Omicidio nella foresta di Brocéliande
Un caso per il commissario Dupin
Jean-Luc Bannalec
DETTAGLI:
Traduttore: Chiara Ujka
Editore: Neri Pozza
Collana: I Neri
Genere: Thriller
Pagine: 368
Anno edizione: 2024
Sinossi.
L’intreccio di leggende arturiane, superstizioni e un’ambientazione ricca di fascino trasforma la settima avventura del commissario Dupin in un giallo imperdibile per gli appassionati di mistero.
Eccola, la famosa foresta, a ricoprire colline basse e sinuose. Imponente, fitta, impenetrabile. Era avvolta da un alone scuro, non esattamente ostile, ma nemmeno amichevole, che sembrava inghiottire tutta la luce. Dupin scosse la testa. «Sciocchezze» disse ad alta voce. Era un bosco. Solo un bosco. Niente di più.
«Quando un autore ha davvero successo? Quando riesce ad affermare sé stesso e il suo lavoro come un marchio sempre più richiesto. E Jean-Luc Bannalec ci è riuscito». – Frankfurter Allgemeine Zeitung
«Una serie deliziosa. Se non è il paradiso, di certo ci va vicino». – The New York Times
«Un altro rompicapo per l’ispettore Dupin, nato dalla penna di Bannalec, con il paesaggio bretone ancora una volta protagonista». – Kirkus Reviews
Brocéliande! Quanta storia, in un solo nome. L’ultimo regno delle fate, il cuore favoloso della Bretagna, la foresta in cui sono nati alcuni fra i miti più duraturi nella storia dell’umanità, la cui origine si perde nelle nebbie del tempo. È qui che sono ambientate le più belle vicende di re Artù, qui che l’ardito Lancillotto rompe l’incantesimo della maga Viviana, ed è sempre qui che il commissario Dupin – unendo l’utile al dilettevole – si reca in visita insieme agli ispettori Riwal e Kadeg e alla preziosa assistente Nolwenn. Era da tempo che i quattro progettavano una gita insieme, ma Dupin ha colto l’occasione anche per un incarico non ufficiale: raccogliere informazioni su un caso irrisolto per conto della polizia di Parigi. Peccato che l’uomo che Dupin dovrebbe interrogare, Fabien Cadiou, uno dei massimi esperti della leggenda arturiana, viene ritrovato morto in casa sua per un colpo d’arma da fuoco. Ben presto la conta dei cadaveri aumenta e, nonostante le sue resistenze, il caso viene definitivamente affidato a Dupin. Così, il gruppo investigativo improvvisato – al punto che il commissario è costretto a prendere appunti sul libretto della sua Citroën – si mette all’opera, per scoprire che le vittime avrebbero tutte dovuto partecipare a un convegno presso il Centre de l’Imaginaire Arthurien. E che ognuno degli studiosi del Centro ha un proprio tornaconto, non sempre rispettoso della magia del luogo. Il fascino e l’incanto della foresta si tingono così di una luce oscura, maligna. Ostile.
Recensione di Sabrina De Bastiani
«La Val sans retour! Siamo arrivati alla Valle senza ritorno, capo»
Un mistero eclatante, un desiderio, una ricerca e … un giallo classico, che più classico non si può, nel senso migliore e più sorprendente del termine.
Ecco che cosa promette e mantiene “Segreto bretone” nuova riuscitissima prova firmata Jean-Luc Bannalec.
Bisogna rompere la noce per arrivare al gheriglio.
Classico a partire dal perno della storia,
incentrato sulla tradizione suggestiva della leggenda di Re Artù e segnatamente del Sacro Graal – E quando si parla del Graal, come tutti sappiamo, si parla della ricerca più che dell’oggetto in sé – ambientato proprio nel suo luogo totemico, la sua culla, la foresta bretone di Brocéliande.
Il sentiero girava intorno a un alto cespuglio di alloro, poi all’improvviso la vista si aprì: eccola, la famosa foresta, a ricoprire colline basse e sinuose. Imponente, fitta, impenetrabile. Una sfida. Era avvolta da un alone scuro, non esattamente ostile, ma nemmeno amichevole, che sembrava inghiottire tutta la luce. Al contrario, i prati e i campi in leggero pendio erano inondati dalla luce del sole e l’erba era di un verde brillante, quasi accecante.
Prati e campi appartenevano chiaramente al mondo ordinario, erano reali, concreti, mentre altrettanto non si sarebbe potuto dire con certezza della foresta, a vederla
da lì.
Dupin scosse la testa. «Sciocchezze» disse ad alta voce.
Probabilmente aveva sentito troppe storie sulla grande foresta incantata.
Era un bosco. Solo un bosco. Niente di più.
Classico nel mettere in scena un perfetto meccanismo di delitto della stanza chiusa, un numero ben preciso di protagonisti, tutti sospettati e passibili di sospetto.
«Tre su cinque sono morti».
tutti erano in qualche modo legati l’uno all’altro. Tutti con tutti, tutto con tutto,
Classico nei metodi di indagine
Lui e Dupin appartenevano già da giovani alla «vecchia scuola», con le loro «idee e metodi antiquati».
Come dei cani da fiuto, raccoglievano le tracce con l’intento di entrare in empatia con i loro avversari, di comprendere i colpevoli nella loro completezza, con le loro idiosincrasie, spinte e paure. Un metodo che a un certo punto era stato considerato superato e messo da parte.
Tuttavia, Dupin era profondamente convinto che individuare e riconoscere il male fosse l’arma più importante in loro possesso.
Eppure ciascuno di questi aspetti rivisitato, innovato, ripensato.
E la stanza chiusa diventa una foresta, dove l’incanto è sia negli occhi di chi guarda che nella sua essenza
La vera foresta non si trova su nessuna mappa, non può essere percepita con i nostri poveri sensi. Solo il nostro essere più profondo può entrarvi in contatto, ed è la foresta stessa a decidere a chi mostrarsi, chi può entrarvi. La foresta è essere supremo, non noi. La foresta è viva. Ed è indivisibile».
Proseguì in atteggiamento teatrale.
Per quanto le frasi sembrassero assurde, persino esoteriche, Dupin in un certo senso le capì. Lui stesso aveva percepito fin dall’inizio la resistenza della foresta.
Le vittime, studiosi dell’epoca arturiana, in relazione l’una con l’altra, ma non come ci si potrebbe aspettare
«Questa storia sta assumendo proporzioni mostruose. Tre omicidi. Forse quattro. Più un tentato omicidio. Quasi cinque persone uccise! Dove andremo a finire?
Il commissario Dupin, lineare e deduttivo, dicevamo, col suo metodo “antico” … ma chiamato ad aprire porte al contrario.
La porte est en dedans, «la porta è all’interno». Bizzarro, come tutto il resto. Poteva forse significare «Solo se si è già dentro si può entrare?» Corrispondeva più o meno a ciò che aveva detto il narratore della foresta, ed era esattamente come il commissario si sentiva in quell’indagine: solo se si è gia dentro si trova un accesso. E Dupin era chiaramente fuori.
Bannalec maneggia la scrittura e la materia con sapienza. Mai ridondante, pur fornendo nozioni storiche precise e accurate che non rallentano l’incedere della storia, declinata in due giornate dense di eventi, scandite quasi al
minuto, per una tensione che non lascia la presa.
Sensibile ed evocativo nella descrizione degli ambienti
Tutto era romantico e selvaggio. In cima alla scogliera – alta settanta metri, secondo le stime di Dupin – un pino solitario veniva sterzato dal vento.
Una profonda armonia, una profonda calma: ecco l’essenza di quel paesaggio. Si sentiva solo il costante frinire delle cicale, che Dupin adorava. La freschezza dell’acqua si poteva persino odorare.
(…) Il sole era appena tramontato. I colori del cielo fluttuavano in strisce lievi e ariose, come dei drappi leggeri rosa, arancione, viola, che a volte si mischiavano tra loro e altre volte avevano dei bordi netti; tutte si riflettevano in modo quasi etereo sulla superficie del fiume sotto forma di bagliori dai colori pastello. Si diede una scossa e si liberò dall’incantesimo.
e cinico quanto basta nelle motivazioni nere –
Un nero che non era più un colore, ma materia. Un nero nel quale si affondava. Più pesante dell’aria – e nel mettere in scena miserie e moventi umani troppo umani
Una lotta per il denaro, la sicurezza, ma soprattutto per il riconoscimento e il prestigio. Le motivazioni più forti dell’uomo.
«Lei pensa che siamo strani, vero, commissario? Noi studiosi, tutto il gruppo».
«Penso che tutti gli esseri umani siano strani, signor Guivorch. Me compreso. Ognuno a modo suo. Ma non è un problema, è semplicemente così». La voce di Dupin si fece tagliente: «Il problema nasce quando qualcuno pensa che la propria personale stranezza valga di più e gli dia il diritto di portare via qualcosa agli altri. La vita, per esempio».
Quella stessa vita dalla quale non si prescinde, alla quale si brinda, laddove tutto si ricompone
«Yec’hed mad. Beviamo alla vita!»
Era questo che i bretoni celebravano. Sempre. La vita, in tutte le sue storie.
Laddove tutto torna.
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Jean-Luc Bannalec
Jean-Luc Bannalec è lo pseudonimo di uno scrittore tedesco che ha ottenuto un clamoroso successo di pubblico e critica in Germania con il giallo Natura morta in riva al mare, seguito da Lunedì nero per il commissario Dupin, che ha conosciuto altrettanta fortuna.