A cura di Kate Ducci
Kate Radix è autrice dei thriller “Le conseguenze” “Le apparenze” e “Le identità” e dell’antologia “La verità è una bugia”, una raccolta di quattro racconti di generi che spaziano dal thriller al fantastico.
Autore: Stephen King
Traduttore: Tullio Dobner
Genere: horror
Editore: SPERLING & KUPFER
Pagine: 1336
È la storia di un viaggio, anagrafico, fisico e metaforico, che inizia nell’infanzia e conduce un gruppo di sette ragazzini timidi a incontrarsi e combattere una battaglia che li porterà a crescere senza mai farlo del tutto, a prendere le distanze fisiche dal passato portandoselo però appresso, a lasciare in sospeso troppe cose per potersi permettere di non tornare indietro e chiudere i conti.
Come si diventa adulti?
Si chiede Stephen King per la durata di tutto il romanzo. La risposta è semplice e ripetuta a più riprese, fino all’epilogo finale: dimenticando di essere stati bambini, diventando incapaci di provare davanti all’ignoto solo desiderio e non paura, smettendo di dar credito all’istinto per cedere alla logica.
La storia si apre a Derry, una piccola cittadina del Maine. In un giorno di pioggia torrenziale, George Denbrough e il suo impermeabile giallo escono di casa per giocare con la barchetta di carta che ha costruito per lui il fratello maggiore, Bill. Le strade sono completamente allagate e la barchetta viene trascinata via (tutt’ora potrebbe star navigando alla deriva in mezzo all’oceano, fuori da questa storia ma non dalla sua, riflette Stephen King scrivendo) finendo in un canale di scolo e, da lì, nelle fognature.
Mentre cerca di recuperare la barchetta, George si trova faccia a faccia con una creatura dall’aria simpatica quanto inquietante: un buffo clown armato di palloncini che promette al piccolo un mondo di divertimento, di giostre e zucchero filato. Fidarsi di quella creatura, sarà l’ultimo gesto di George, che verrà ucciso, segnando per sempre la vita di suo fratello e condannandolo a una battaglia eterna contro quella creatura e i propri sensi di colpa.
IT sarà il silenzioso co-protagonista del romanzo, una creatura priva di forma palpabile, ma che prende corpo solo grazie alle paure di chi gli sta davanti. Ecco perché le sue vittime preferite sono i bambini, coloro che riescono a credere all’incredibile, che danno alla fantasia terreno su cui germogliare.
Al tempo stesso, i bambini sono anche gli unici in grado di poter sconfiggere quella malvagia presenza senza un’origine accertata, perché come solo un fanciullo può credere all’esistenza di un clown che vive nelle fognature, allo stesso tempo solo un bambino può convincersi di poter uccidere qualcosa di molto più forte di lui con armi all’apparenza innocue: un dollaro d’argento, un inalatore per l’asma, un libro di scienze, saranno tutto ciò che farà compagnia ai sette ragazzini in una battaglia da cui solo la loro giovane età può convincerli che sia possibile uscire vincitori. E credere di poterlo fare ti porta già a un passo dal traguardo, ci ricorda Stephen King.
Il romanzo è un invito a crescere, a tagliare i ponti con il passato risolvendo i conflitti che ancora tengono salde radici nel nostro presente, ma anche un invito a continuare a credere in qualcosa, in quel fuoco che ti anima quando un progetto ha anche solo una piccola possibilità di venir realizzato, al valore dell’amicizia e di una promessa, ai sogni così come agli incubi; perché ogni cosa, anche la nostra stessa vita, può assumere forme diverse a seconda di come siamo disposti a guardarla.
Stephen King, in un romanzo spaventoso quanto commovente, ti sussurra in ogni pagina che la tua opportunità sei tu, così come tu sei il tuo limite, che puoi essere un leader anche se sei afflitto da balbuzie (come accade a Bill Denbrough); che puoi essere sano come un pesce eppure convincerti di essere debole e malato se tua madre te lo va ripetendo da una vita (come accade a Eddie Kaspbrak); che puoi essere bella e intelligente ma accompagnarti solo a uomini che ti disprezzano, se tuo padre ti ha sempre ripetuto che non vali niente (come accade a Beverly Marsh); o che puoi avere una forma fisica perfetta ma sentirti grasso e inadeguato per tutta la vita, perché ti hanno sempre fatto sentire così (come accade a Ben Hanscom).
IT è un romanzo da leggere, ma soprattutto da rileggere. Per chi lo avesse già letto trent’anni fa, da ragazzino, è ora il momento di ripetere l’esperienza con occhi diversi da quelli che avevamo, con la consapevolezza che ciò di cui Stephen King ci parlava tre decenni fa, quel vago senso di onnipotenza che anche noi sentivamo addosso da bambini, ci ha davvero abbandonati come lui aveva previsto che sarebbe successo. Ci aveva raccontato una storia di speranza e maturità, di paure e sogni infranti o realizzati, ci aveva anticipato quali strani percorsi avrebbe preso la nostra vita, che forse non saremmo diventati i padroni del mondo come sognavamo, ma che forse sì, sarebbe dipeso tutto da noi.
La sensazione che se ne ricava è un misto di malinconia e di ottimismo, come solo pochi, capaci scrittori sanno trasmettere.
La magia di King sta tutta qui: i suoi bambini sono reali, dicono parolacce, fanno riflessioni credibili e hanno paure tangibili, così come le loro insicurezze. Questa capacità nasce soprattutto dalle origini povere dell’autore, uno dei pochi scrittori americani di origini non benestanti della sua età. Nessuno come lui sa rendere l’idea della vita che scorre lenta in una cittadina di provincia, di come ci si senta in catene ma capaci di dar via libera ai sogni quando non si ha un dollaro in tasca, di come anche un emarginato, un perdente, possa avere il suo riscatto e magari diventare uno dei più famosi autori americani (succede a Bill Denbrough, uno dei protagonisti di IT, così come è successo allo stesso Stephen King, quindi sa di cosa parla).
Le modifiche apportate alla vecchia edizione si concentrano per lo più nella traduzione, che rimane quella storica di Dobner (1987) ma a cui sono stati apportati alcuni interventi degni di nota, per eliminare refusi ed errori di traduzione, che lasciavano il dubbio su alcuni passaggi adesso scorrevoli. La lettura appare più chiara e piacevole, infatti.
La casa editrice ha fatto un attento lavoro intervenendo anche sull’adattamento moderno di tutti quei riferimenti (persino dettagli marginali) che erano rimasti fermi al 1987. Per esempio, titoli di romanzi che erano rimasti in lingua originale e che adesso sono invece stati tradotti, o riferimenti a serie televisive che all’epoca avevano un nome diverso, che ci erano sconosciute ma che, successivamente, sono arrivate anche da noi.
Per quanto riguarda la copertina, è stata adattata al film che uscirà da noi in ottobre, trasformandola e rendendola a mio avviso molto incisiva, con il piccolo Georgie e il suo impermeabile giallo davanti al canale di scolo in cui tutto ebbe un inizio e troverà la sua fine. Lo sfondo è nero, privo di dettagli, che appaiono inutili e distoglierebbero l’attenzione dal piccolo protagonista nell’atto di accettare un palloncino da uno sconosciuto.
Un libro da leggere e rileggere, per ricordarsi più spesso, citando un brano del romanzo
“che è bello essere bambini ma è anche bello essere adulti ed essere capaci di riflettere sul mistero dell’infanzia, sulle sue credenze e i suoi desideri […]. Ma è bello crederlo per un po’ nel silenzio pulito del mattino, pensare che l’infanzia ha i propri dolci segreti e conferma la mortalità e che la mortalità definisce coraggio e amore. Pensare che chi ha guardato in avanti deve anche guardare indietro e che ciascuna vita crea la propria imitazione nell’immortalità: una ruota”.
Buona lettura! Non ve ne pentirete.
Stephen Edwin King (Portland, 21 settembre 1947) è uno scrittore e sceneggiatore statunitense, uno dei più celebri autori di letteratura fantastica, in particolare horror, dell’ultimo quarto del XX secolo. Scrittore notoriamente prolifico, nel corso della sua fortunata carriera, iniziata nel 1974 con Carrie, ha pubblicato oltre ottanta opere, fra romanzi e antologie di racconti, entrate regolarmente nella classifica dei bestseller, vendendo complessivamente più di 500 milioni di copie.