Sotto la falce. Un memoir
Recensione di Francesca Mogavero
Autore: Jesmyn Ward
Traduzione di Gaja Cenciarelli
Editore: Enne Enne Editore
Pagine: 272
Genere: Memoir
Anno di pubblicazione: 2021
Edizione originale: 2013
Sinossi. Dal 2000 al 2004, tra DeLisle e altre cittadine del delta del Mississippi, Jesmyn Ward ha visto morire cinque persone care, cinque amici tra cui suo fratello Joshua: morti per overdose, per incidenti connessi all’alcol, per omicidio o suicidio. Nel tentativo di combattere il dolore e dare un senso all’accaduto, Jesmyn Ward decide di raccontare la loro storia, segnata dall’amore profondo della comunità ma avvelenata dal razzismo endemico e soffocante di quelle terre, dalla mancanza di un’istruzione adeguata e dalla disoccupazione, dalla povertà che alimenta una sfortuna implacabile. Le vite dei cinque amici si legano a quella dell’autrice, che torna indietro nel tempo in cerca delle origini della famiglia e della gente di DeLisle. La verità che porta alla luce è feroce: in Mississippi il destino degli uomini è determinato dall’identità, dal colore della pelle, dalla classe sociale, senza possibilità di riscatto. Sotto la falce è un memoir e un atto d’accusa, un racconto durissimo e commovente che diventa intimo e universale. Jesmyn Ward insegna come amare le proprie origini e lottare per liberarsene, e come vincere il dolore attraverso la letteratura per onorare i propri cari, restituendo loro la voce che in vita gli è stata negata. Questo libro è per gli uomini caduti sotto la falce, che sono diventati i nostri fratelli.
Recensione
“Dal 2000 al 2004, cinque ragazzi neri con cui sono cresciuta sono morti, tutti di morte violenta, senza alcun collegamento apparente l’una con l’altra. Il primo è stato mio fratello, Joshua, nell’ottobre del 2000. Il secondo è stato Ronald, nel dicembre del 2002. Il terzo è stato C.J. nel gennaio del 2004. Il quarto è stato Demond, nel febbraio del 2004. L’ultimo è stato Roger, nel giugno del 2004. […] Dato che questa è la mia storia, ma anche la storia di quei giovani perduti, e dato che questa è la storia della mia famiglia ma anche la storia della mia comunità, non sarà semplice. Per raccontarla, devo cominciare dalla storia della mia città e dalla storia della mia comunità. E poi devo ripercorrere la vita di ciascuno dei cinque ragazzi neri che sono morti: ripercorrerla all’indietro, dalla morte di Roger a quella di Demond, dalla morte di C.J. a quella di Ronald, fino alla morte di mio fratello. Allo stesso tempo, devo raccontare questa storia nella sua evoluzione, quindi, tra un capitolo e l’altro, in cui i miei amici e mio fratello vivono e parlano e respirano ancora per qualche misera pagina, devo scrivere della mia famiglia e di come sono cresciuta. La mia speranza è imparare qualcosa dalla nostra vita e dalla vita della mia comunità, cosicché, quando arriverò al cuore della storia, quando la marcia in avanti del passato e quella all’indietro del presente si toccheranno con la morte di mio fratello, capirò un po’ meglio i motivi di questa epidemia, e cioè come la piaga del razzismo, della diseguaglianza economica e della mancata assunzione di responsabilità pubbliche e private si sia infettata, causando una pestilenza che si è diffusa ovunque. Spero anche di riuscire a capire perché mio fratello è morto mentre io sono viva, e perché mi sono ritrovata sulle spalle il fardello di questa storia marcia e schifosa.”
In questo estratto delle prime pagine di Sotto la falce c’è già tutto: il tema (cinque morti terribili e insensate, la vita di una comunità, il Sud degli Stati Uniti), la struttura narrativa (l’incrocio di una linea che procede all’indietro dalla scomparsa più recente a quella più lontana nel tempo, più intollerabile e lacerante, e di un’altra che ripercorre in ordine cronologico la biografia dell’autrice), la finalità (trovare una logica, esorcizzare il male, ma sarà possibile?). Però non basta.
L’opera di Jesmyn Ward – pubblicata originariamente nel 2013 e arricchita, nell’edizione italiana, da una profonda e partecipe nota della traduttrice Gaja Cenciarelli e dall’articolo “Il mio cuore in briciole”, scritto dalla stessa autrice e apparso su la Lettura nell’ottobre 2020 – è lirico nella sua crudezza, struggente anche nei passaggi più leggeri (erano adolescenti, accidenti!), sontuoso nella disamina di una giovinezza interrotta e smarrita, del degrado, di un panorama privo di orizzonti.
Soprattutto, dà voce al silenzio – dei media, delle vittime uccise due volte, da un colpo di pistola, uno schianto, un cuore malato e dalla legge, delle famiglie estenuate, dei “buoni” vicini – e ci fa sentire a disagio nelle nostre case al riparo dall’uragano, tra i banchi di una scuola aperta e garantita, in un sogno che abbiamo realizzato o che possiamo ancora permetterci di sognare.
Perché Josh, Ron, C.J., Demond, Rog, così come le loro sorelle, i loro genitori, gli amici, non hanno avuto nemmeno questo: il diritto all’immaginazione, a vedersi astronauti, meccanici, musicisti, tecnici, ristoratori o fisici nucleari, a seguire i propri desideri, assecondare talenti, gusti e inclinazioni. A essere felici nella propria pelle.
Una pelle che loro stessi sono arrivati a detestare seguendo un impulso che si perde nella notte dei tempi e della schiavitù, una pelle che è diventata più permeabile ed esposta agli attacchi esterni, generando un circuito di odio e disperazione alimentato da più parti, un circolo dannato, un cappio sempre più stretto che chiude la gola – e se pure si riesce a mormorare Non riesco a respirare, è già troppo tardi.
Un vicolo senza uscita dunque?
Forse no, perché libri come questo aprono occhi, menti e brecce, creano vincoli al di là delle parentele, e i nostri cari fantasmi ci danno manforte – se ci sembra di dimenticarli, se le immagini si fanno più sbiadite e le voci echeggiano più flebili nella memoria, non aver paura, cara Jesmyn, è solo perché li abbiamo interiorizzati e fatti nostri, adesso parlano col nostro accento e chiedono solo di essere raccontati, ricordati con una parola che è già salvezza, possibilità, promessa di eterno.
A cura di Francesca Mogavero
Jesmyn Ward
Jesmyn Ward vive in Mississippi, dove insegna scrittura creativa alla Tulane University. Salvare le ossa ha vinto il National Book Award nel 2011, e il memoir Men We Reaped è stato finalista al National Book Critics Circle Award. Con il suo romanzo Canta, spirito, canta, Jesmyn Ward ha vinto il National Book Award per la seconda volta, prima donna dopo scrittori come William Faulkner, John Cheever, Bernard Malamud, Philip Roth, John Updike. NNE ha pubblicato anche il terzo capitolo della Trilogia di Bois Savage: La linea del sangue.
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