Rondini d’inverno



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Recensione di Piergiorgio Pulixi


Autore: Maurizio de Giovanni

Editore: Einaudi Stile Libero

Pagine: 356

Prezzo: 19 euro

Genere: Giallo/noir; poliziesco procedurale

Leggere Maurizio De Giovanni è sempre un’esperienza toccante e coinvolgente.

Soprattutto quando ci fa strada nella Napoli degli anni `30 del Commissario della Regia Questura partenopea Alfredo Luigi Ricciardi, trentenne ombroso, prigioniero dei suoi demoni interiori.
Accade qualcosa di strano alla narrazione di De Giovanni quando l’autore partenopeo impasta le trame del suo commissario.

La scrittura stessa, dal registro letterario sempre molto alto e ben sorvegliato, diventa più suadente, più nitida, si pone totalmente al servizio della storia, con una delicatezza e una sensibilità che a volte sfiorano la poesia.

La serie di Ricciardi, di cui “Rondini d’inverno” è il decimo episodio, ci ha abituati a un’altalena costante tra amore e dolore, tra orrore e poesia. Nulla in De Giovanni è scontato. Si ha sempre la sensazione pressante di essere in bilico. In bilico sul delitto, sulla tragedia, sull’inferno morale. Il “Fatto”, questo dono investigativo che però rappresenta anche la più grande condanna di Ricciardi, il suo bastione che sbarra fuori la prospettiva e la pienezza di una vita normale, sembra acuire di romanzo in romanzo la pietas del commissario.

La sensibilità, l’umanità, l’essere integerrimo ma al tempo stesso impermeabile a un giudizio superficiale della commedia umana, reificano questo personaggio sempre di più, lo rendono vivo e vivido. Dando carne ai suoi tormenti, De Giovanni instilla la Vita in Ricciardi. La malia che avvolge questo personaggio e le sue storie sa d’incantesimo, perché ne vuoi sempre di più: vorresti che il libro fosse più lungo, che questo viaggio in questa Napoli così brumosa – in questo caso specifico – non finisse mai.

Quasi che fosse un mélo raffinato e struggente; ma in realtà non si tratta solo di mélo, per niente. Le trame di De Giovanni sono nere così come sono nere le motivazioni che spingono i suoi personaggi sull’orlo del baratro omicida. Non bisogna lasciarsi ingannare dalla bellezza stilistica dell’autore e dalla nitidezza dei suoi ritratti psicologici, perché le sue sono storie di sangue. Storie passionali, sicuramente, ma di sangue. E questa in particolare ha una trama assai ben congegnata, la cui risoluzione impegnerà duramente anche le menti più cartesiane tra quelle dei tantissimi lettori di Ricciardi.

Due parole su questo decimo episodio: ci si è appena lasciati il Natale alle spalle, e il nuovo anno incalza; su un palcoscenico tra i più apprezzati e forse il più famoso e frequentato in città, un vecchio mestierante di teatro, attore dai grandi fasti passati e ora in declino inaridito dall’età che incombe e messo in ombra dalla bravura e dalla bellezza rutilante della sua giovane moglie, attrice pure lei, spara un colpo dalla sua rivoltella – solitamente caricata a salve per ovvie necessità di spettacolo. Ma dall’arma parte un proiettile mortale che uccide la donna davanti a una platea incredula, innanzi agli occhi innamorati e pieni di dolore dell’uomo che crolla sul palco come se quel proiettile avesse ucciso non solo una persona, ma due.

Un caso apparentemente semplice: Maione e Ricciardi hanno movente, arma del delitto, testimoni, e pure un reo confesso che ammette di aver sparato, ma nega di aver caricato l’arma con proiettili “veri”. Qualsiasi indagine apparirebbe pleonastica anche all’ultimo degli agenti di polizia. Però Ricciardi non è un uomo che si accontenta di verità scontate, neppure se ciò significa incorrere nelle ire del vicequestore Garzo. La sua indole lo spinge a indagare più a fondo, sotto gli strati più epidermici, per arrivare al cuore delle cose. E ci arriverà, nonostante questa soluzione avrà un durissimo contraccolpo personale…

Addentrarsi di più nella trama, svilirebbe il piacere della lettura.È più interessante, invece, dire che questo, oltre a descrivere un’evoluzione nella vita sentimentale del protagonista, è il romanzo di un’amicizia maschile incredibile: quella tra Maione e il Dottor Modo, vero personaggio protagonista della vicenda che De Giovanni fa assurgere a indiscutibile comprimario dell’indagine; il Dottor Modo, uomo già in passato brillantemente descritto, questa volta ha quasi dignità di protagonista: la tremenda vicenda privata che tanto metterà a dura prova la sua anima, permette a De Giovanni di scavare nei segreti, nel dolore, e nella spietata solitudine di un uomo che ha avuto paura di scegliere, che per paura, per disillusione, o forse per incapacità di opporsi a una morale vigente non solo a parole ma con un vero atto d’amore, si troverà a subire le conseguenze terribili del suo mancato voler spingersi oltre i confini dell’amore che si era autoimposto.

Questo lo porterà a chiedere aiuto a Maione, anch’esso personaggio costantemente in evoluzione e sempre più sfaccettato. L’inedita coppia di “investigatori” intraprenderà un’indagine non ufficiale e non autorizzata, che li porterà al limite che tutti i poliziotti prima o poi si trovano a contemplare: il confine tra Giustizia con la g maiuscola, e giustizia con la g minuscola: la giustizia privata. Ricciardi non viene implicato in questa indagine; probabilmente non ne approverebbe i metodi, o forse i due amici non vogliono che eventuali schizzi di fango ne insudicino la reputazione già peraltro compromessa da vicende passate.

Inoltre il commissario oltre all’indagine sull’omicidio Marra, avrà ben altri demoni da contrastare: demoni che non impugnano una pistola e nemmeno un coltello; demoni che hanno occhi femminili e che pretendono promesse che lui sa di non poter rispettare. Né ora né probabilmente mai. Oltre l’addensarsi di una nebbia che diventa quasi un personaggio stesso della storia, c’è qualcos’altro che in questo romanzo si addensa sempre di più: la minaccia fascista. Personaggi sinistri come Falco, che in passato erano espressione di poteri nell’ombra, certamente ambigui ma non ancora emersi come turpi, in Rondini d’inverno calano finalmente la maschera per mostrarsi in tutta la loro meschinità belligerante, pronti a ogni nefandezza.

E se alla fine come in ogni storia che si rispetti con l’apprestarsi della soluzione del caso anche questa nebbia così ben descritta si diraderà, una cappa nera e sanguinaria continuerà a raggrumarsi nell’ombra, e neppure il vento salvifico che soffia su Napoli da ponente, impetuoso come un giustiziere, riuscirà a spazzare via quelle ombre che hanno messo le radici in città. Solo le rondini s’innalzeranno in volo, lasciandosi alle spalle le ombre che incombono sulla città, fuggendo da un destino già scritto. Tutti gli altri, invece, dovranno prepararsi a fronteggiare la più dura delle realtà. Ricciardi per primo.

Piergiorgio Pulixi

Maurizio de Giovanni


Maurizio de Giovanni nasce nel 1958 a Napoli, dove vive e lavora. Nel 2005 vince un concorso per giallisti esordienti con un racconto incentrato sulla figura del commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Il personaggio gli ispira un ciclo di romanzi, pubblicati da Einaudi Stile Libero, che vince diversi premi (Premio Viareggio, Premio Camaiore). Nel 2012 esce per Mondadori Il metodo del Coccodrillo (Premio Scerbanenco), dove fa la sua comparsa l’ispettore Lojacono, ora fra i protagonisti della serie dei Bastardi di Pizzofalcone, ambientata nella Napoli contemporanea e pubblicata da Einaudi Stile Libero. Nel 2014, sempre per Einaudi Stile Libero, de Giovanni ha pubblicato anche l’antologia Giochi criminali (con Giancarlo De Cataldo, Diego De Silva e Carlo Lucarelli). In questo libro appare per la prima volta il personaggio di Bianca Borgati, contessa Palmieri di Roccaspina, sviluppato in Anime di vetro.  Tutti i suoi libri sono tradotti o in corso di traduzione in Francia, Germania, Inghilterra, Spagna, Russia, Danimarca e Stati Uniti.De Giovanni è anche autore di racconti a tema calcistico sulla squadra della sua città, della quale è visceralmente tifoso, e di opere teatrali.