Intervista a Giuseppe Di Piazza




A tu per tu con l’autore


 

Quello che mi ha colpito, di O tu o lui, è la fibra di Sari De Luca: sangue mafioso, visti i suoi avi, e tendenza fortissima alla vendetta. Ma delle logiche dell’altra “famiglia”, quella più inquietante, non sa nulla e non è interessato. Quando uccidono la sua amante, però, quel sangue si fa sentire forte e Sari uccide a sua volta il mandante mafioso. Mi sono domandata se fosse un pazzo incosciente o il coraggioso più coraggioso che esista. Chi è davvero Sari De Luca? 

Si potrebbe dire che la vita l’ha reso una mina vagante. Nell’immaginarlo mi ha affascinato il senso di caduta, l’aver perduto tutto in pochissimi giorni: potere, ricchezza, relazioni, status sociale… Tutto perché il sangue è persecuzione, nel suo caso il sangue mafioso. Sente le emozioni con la malinconia di chi ha bei ricordi di fronte a un oggi desolante. Non è un vincente, non è coraggioso, non è pazzo: è un uomo spinto all’estremo della condizione esistenziale. Da tutto a niente, con killer mafiosi che ti inseguono. Questo di lui mi affascina. 

Dell’onnipresente mafia conosciamo la spietatezza e l’estrema determinazione, nonché l’intelligenza, la capacità di tessere le relazioni più proficue, assicurandosi un tasso di tradimenti più basso possibile, allo stesso tempo. Sull’esempio di Sari De Luca, per opporsi efficacemente al loro strapotere, si deve condividere qualcosa con loro (a parte il fatto di avere un corpo umano)?

No, non bisogna condividere niente. Però, pensando a Giovanni Falcone, a Paolo Borsellino, a Boris Giuliano, “capire la loro lingua” aiuta, eccome. I grandi eroi dell’antimafia erano in maggioranza siciliani, se non palermitani.  Comprendevano le logiche degli avversari: solo così puoi scardinare il loro potere, pagando un prezzo personale altissimo. Non sto parlando di narrativa, ma di inchieste, arresti, pentimenti, omicidi…

Dei suoi libri precedenti, ho letto Malanottata e Il movente della vittima. Mi erano piaciuti entrambi, anche grazie alla presenza di Leo Salinas, Occhi di sonno. Quale dei due personaggi, Leo Salinas e Sari De Luca, sente più vicino?

Leo Salinas ha tratti fortemente autobiografici. Ero, come Leo, un giovane cronista a Palermo negli anni tra il 1979 e il 1984: cioè durante la seconda, sanguinosissima, guerra di mafia. Ho usato il suo personaggio per rendere palpabile il terribile lavoro che facevamo, così giovani, davanti a quella guerra che Cosa Nostra aveva scatenato al suo interno e contro lo Stato. Sari De Luca è la sintesi dei miei anni milanesi, ben 22. Ha in sé i tratti dei manager che ho conosciuto, le loro sicurezze (che in Sari crollano), la loro consuetudine con il potere finanziario, ma anche la fragilità e la capacità di sognare che ho trovato, inaspettatamente, in molti di questi stessi uomini. Potrei dire che lui, come personaggio, è un’altra versione – manageriale, lombardo-sicula – di me stesso e delle persone che ho conosciuto.

Se Leo e Sari si incontrassero, che cosa potrebbero dirsi?

Leo: “Anche a lei sono sempre piaciute le donne belle?”

Sari: “Sì, abbiamo lo stesso problema: siamo privi di immaginazione”.

Leo: “Scusi se glielo chiedo. Perché l’autore a lei fa mettere sempre abiti firmati e a me jeans e giubbotti inguardabili?”

Sari: “E’ il guardaroba che avevo quand’ero ricco: qualcosa m’è rimasto”

Leo: “Ma io, in qualche futuro romanzo, crescerò e diventerò ricco come lei?”

Sari: “Forse sì, ma non so se ti conviene. Accontentati della Palermo violenta e innocente dell’82. Guarda come sono finito io nella Milano degli anni Duemila…”

Nel suo sito, tre parole campeggiano: libri, giornalismo, fotografia. Che cosa significano per lei?

La fotografia è stata a 12 anni la mia prima forma di espressione, e continua a esserlo. La scrittura è la mia libertà, la mia fuga dalla terza parola: giornalismo. Faccio il giornalista dal 1979, ed è stato il lavoro-pilastro della mia vita. Sono grato al giornalismo, ma sono innamorato della parola scritta e delle immagini. 

Se dovesse scegliere una parola che affianchi, descriva o amplifichi il significato delle tre di cui sopra, quali sarebbero e perché? 

Libertà. Sono libero di scrivere, di inventare mondi, di fotografare e di descrivere la realtà che mi circonda, trasfigurandola nei romanzi o nelle mie mostre quando ne ho voglia. Adoro la libertà di pensiero e di espressione. 

Giuseppe Di Piazza

A cura di Loredana Gasparri

 

 

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