A tu per tu con l’autore
Desy, che bello ritrovarti. Con La pasticciera di mezzanotte si conclude la tua pentalogia dei sensi… Com’è andato questo viaggio?
È stato un viaggio interessante, ho visitato luoghi ed epoche lontani, ma soprattutto ho percorso i bui e tortuosi cunicoli del mio cervello alla ricerca di nuove storie e soluzioni narrative. È stato però anche un viaggio molto faticoso, a tratti frenetico. Avrei voluto potermela prendere con più calma, fermarmi a osservare il paesaggio tra una tappa e l’altra, anziché ripartire subito.
Questo capitolo, oltre a farci viaggiare nel tempo – gli anni ’70 del ’900, la fine dell’800, i giorni della rivolta del pane del 1917 – ci proietta in un coro di voci: c’è il narratore, l’amatissimo avvocato Ferro, che passa dall’io al tuo (del resto, “ogni scrittore scrive per qualcuno”), c’è la storia di Jolanda, raccontata alla terza persona, con un punto di vista interno, e c’è Torino, con le rivendicazioni dei lavoratori e, soprattutto, delle lavoratrici: come sei riuscita a orientarti tra tutti questi piani?
In genere scrivo ciascuna delle linee narrative dall’inizio alla fine, poi una volta che sono complete ritaglio le scene e le monto secondo un ordine differente, un po’ come si faceva un tempo con le pellicole cinematografiche che si tagliavano e incollavano le une alle altre.
Edmondo Ferro è sul punto di raggiungere il suo traguardo più ambito, “un secolo di lettura”, ma in questo romanzo lo scopriamo… scrittore esordiente! Tutti i lettori forti avvertono il fascino della penna?
Il fascino probabilmente sì, ma soltanto quello. I lettori talvolta mi domandano dettagli sul mio modo di scrivere: dove scrivo, a che ora, se ho dei riti propiziatori…
I lettori sono spesso incuriositi dall’autore, quasi fosse un personaggio dei suoi stessi libri, lo osservano come in un documentario, ma non tutti sentono il reale desiderio di “saltare il fosso”.
La pasticciera di mezzanotte è incentrato sul senso del gusto, di cui mostri non solo gli aspetti positivi, ma anche i suoi risvolti più oscuri, fatti di costrizioni, rifiuti, privazioni…
Non volevo scrivere l’ennesima celebrazione del gusto; a dire il vero mi preoccupava molto la “concorrenza”. Se sui precedenti quattro sensi – olfatto, tatto, udito e vista – non è stato scritto poi molto (almeno non molto nello specifico), sul sapore è già stato detto tutto. A qualunque cibo sono dedicate centinaia di romanzi, molti dei quali autentici capolavori, che sono già o diventeranno dei classici. Ecco perché ho scelto di parlare del gusto attraverso un approccio laterale, narrandone non soltanto le gioie ma anche gli acuti dolori.
La rivolta del pane è un episodio significativo eppure non così noto della nostra storia: perché lo hai scelto e come sei riuscita a delinearlo in modo così vivido?
Quando un episodio storico viene dimenticato, in genere esiste una ragione precisa, e su quella è interessante indagare. La rivolta del pane è stata celata per differenti motivi.
È stata spinta giù nel dimenticatoio, sino a quando, pur non essendoci più alcun motivo per tenerla nascosta, nessuno la ricordava più.
Da qualche decennio, però, è stata riscoperta e indagata dagli storici; dalle loro ricerche sono emersi opuscoli, lettere, qualche articolo di giornale – non molti a causa della censura dell’epoca – e gli atti dei successivi processi. Insomma, ho avuto a disposizione molto materiale al quale attingere per ricostruire non soltanto la vicenda, ma anche l’atmosfera di quei giorni.
Per restare in tema culinario, cosa bolle nella pentola di Desy Icardi? Stai già lavorando a un altro progetto?
Al momento sto raccogliendo idee e prendendo appunti o, per dirla schiettamente, sto bighellonando tra i miei pensieri. Diciamo che la pentola è sul fuoco, ma ancora non bolle. Forse dovrei volgere lo sguardo altrove, magari è come per l’acqua che – contro ogni legge fisica – se la fissi sul fornello non bolle mai.
A cura di Francesca Mogavero.
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