostante abbia portato al naufragio del suo matrimonio e della sua vita, che intorno ad esso è stata interamente costruita.
Cosa sceglierà? Cosa deciderà di fare? E cos’è davvero “quello che chiamiamo amore”?
Anche il finale è davvero inaspettato e non lascia indifferenti.
Dopo “Elena di Sparta”, che è stato finalista al Premio Calvino 2018, ecco che Loreta Minutilli ci regala un altro romanzo davvero originale: una voce ancora emergente nel panorama della narrativa italiana, giovanissima, che continua a dimostrare però di possedere doti di lucidità estrema, ottima capacità di scrittura, sottile analisi, grande originalità.
A cura di Sara Zanferrari
Loreta Minutilli
Loreta Minutilli è nata nel 1995 in provincia di Bari. Il suo racconto L’universo accanto si è classificato tra i cinque finalisti del premio Campiello Giovani 2015. Il romanzo Elena di Sparta (Baldini+Castoldi, 2019) è stato finalista alla XXXI edizione del premio Calvino. Vive a Bologna dove studia Astrofisica.
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