Resta con me, sorella




 Resta con me, sorella

di Emanuela Canepa

Einaudi 2023

Collana Einaudi Stile libero

narrativa, pag.408

Sinossi. Quali sogni ti erano concessi in Italia, negli anni Venti del Novecento, se non eri un uomo? Con la consueta capacità di scrutare nell’animo femminile e nell’ambiguità delle relazioni, Emanuela Canepa racconta due donne che, imprigionate dal potere maschile o dalla propria incapacità di opporvisi, sognano di liberarsi dalle catene della Storia. Da quando suo padre è morto di febbre spagnola, Anita, orfana di madre dall’età di sette anni, vive con la matrigna e i suoi due figli. Uno lavora con lei nel giornale in cui il padre prestava servizio. Un giorno il fratellastro ruba dalla cassa e Anita decide di prendersi la colpa, perché il suo misero stipendio di donna non basterebbe a mantenere la famiglia, mentre quello del fratellastro sí. Rinchiusa nel carcere della Giudecca, incontra Noemi, una ragazza ombrosa da cui tutte si tengono alla larga – «ha il demonio dentro», dicono – e dalla quale persino le suore mettono Anita in guardia. Ma lei ne subisce il fascino e, malgrado Noemi non riveli mai il motivo per il quale è stata condannata, Anita si confida con lei. Le due stringono un patto: progettano di costruire un futuro insieme, una volta fuori. Sono convinte di poter trovare la propria strada nel mondo anche senza un marito. Ma oltre la soglia della prigione l’esistenza travolge e confonde come il brulichio incessante per le strade di Venezia, obbligando Anita a fare i conti con sé stessa e con il segreto inconfessabile che Noemi nasconde.

«Una narrazione che semina inquietudine tenendo sempre vigile lo sguardo» – Nadia Terranova, Tuttolibri – La Stampa

«Un’autrice sapiente» – Paolo Mauri, la Repubblica

 Recensione di Sabrina De Bastiani

Forse la mancanza di appigli è una salvezza, qualcosa che occorre lasciare accadere. Potrebbe essere l’unica via per arrivare dove si vuole.

Tutto ha inizio da lei. Anita. 

E da un salto nel vuoto.

E’ un salto nel vuoto, infatti, quello che le vediamo compiere già all’inizio del romanzo, nell’assumersi per tutta una serie di ragioni drammaticamente quanto ineluttabilmente logiche e vere, una colpa non sua.

Cosa prova? Non è chiaro. Forse un sentimento di tiepida pace, e insieme lo scarto di un’appendice che si stacca e affonda nell’acqua. È doloroso ma cicatrizza subito.

Un salto nel vuoto  che la fa atterrare nel carcere femminile della Giudecca, con l’inconsapevolezza di chi appartenendo ad un altro mondo sente di ritrovarsi, o meglio perdersi,  in una dimensione estranea e straniante, Ognuna ha avuto una vita che continua a scorrere parallela, al di fuori delle mura della Giudecca, che deve però accettare come sua, pena,  nella pena, il tracollo emotivo, umano, vitale. 

Ed è quello che prova  a fare, Anita, la véritable protagoniste, seppure non la sola, di “Resta con me, sorella”, che già a partire dal titolo si declina come una storia che si fonda sulla presenza dell’altro, un plurale seppur per tramite  di  voce unica, così come del resto unica è la voce di Emanuela Canepa nel tratteggiare con tale e tanta potente finezza e profondità gli animi, i gesti, i moti del pensiero dei suoi caratteri, nell’immersione in se stessi e nell’emersione di un’epoca sia nostra che altra, passata,  eppure resa talmente vivida che in qualche modo fa risuonare echi in noi stessi.

L’importanza fondante dell’altro, si diceva, non per conformarsi,  bensì  per salvaguardare la propria identità, Anita la apprende proprio nel primo periodo del carcere, trascorso in isolamento.

Le torna in mente l’unica lezione che le pare di aver appreso in isolamento. Allineati alle aspettative. Non c’è altro da fare finché sarai rinchiusa qui.

Gli unici contatti quelli con le Suore, “Sorelle”,  che gestiscono la Giudecca.

In pubblico le religiose sono impossibili da decifrare, grandi  uccelli rapaci esangui e senza voce. La loro vita intima è un fiume carsico che non affiora in superficie. La cattività fa danno, lo sanno bene le carcerate. Anche le suore sono prigioniere della Giudecca.

E se si rende presto conto che ogni donna li dentro è inaccessibile in modo diverso, sarà proprio il rapporto che, una volta uscita dall’isolamento,  nasce e si consolida con la carcerata più inaccessibile in assoluto, Noemi, colei che Perfino in quel luogo desolato non perde mai l’aura della creatura incapace di farsi intimidire dal bisogno, si rivelerà per  lei salvifico.

Perché la verità è una pratica complessa, e in carcere c’è bisogno di amici e desideri. Il vostro legame serviva a questo, a tenervi in vita.

C’è bisogno di amici, in carcere, e Anita e Noemi lo sono.

C’è bisogno di desideri, in carcere, e Anita e Noemi ne disegnano uno con la mente, ma intriso di realtà, un ponte sul dopo, verso la vita fuori dalla Giudecca, che permetta loro di essere libere, di bastarsi, di non dipendere. Nulla di irrealizzabile La felicità le sembra piú tangibile obbligandosi a ridurre l’ampiezza del volo, ma che comunque mantenga e coltivi  la magia del sogno, che sia praticabile, ma non così a portata di mano per far sì che abbia il sapore della conquista, del farcela.

Un primo passo fuori lo muove proprio Anita, la sua pena meno lunga rispetto a quella di Noemi, e questa volta l’ennesimo salto nel vuoto la vede atterrare tra le braccia della  protagonista più maestosa e sublimemente femmina del romanzo: Venezia Certi giorni mi sembra una fortezza senza vie di fuga, un carcere sull’acqua che cerca di farti dimenticare la sua natura detentiva con le bifore e i merletti.

Tutti la assolvono  perché è bella. Ma resta il fatto che, una volta entrati, scappare è difficile.

E qui una volta di più Canepa si supera. Nel restituirci una delle città più mutaforma, sfaccettate e fluide della nostra penisola, Venezia assume una consistenza malleabile e ricomincia a cambiare forma sotto i suoi occhi. Gli angoli che le sembravano familiari si dissolvono nella caligine opaca da cui emerge all’improvviso l’angolo grezzo di un muro scrostato, il portale a sesto pieno di una chiesa, o il profilo di un ponte visibile solo fino alla sommità dell’arco, che viene subito inghiottito dal bianco come un trampolino di pietra sporgente sull’acqua. E  di nuovo Anita sente che sta attraversando un confine. Tutto ciò che la circonda si converte ancora una volta in una costellazione paratie di instabili soggette a un costante mutamento, senza cristallizzarla, accarezzandone le sinuosità, l’inclinazione dei ponti le dânno la sensazione di procedere su una superficie mobile, precaria come una zattera su un’onda,  accogliendone l’anima più vera e portandoci lì con tutti i nostri sensi. Allo stesso tempo da un piano di realtà, la città si fa metafora  di spazi mentali, di condizionamenti, di afflati di libertà. Segue i passi di Anita, li avvolge, si svela a lei, accompagnandone infine  il suo volo.

Venezia le appare come un teatro, un’immensa macchina scenica di mattoni e pietra. Uscendo da un campiello sconosciuto, alle sue spalle immagina una schiera di operai far ruotare i fondali e ricomporre un paesaggio del tutto distinto da quello da cui è appena passata. Forse la mancanza di appigli è una salvezza, qualcosa che occorre lasciare accadere. Potrebbe essere l’unica via per arrivare dove si vuole.

In quel gesto vede  un’occasione: guadagnare del denaro, disporne, decidere cosa farne.
È un atto di potere e libertà.

Attraversare le pagine di “Resta con me, sorella” è attraversare la Storia, attraversare la donna, le relazioni, i ruoli che impone la Società e che si fanno sempre più stretti, come vesti lavate alla temperatura sbagliata, attraversare le convenzioni e le convinzioni, attraversare le verità perchè ogni personaggio, bella o brutta che sia, totalmente o in parte, porterà la sua, attraversare le voci, le calli, le sbarre di un carcere che è prima ancora di essere, dentro noi stessi, fino a lasciare ciò che ancora, per raggiungere a piedi nudi il punto più distante, purchè sia  quello  l’approdo che vogliamo.

L’entusiasmo, la forma del futuro, ciò che ancora non è ma potrà essere. Cammina scalza.

Nell’angolo piú distante del cielo c’è un quarto di luna.

Anita si sente sul ciglio di una trasformazione che conta anche più dell’amicizia.

Attraversare le pagine di “Resta con me, sorella” è capire quanto il titolo di un libro non possa più essere letto con il tono di una richiesta, ma si faccia consapevolezza certa.

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Emanuela Canepa


vive a Padova, dove lavora come bibliotecaria. L’animale femmina (Einaudi 2018) è il suo romanzo d’esordio, con il quale ha vinto il Premio Calvino 2017. Tra le sue altre pubblicazioni: Insegnami la tempesta (Einaudi, 2020).