Recensione di Gabriele Loddo
Autore: Maria Grund
Traduzione: Alessandro Storti
Editore: Editrice Nord
Genere: Thriller suspense
Pagine: 416
Anno di pubblicazione: 2021
Sinossi. Alcuni peccati possono essere lavati solo col sangue… Due morti sconvolgono la quiete di una piccola isola al largo della costa svedese. Prima il cadavere di una ragazzina riemerge dalle gelide acque del lago di una cava, poi una ricca collezionista di libri antichi viene trovata riversa in una pozza di sangue in casa sua. Se dai tagli sui polsi sembrerebbe che la ragazzina si sia suicidata, la donna invece è stata uccisa con numerose pugnalate al petto, e presenta anche una strana ferita alla gola: due linee nette che s’intersecano a formare una croce. A indagare sui casi è Sanna Berling, una donna in bilico sull’orlo dell’abisso. Tornata in servizio dopo che un incendio doloso le ha strappato via la famiglia, tiene sempre in tasca l’indirizzo del piromane, assolto per un cavillo legale, e spera che il lavoro la distolga dalla sete di vendetta che le avvelena l’anima. Nello studio della collezionista, l’attenzione di Sanna viene subito catturata da un quadro che rappresenta un gruppo di giovani col volto coperto da maschere di animali. Un dettaglio, quello, che potrebbe collegare la vittima alla ragazzina della cava. E quando un secondo cadavere, e poi un terzo, vengono rinvenuti con la stessa croce segnata sul collo, Sanna si convince che quella catena di morte affonda le radici nel passato e che è solo all’inizio. Per spezzarla, ha un unico testimone: Jack, il figlio tredicenne di una delle vittime, che potrebbe aver visto l’assassino. Ma il ragazzo è sotto shock e non parla con nessuno. Eppure, se è nella stessa stanza con Sanna, i suoi occhi si accendono di una luce diversa. Solo lei può convincerlo ad aprirsi, riportando alla luce una verità che in molti, sull’isola, preferirebbero restasse sepolta…
Recensione
Il corpo esanime di Mia Askar, una giovane quattordicenne, emerge dalle fredde acque di un lago di cava, in una piccola isola al largo delle coste svedesi.
I segni sul corpo, e le immagini riprese da una telecamera di sorveglianza, indicano che la ragazza si è suicidata. Cosa l’abbia spinta a compiere l’insano gesto rimane un mistero.
I pochi che la conoscono, familiari e compagni di scuola, non riescono a giustificare la sua decisione che appare improvvisa e inaspettata. Quando però nell’isola iniziano a susseguirsi violente uccisioni, ad opera di un unico killer, tutto lascia presupporre che la sua morte possa essere legata allo stesso caso.
Sanna Berling e Eir Pedersen sono incaricate a indagare sulla serie di omicidi, ma più frugano nel mondo delle vittime e più si rendono conto che questo costituisce un torbido pantano. Sul suo fondo giacciono oscure verità, fatte di violenze e di abusi su minori, che hanno radici in un non lontano passato.
L’autrice crea un complesso intrigo e induce a credere che ogni personaggio della storia possa vestire gli abiti dell’assassino, portando il lettore a cambiare spesso l’ipotesi del possibile finale.
Lo stile mi è piaciuto perché è più vicino a quello del romanzo di narrativa generale, con descrizioni ambientali articolate e uno studio dell’animo dei protagonisti molto approfondito, piuttosto che a quello asciutto del thriller classico.
Mi ha coinvolto e reso partecipe come se mi trovassi all’interno delle sue pagine.
Maria Grund
è nata e cresciuta nei dintorni di Stoccolma, ma si è laureata alla University of New York e ha vissuto per anni a Londra, dove lavorava nel mondo del cinema. Attualmente abita sull’isola svedese di Gotland. “Il peccato capitale” è il suo primo romanzo.
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