Qui il sentiero si perde




Peské Marty


DETTAGLI:

Traduttore: Daniele Petruccioli 

Editore: Adhelphi

Genere: Narrativa

Pagine: 446

Anno edizione: 2024

Sinossi. Esistono alcuni libri, scrisse una volta Leonardo Sciascia, che assomigliano alla felicità. L’isola del tesoro, Il conte di Montecristo, Kim, Michele Strogoff: chi di noi potrebbe dimenticare le ore trascorse fuori dal mondo, immersi in una di quelle letture che ci spalancavano universi di cui neanche immaginavamo l’esistenza? Ecco, inoltrandosi fra le pagine di questo libro, ogni lettore ancora in grado di meravigliarsi vivrà alcune di quelle ore incantate. Non importa se il nome dei due autori non gli dirà niente, perché grazie a loro verrà trascinato, insieme al misterioso protagonista – forse lo zar Alessandro I, il vincitore di Napoleone, che secondo una leggenda non sarebbe morto nel 1825, ma per altri quarant’anni avrebbe condotto una vita segreta di vagabondo, prima monaco, poi schiavo, cercatore d’oro, mendicante, discepolo di un Lama –, in un viaggio vertiginoso e senza fine. Dall’Ucraina al Caucaso, dagli splendori di Samarcanda e di Bukhara alle tende dei nomadi kirghisi, dai deserti della Persia alle pianure innevate della Siberia: quel «Far East» che fu a lungo il territorio stesso dell’Avventura. E come in ogni vero romanzo d’avventura, il lettore incontrerà la più straordinaria accozzaglia umana che si possa sognare: saltimbanchi, cacciatori di orsi, mercanti di pelli, ladri di cavalli, bari, assassini, zingari, ubriaconi, puttane, pellegrini, dervisci, sciamani – e naturalmente demoni. Ma il «desiderio troppo grande di solitudine» del protagonista lo condurrà insieme a lui fuori dalle carte geografiche e dalla galera del mondo, là dove «il sentiero si perde». E alla fine non potrà che chiudere queste pagine con un sentimento di profonda gratitudine verso quei due ignoti scrittori, per tutta la meraviglia che hanno saputo regalargli.

 Recensione di Ilaria Bagnati 


La leggenda narra che Alessandro I, lo zar di Russia, nel 1825 abbia inscenato la sua morte. Sembra che lo zar non sia riuscito a superare la tragica morte della giovane figlia e abbia deciso di fuggire e di vivere all’avventura come schiavo, mendicante, discepolo di un Lama. La fuga di Alessandro I aveva incuriosito anche Tolstoj, il quale vi dedicò un racconto (Memorie Postume dello Starets Fëdor Kuzmìč). 

È da questa leggenda che prende spunto Qui il sentiero si perde che ha come protagonista un uomo di cui sappiamo poco e niente e che, appunto, potrebbe essere proprio Alessandro I.

Peské Marty ci racconta le avventure di quest’uomo che viaggia spesso in solitaria tra le terre dell’Ucraina, della Russia, della Persia, della Siberia, beandosi delle bellezze di Samarcanda e Bukhara. L’ambientazione è quella del “Far East” che ricorda all’opposto quella del “Far West”. 

Il nostro protagonista incontra vari personaggi tra cui mendicanti, dervisci, zingari, ladri, schiavi, mercanti, sciamani, demoni, prostitute. Di alcuni diventa amico, si innamora di un uomo, di una prostituta, di una zingara. Quest’uomo è capace di slanci generosi ma sa essere anche crudele e assassino.

Il viaggio in Asia e il viaggio interiore del protagonista sono due percorsi che viaggiano paralleli, due viaggi lunghi, faticosi e che arrivano là “dove il sentiero si perde”. Egli incontra sì tante persone ma poi ricerca sempre la solitudine che gli permette di riflettere su sé stesso, sul suo rapporto con gli altri, su quello con la fede.

Peské Marty, pseudonimo dei coniugi Antoinette Peské e Pierre Marty, ha pubblicato il libro nel 1955 e purtroppo non ebbe il successo meritato.

Ora Adelphi l’ha pubblicato con la magistrale traduzione di Daniele Petruccioli e spero possa arrivare a tanti perché è un libro che merita assolutamente di essere letto e conosciuto ai più. 

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Antoinette Peské


(1902-1985), figlia del pittore Jean Peské e discendente per parte di madre da una famiglia di principi mongoli, iniziò a scrivere poesie all’età di otto anni, attirando l’attenzione di Apollinaire. Fu autrice di vari romanzi, il più noto dei quali è La scatola d’osso, uscito nel 1941. Peské Marty è lo pseudonimo che fu scelto per firmare Qui il sentiero si perde (1955), scritto insieme a suo marito Pierre Marty (1901-1957), giurista di formazione, appassionato di storia, letteratura e filosofie orientali.

A cura di Ilaria Bagnati

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