Intervista a Matteo Ferrario




A tu per tu con l’autore


A tu per tu incontra per i lettori di Thrillernord Matteo Ferrario; dopo aver recensito il suo romanzo “Dammi tutto il tuo male”, abbiamo avuto il piacere di fare qualche domanda all’autore. Ecco cosa ci ha raccontato.

Leggendo il tuo romanzo si è inevitabilmente portati a immedesimarsi nel personaggio di Andrea, così fragile e umano. Come è nata la sua storia?

Volevo scrivere una storia da un punto di vista controverso, quello di un uomo divorato da una contraddizione insanabile tra due metà della sua esistenza: il padre che cerca di crescere da solo sua figlia nel migliore dei modi, e l’assassino che per una combinazione di eventi favorevoli non ha avuto il suo castigo, quindi si trova ad avere, forse al di là delle sue stesse previsioni, l’occasione di una nuova vita. E dimostra anche di saperla cogliere, almeno finché l’equilibrio raggiunto nella sua routine quotidiana con la bambina, gli amici e il lavoro, non viene sconvolto di nuovo, costringendolo ad affrontare il suo passato.
Andrea è un uomo dal cuore nero, come i soldati di Apocalypse Now e i due agenti di True Detective, anche se esteriormente ha una vita molto meno avventurosa della loro: è un bibliotecario quarantenne con una bambina di sei anni, un uomo gentile che non viene ritenuto capace di gesti violenti nemmeno dal suo migliore amico, ma che è stato esposto alla forma di cattiveria umana più insidiosa, quella che si manifesta nella sfera familiare, e nel tentativo di combatterla ha scoperto un proprio lato nascosto.

Il confine tra il bene e il male, oggi più che mai, è sempre più sottile. Pensi che ormai non si rifletta più a fondo sul tema? Sappiamo ancora discernere tra ciò che è giusto o sbagliato?

A me pare un tema cui finiamo per interessarci in molti, perché riguarda ciascuno di noi, come essere umano ancor prima che come lettore o autore. Sono anche convinto che il confine sia sempre stato labile, perché è la stessa natura umana a non prevedere barriere così solide tra male e bene. Direi solo che oggi, rispetto a un tempo, abbiamo più occasioni a disposizione per vedere quando e come il limite viene oltrepassato: succede spesso sui social, anche a persone insospettabili, che magari viste in mezzo alla folla non attirerebbero mai la nostra attenzione, ma che ad esempio dopo aver visto arrestare una persona per un vicenda di cronaca, o anche solo dopo aver letto dichiarazioni di una figura pubblica che non condividono, sono capaci di andare sul suo profilo Facebook a minacciarla, insultarla o augurarle la morte. Questa è già una forma di male, per quanto meschina e insignificante, ma ce ne sono molte altre, non sempre volontarie. Nel mio romanzo capita persino che qualche personaggio, come lo stesso Andrea, finisca per far del male partendo da intenzioni positive, dall’amore.

C’è qualche aspetto che hai curato maggiormente in fase di scrittura?

Ce ne sono diversi a cui ho dedicato molta attenzione, ma il primo che mi viene in mente è quello della voce narrante: per me il passaggio fondamentale della lavorazione di un romanzo è la ricerca della “sua” voce, l’unica con cui può essere scritto. Questo in tutti i casi, ma forse in modo particolare con Dammi tutto il tuo male, perché era una storia che richiedeva un io narrante più duttile, capace di scendere molto in profondità in alcune parti, che sono le più introspettive e le più “nere” della vicenda, e di andare alla ricerca della luce e della speranza in altre. Cercavo insomma una voce in grado di contenere le contraddizioni dello stesso Andrea, e di passare dalla ferocia alla dolcezza al rimpianto per tutto quello che non è stato come fa lui nel corso del romanzo, rimanendo però compatta e riconoscibile. Ne ho sperimentate alcune, a cominciare dall’idea iniziale che era quella di una prima persona rivolta direttamente a Barbara, donna di cui è innamorato il protagonista e madre della sua bambina, ma appena ho capito che una scelta simile mi avrebbe limitato in alcune parti l’ho abbandonata senza problemi.

Sei un avido lettore? Hai qualche genere o autore preferito?

Sono un lettore avido anche se meno veloce di altri, e mi definirei un lettore di narrativa non di genere con un certo interesse per il noir. Credo di essere anche un po’ cambiato nelle mie abitudini di lettura, nel corso degli anni: in origine ero più il tipo che dopo essersi appassionato a un autore leggeva tutta la sua bibliografia prima di passare a un altro. Mi è capitato ad esempio con Fitzgerald, Yates, Houellebecq e Bret Easton Ellis, che restano ancora oggi i miei autori di riferimento, quelli che torno a rileggere. Ma pur avendo conservato questi punti fermi, oggi tendo a essere conquistato più dal singolo libro di uno scrittore che dal suo intero percorso. Forse l’ultimo in ordine di tempo di cui mi è venuta voglia di leggere tutto è Joseph O’Neill, di cui ho apprezzato La città invincibile e ancora di più L’uomo di Dubai.

Cosa ci dici del tuo rapporto con il thriller nordico? Lo segui? Se si, qual è la cosa che più ti piace di questo filone letterario?

So che non è una risposta molto soddisfacente in un’intervista con un portale chiamato Thrillernord, ma ammetto di non conoscere molto gli autori di genere di quest’area geografica, e di avere più familiarità con gli affreschi sociali e le ricostruzioni storiche di James Ellroy, o con qualche vecchio leone del noir come James Crumley. Quello del thriller nordico è comunque un fenomeno letterario che merita interesse, e di cui credo si potrà misurare alla lunga l’influenza sulla produzione di genere di altri Paesi.

Matteo Ferrario

Giorgia Usai

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