Intervista a Sabrina De Bastiani e Daniele Cambiaso




A tu per tu con l’autore


Innanzitutto, sappiate che fra le vostre pagine mi sono completamente persa, in modo piacevole s’intende, per la tensione che avete saputo creare e di seguito, per la mia attenzione che avete tenuto desta fino all’ultima pagina.

Bando agli indugi! Vi chiedo subito: “Quando e com’è nata l’idea di questo romanzo e come sono arrivati Bruno, Cesare e Andrea? Volete farci una panoramica delle loro storie, nei limiti ovviamente di ciò che si può dire senza compromettere la lettura di chi ancora non si fosse immerso fra le vostre pagine?

Sabrina. “Eredità nera”, Bruno, Cesare e Andrea, sono arrivati in un momento di impasse. “Genova, scelte di sangue”, la seconda indagine di  Mistral e Pietro, è un romanzo che ci ha regalato grandi soddisfazioni, ma, nel pensare a un terzo episodio ci ha anche caricato di un senso di responsabilità, sano, ma comunque da non trascurare. Volendo costruire una storia che soddisfacesse noi e i lettori, abbiamo passato mesi a disquisire sulla trama, senza esserne mai pienamente convinti. Così abbiamo pensato di staccare un momento da Garlet e Farnè e dedicarci a una storia completamente nuova, in attesa di tornare da loro … e così Daniele ha avuto un’idea …

Daniele. Confermo. Avevamo bisogno di staccare un attimo dalla serie e abbiamo pensato a una storia completamente differente per struttura, “voce” e tipologia di racconto. Una storia in soggettiva, che raccontasse percorsi di vita attraverso contesti sociali e temporali differenti. Bruno Sartori, infatti, è un insegnante sulla quarantina che vive appartato in compagnia dell’anziano zio Cesare, la persona che lo ha cresciuto dopo aver subito il trauma della perdita dei genitori in giovane età. Vive un’esistenza “bloccata”, si nega a ogni relazione per paura di soffrire altre perdite, finché non avviene che proprio l’anziano zio scompare misteriosamente.

Rapimento? Allontanamento volontario? Bruno scoprirà, col passare dei giorni, che Cesare non è la persona che credeva, aveva un passato nascosto di reduce di Salò e di estremista di destra negli anni del dopoguerra. Soprattutto, è legato a un misterioso evento del periodo della strategia della tensione. Se il percorso di Bruno è un’acquisizione progressiva di “verità” dopo la perdita iniziale di ogni riferimento, quello di Cesare è un viaggio “in nero” attraverso le pagine più oscure della nostra Storia più o meno recente.

Andrea, invece, è un sottufficiale dei carabinieri, che rappresenta caratterialmente il contraltare di Bruno, è opposta e complementare a lui, e sarà la persona in grado di imprimere la svolta decisiva all’indagine. E alla maturazione definitiva di Bruno.

Il periodo storico di cui si racconta è abbastanza vasto e tumultuoso, e tra le altre cose, sarà proprio questo il filo conduttore dell’intera storia. Potete parlarcene a grandi linee?

Daniele. Se l’indagine di Bruno avviene in tempi recenti, come ti ho detto le radici della vicenda affondano in anni difficili e tormentati come quelli della fine della seconda guerra mondiale e della strategia della tensione. Anni di scontri ideologici fortissimi e di operazioni “segrete” dall’impatto devastante sulla collettività. Attraverso un grosso lavoro di ricostruzione, abbiamo provato a restituire microstorie individuali, che è quanto di più affascinante possa fare la narrativa rispetto alla saggistica, avvicinando il lettore alla Storia attraverso una lettura più emozionale e intima.

“Improvvisamente, la mia solitudine mi appare per quello che è. Una gabbia con sbarre invisibili, ma ben solide, che mi ha protetto, forse, ma soprattutto mi ha impedito di vivere, conoscere, sentire. E ora mi pesa, questo senso di vuoto…” Cosa significa per voi il concetto di Solitudine?

Sabrina. Come nelle ricette di cucina,  la solitudine, q.b., è una situazione che talvolta accolgo volentieri, in quanto mi consente di perdermi nei miei pensieri, di ascoltarmi, cosa che nella normalità della vita quotidiana non riesco proprio più a fare. Giustamente occorre chiarire però, e torno alla tua domanda, cosa intendo per solitudine.
Nel mio caso potrei dire che la associo al silenzio, e questo forse spiega meglio cosa intendevo nelle righe precedenti. Una situazione  che per essere “benefica” non deve essere imposta o forzata e avere durata limitata. Uscendo da me, per Solitudine maiuscola, più ancora di mancata presenza, intendo il non trovare corresponsione, scambio di idee, dialogo. Si può essere soli anche in mezzo a tanta gente, e questa credo sia la condizione più invalidante.

Daniele. La solitudine è, credo, una condizione connaturata all’individuo, tutti l’hanno sperimentata in fasi più o meno lunghe della propria esistenza. Alcuni l’hanno scelta, addirittura, come condizione esistenziale, altri la subiscono, purtroppo, ed è il caso del nostro protagonista, Bruno Sartori. Può essere una solitudine affettiva, ma anche di altro tipo.
Etica, per esempio, ideologica. Concordo con Sabrina, penso si tratti soprattutto di una condizione di “mancata corresponsione”, di assenza di sintonia con il mondo esterno, ed è una condizione che può generare profonda sofferenza. Oggi, nell’era della comunicazione e della globalizzazione, trovo che sia molto più diffusa e radicata di quanto a prima vista non sembri. E certe situazioni sui social ne sono una testimonianza evidente. 

“Questa storia mi ha portato incontri inaspettati, emozioni che non conoscevo… Che cosa mi illudevo di fare, con le mie resistenze, la mia solitudine difensiva?”  Questa è una riflessione molto profonda, che uno dei vostri personaggi si ritroverà a fare ad un certo punto, rendendosi conto di cosa si è privato per paura, ossia il calore umano dato da sani rapporti e, di ciò che non potrà più tornare, ossia il tempo andato. Che rapporto avete con i legami e con il tempo?

Sabrina. Bellissimo con i legami e terribile con il tempo! Provo a spiegarmi meglio. Mi avvicino alle persone e mi lascio avvicinare dalle persone con cautela, rispetto, ascolto. La fiducia però si conquista a piccoli passi e i legami si creano a piccoli passi, secondo me. Dopo di che, cerco di preservare, curare, nutrire quelli che sono i miei legami più profondi.
E mi rende felice vederli crescere, rinsaldarsi, evolvere, anche nelle immancabili discussioni, divergenze. Tutto questo fa sì che il tempo, e qui arrivo al tempo, l’altra nozione alla quale facevi riferimento, sia valore, contenitore di emozioni nei ricordi, nelle aspettative future, nel presente,  vivendo. Allo stesso modo, in relazione ai legami sani di cui dicevo, il tempo è terribile per me. Perché mi sembra di averne sempre troppo poco da dedicare alle persone che amo, alla scrittura, un po’ anche a me stessa. Troppo veloce, troppo, davvero. E non si tratta solo di avere impegni personali o particolari, che per forza di cose abbiamo e limitano, ma ancora di più della frenesia della vita che certi giorni mi manda un po’ in affanno. Magari sarò  adrenalinica di mio (per non dire incasinata che è meno elegante, seppur assolutamente vero…) e  allora forse  si spiega anche perché ami così tanto il thriller e il  noir…

Daniele. Tormentato. Fatico a gestirli. Mi sembra che il tempo non basti mai rispetto alle esigenze che i rapporti richiederebbero, generando spesso un senso di frustrazione e di rimpianto. E, per quanto concerne i legami affettivi, provo talvolta un senso di inadeguatezza legato appunto alla gestione del tempo, alla sua qualità. Mi sembra di non dare mai abbastanza alle persone a cui tengo veramente.
Credo sia una condizione legata alla frenesia dei ritmi attuali, lavorativi e non. Inoltre, fatico a gestire anche le chiusure dei rapporti, la fine di un’amicizia o di un amore, la perdota di una persona cara. Ogni volta è una ferita che lascia cicatrici belle evidenti e sensibili. Insomma, niente male, eh?

Ad un certo punto, questo, è quello che sarà il pensiero di Bruno: “… sta visitando i suoi fantasmi, ne sono certo. E non sa come maneggiare i miei…”. Ed effettivamente, tanto si scoprirà di Bruno, tanto non si conoscerà di Andrea. La ritroveremo, magari insieme anche a questo professore che fino ad ora aveva rinunciato a vivere e che ora, ha deciso di non sprecare più il suo tempo?

Sabrina. Andrea è entrata nelle pagine in un momento preciso, il ruolo che avevamo pensato per lei per forza di trama doveva realizzarsi così come lo trovate in “Eredità nera”. Andrea è un personaggio partito da zero, anzi da un’antitesi, in quanto desideravamo una figura femminile che fosse l’opposto di Mistral, proprio per differenziare totalmente e per confrontarci con caratteri diversi. Da questo presupposto in poi è stata tutta una scoperta, spero piacevole e intrigante per i lettori come lo è stata per noi. Giustamente, Loredana, hai colto il tanto che di lei non viene detto qui, ma che lascia intuire  ci sia una sua storia nella storia. E che ci sia tanta voglia di raccontarla,  lo confesso spudoratamente! 

Questa frase, che poi è il pensiero di uno dei vostri protagonisti: “Abbiamo parlato solo di fatti, finora. Ma lei ha saputo guardare oltre. Mi ha visto. Mi vede.” mi ha commossa, perché è ricchissima di significato. Cosa significa per voi GUARDARE piuttosto che VEDERE?

Sabrina. Mi tocchi nei sentimenti con questa domanda, e colgo l’occasione per ringraziarti per tutte quelle che hai pensato per noi in questa intervista, meravigliose! Mi tocchi nei sentimenti, dicevo, perché fin da bambina, le parole, per me, hanno avuto e hanno un’importanza fondamentale. Quasi ogni parola può avere il suo sinonimo, ma ogni parola, di per sé ha un significato esclusivamente suo, Magari differente solo per una sfumatura, intercambiabile, ma comunque diverso.
E’ dunque sempre stato molto importante per me scegliere le parole giuste, sia in una conversazione che in un messaggio, figurarsi in un testo o in un romanzo. Fuor di dizionario, ti rispondo con ciò che evocano in me questi due verbi che citi, GUARDARE e VEDERE. “Guardare” suggerisce un atto intenzionale, il posare lo sguardo su qualcuno o su qualcosa, “vedere” è proprio del senso della vista, quante cose vediamo “solo” perché si trovano davanti ai nostri occhi? Le percepiamo, le abbracciamo, ma solo su alcune scegliamo di fermarci, di “guardarle”. “Ci vedi bene”, ti rimanda ai 10/10 che ti fanno evitare l’oculista e la guida con lenti. “Guarda bene” ti invita all’attenzione, al soffermarti. La completezza si raggiunge quando guardare e vedere convergono, quando forzano la geometria e non sono più rette parallele, ma intersezione. Come abbiamo provato a restituire nella  frase che citi.

Daniele. Come giustamente dice Sabrina, è una differenza di profondità di sguardo, di prospettiva. Potremmo anche sfumare ulteriormente nella differenza con l’”osservare”: atti sempre più intenzionali e volti a comprendere. Abbiamo tutti un grande bisogno di qualcuno che ci veda e sappia guardare oltre la semplice apparenza. E dovremmo spesso interrogarci su quanto sappiamo farlo noi, a nostra volta.

Gli oggetti parlano di noi.”  si legge nel vostro romanzo. In che modo?

Sabrina. Una persona, rimasta vedova da poco, un pomeriggio di tanti anni fa,   mi ha disse: “Mi lamentavo sempre, quando rientravo a casa, che nulla era mai al proprio posto, le chiavi della cantina, le bollette, l’accendigas … Adesso rientro a casa, e le chiavi della cantina, le bollette, l’accendigas sono esattamente dove le ho lasciate. Ed è terribile.” Non ho  dimenticato queste parole, perché sono una delle espressioni di dolore più misurate e profonde che abbia mai raccolto, e perché contengono una grande verità. Gli oggetti parlano di noi. Dicono quello che ci piace, quello a cui teniamo, come ci rapportiamo con loro, la cura o la malagrazia con la quale li maneggiamo. E più di tutto, che su ciascuno lasciamo qualcosa di noi, non nel senso del Principio di Locard riferito ai criminali sulla scena di un crimine: bensì qualcosa  di impalpabile, ma inestinguibile.

Daniele. Gli oggetti si legano a momenti, a scelte, a fasi della vita, quindi sono un “documento”, una “fonte”, se vogliamo utilizzare una categoria storiografica. Testimoniano, almeno in parte, ciò che siamo stati, ciò che abbiamo vissuto. Portando un esempio estremo, quando ho visitato il campo di Mauthausen, mi ha impressionato la quantità di oggetti conservati che testimoniano il dramma di esistenze consumatesi tra quei reticolati. Cumuli di scarpe, di valigie di cartone, di occhiali… Quante storie, quanti percorsi legati a quei semplici oggetti!

Non è libro Frilli, se non si può respirare in modo pieno e pago i luoghi delle vicende. Perché Genova e Torino? Cosa è vero di ciò che è attinente alla trama e cosa è stato invece costruito per far funzionare la storia?

Daniele. Genova e Torino sono due città fondamentali nel romanzo. La prima è la città in cui Bruno si è costruito la propria esistenza “blindata”, al sicuro da ogni possibile trauma, ma anche da ogni emozione, slancio, afflato. Torino è, invece, la città dove lo zio viveva la propria “doppia vita”, Bruno è costretto a trasferirvisi e lì si perfeziona il suo percorso conoscitivo, ma anche formativo, che lo accompagna all’epilogo della storia e allo scioglimento di tutti i nodi. Si tratta di due città profondamente differenti per storia e vocazione, ma accomunate da un affascinante “lato oscuro”, pensiamo alla casbah dei vicoli genovesi o alla Torino magica ed esoterica, e dall’essere state protagoniste durante le fasi più tormentate della nostra Storia più recente, quella che andiamo a raccontare in “Eredità nera”. Infine, aspetto non secondario, sono due città che amiamo profondamente, per appartenenza anagrafica ed elettiva, per così dire…

Come sempre è stato un piacere leggervi. Grazie da parte di noi tutti di Thrillernord e in bocca al lupo per il vostro romanzo. Non ci resta che aspettare il prossimo.

Grazie infinite a te, Loredana, e a Thrillernord! 

Grazie per questa chiacchierata e lunga vita a Thrillernord!!!

Loredana Cescutti!

Acquista su Amazon.it: