LA PORTA
Georges Simenon
DETTAGLI:
Traduttore: Laura Frausin Guarino
Editore: Adelphi
Genere: Narrativa
Pagine: 137
Anno edizione: 2024
Sinossi. «Era possibile che per tutti quegli anni lei fosse stata felice con lui, e che lo fosse ancora?». Stenta a crederlo, Bernard Foy, e non solo perché ha perso entrambe le mani saltando su una mina e non si sente più un vero uomo, ma perché di uomini sua moglie Nelly, che del proprio passato non gli ha nascosto nulla, ha sempre avuto bisogno. Da vent’anni loro due si amano con lo stesso trasporto e la stessa urgenza di quando si sono conosciuti. Eppure Bernard, che passa le sue giornate a spiare le vite degli altri dalla finestra, ad ascoltare i rumori del palazzo e del quartiere, e soprattutto ad aspettare che lei torni dal lavoro, è tormentato dalla gelosia per la vita, di sicuro «più animata, più appassionante», che la moglie conduce fuori casa, e dal bisogno di sapere in ogni momento dove lei sia e che cosa stia facendo: tanto che la sua assenza gli provoca un acuto malessere fisico. Un malessere che è sensibilmente peggiorato da quando Nelly sbriga piccole commissioni per un giovane illustratore che la poliomielite ha inchiodato su una sedia a rotelle e che si è trasferito al primo piano del loro stesso palazzo. E poi, nonostante l’età, lei sembra ogni giorno «più bella, più desiderabile», il che colma Bernard di un’insostenibile angoscia: come non sospettare che si tratti di quella «luce particolare» che emana dal volto di una donna innamorata? A poco a poco, Bernard non farà altro che pensare alla porta dell’appartamento del primo piano, dove lui non è mai entrato, che non è mai riuscito neanche a intravedere… Nessuno come Simenon è capace di compiere, trascinando con sé il lettore, una simile, implacabile discesa nella mente di un uomo dominato dalle sue ossessioni – ossessioni che non potranno che portare a un epilogo fatale.
Recensione di Roberta Canu
Un romanzo ambivalente, che si destreggia tra il romanticismo disperato e la morbosità, l’ossessione e la tragedia di un amore sicuramente malato e quasi sul punto di diventare tossico. Un’opera di narrativa classica di tutto rispetto, da leggere in breve tempo ma con la massima concentrazione perché se è vero che il libro consta di poche pagine, è altrettanto veritiero che tutto il suo corpo narrativo e la struttura in sé, diventano atroci e quasi soffocanti per il lettore.
Georges Simenon è riuscito a ricreare una situazione disturbante in un contesto all’apparenza sereno, in un luogo, Parigi, che diventa così claustrofobico e ansioso, non vi è dunque quasi mai la speranza di poter leggere molto più avanti nelle pagine seguenti, un qualche dialogo più sereno e meno cupo.
Tutta l’opera ruota attorno alla gelosia, all’insistenza e alle paturnie di Bernard, il protagonista maschile, in contrapposizione con l’inverosimile rassegnazione e direi addirittura accondiscendenza totale di Nelly, la sua donna che lo ama malgrado la sua invalidità.
Bernard è un uomo imperfetto a trecentosessanta gradi, ma nella sua imperfezione riesce, appunto stonando, a essere un personaggio che fa parlare di sé, è autentico e maledetto, è sia antagonista che protagonista, si fa ricordare per sempre e riesce, tragicamente, a manipolare Nelly, utilizzando tutto il suo savoir – faire, è infatti capace di condurre la sua donna ad una pazzia latente e quasi sottilissima.
Gioca, stuzzica, sembra voler interrogarsi su ogni cosa, ma il suo mondo è racchiuso, al contrario di Nelly, nella casa che dividono in Francia. Questo lo porta alla disperazione, sia perché non può controllare la sua donna come invece vorrebbe e sia perché i capogiri di cui soffre lo rendono instabile, per di più è palesemente depresso e avrebbe bisogno di aiuto concreto.
Ciò che trasmette la lettura è, per quasi tutta la lunghezza del libro, un insieme di sensazioni spiacevoli e direi denigranti per la figura femminile che si celano dietro l’apparenza di falsa premura dimostrata da Bernard nei confronti di Nelly, che è una vittima per eccellenza della sua misoginia, del suo folle controllo verso di lei e la padronanza che vuole esercitare a tutti i costi, aggirando la situazione.
Un romanzo tristissimo e incredibilmente moderno, che coinvolge pian piano ma turbando rapidamente.
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Georges Simenon
nacque a Liège (Belgio) il 13 febbraio 1903 da un contabile e una casalinga. Da piccolo ebbe numerosi problemi di salute che causarono tensioni tra la sua famiglia e quella della madre; inoltre, il rapporto tra quest’ultima e il figlio non fu dei migliori. Nel corso della sua giovinezza frequentò scuole guidate dall’ordine dei gesuiti con un rendimento scolastico eccellente, ma ben presto si rese conto di non trovarsi a proprio agio in un ambiente così rigido e con gli innumerevoli dettami imposti da quest’ordine cattolico. Continuò però ad amare gli studi classici, leggendo e studiando autori importanti come Conrad, Dickens, Dumas, Stendhal, Stevenson e Balzac. Tra il 1919 e il 1922 lavorò come cronista per La Gazette de Liège, collaborò con altre riviste e cominciò giovanissimo la sua carriera di scrittore. In seguito alla morte del padre, decise di trasferirsi a Parigi, dove scrisse per diverse testate francesi. Tra il 1923 e il 1926 scrisse numerose storie che riscossero un enorme successo tra i lettori dell’epoca, mentre dagli anni ’30 i suoi numerosi romanzi vennero pubblicati da importanti case editrici. In questi anni realizzò ben 170 romanzi commerciali, pubblicati sotto pseudonimo. Nel 1929 iniziò a collaborare con la rivista Il Détective, in cui comparve per la prima volta uno dei suoi personaggi più famosi, il commissario Maigret. Nel 1940 si trasferì con la famiglia nella regione della Vandea e durante la guerra si impegnò per aiutare i rifugiati belgi, cosa che lo portò ad essere accusato di collaborazionismo e lo costrinse a trasferirsi negli Stati Uniti, dai quali però tornò negli anni ’50. Georges Simenon morì il 4 settembre 1989 a Losanna a causa di un tumore al cervello, dopo aver scritto più di 500 romanzi, 75 inchieste del commissario Maigret e 28 racconti.
A cura di Roberta Canu
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