Intervista al Collettivo Torinonoir




A tu per tu con l’autore


Regio Crimen” una raccolta di racconti che il collettivo di scrittori torinesi Torinoir ha dedicato ad uno dei più prestigiosi teatri italiano, il Regio teatro di Torino, dalla storia lunga e travagliata e che fu distrutto da un rovinoso incendio nel 1936.

La ricostruzione fu lunga e travagliata e solo nel 1973 ci fu l’inaugurazione con l’opera di Giuseppe Verdi “I Vespri siciliani” per la regia di Maria Callas e di Giuseppe Di Stefano.

Ringrazio, anche a nome di ThrillerNord i componenti di Torinoir che hanno risposto a qualche nostra domanda sui loro lavori, dedicati alla memoria di Marco G. Dibenedetto, componente e anima del collettivo.

Dietro il sipario (Rispondono Enrico Pandiani e Luca Rinarelli)

Come è stato scelto il tema portante di questa raccolta di racconti, il Teatro Regio di Torino?

L’idea è nata poco prima che iniziasse la pandemia che poi ci ha costretto a dilatare i tempi e quasi ad abbandonare il progetto. In precedenza Torinoir aveva pubblicato tre raccolte che raccontavano Torino e i suoi dintorni, “Porta Palazzo in noir”, “Il Po in noir” e “Montagne in noir”. Ci era sembrato interessante provare ad ambientare la quarta attorno al Teatro Regio, certamente uno dei simboli e fiore all’occhiello della città. All’epoca Emiliano Bezzon, uno dei membri di Torinoir, era capo della polizia municipale. Grazie a lui eravamo riusciti a organizzare una vera e propria visita turistica che ci aveva portati a esplorare i meandri del teatro, diversi piani sottoterra, che già di per sé erano una potente fonte di ispirazione. Non solo i luoghi segreti, quelli che nessuno ha mai visto se non gli addetti ai lavori, ma anche la meccanica che muove il dietro le quinte e aziona i piani scenici dello spettacolo. In più c’era l’architettura e lo straordinario arredamento messo in piedi dell’architetto Mollino, cui era stato conferito l’incarico di ricostruire il Regio, bruciato nel 1936. Insomma c’erano tutte le carte per fare qualcosa di interessante. Poi l’arrivo della pandemia aveva bloccato il progetto e rarefatto l’attività di Torinoir. La morte di Marco G. Dibenedetto, avvenuta l’anno scorso, ha in qualche modo rimesso insieme il gruppo ed è nato il desiderio di completare questo progetto in suo ricordo.

La magica serata del 10 aprile 1973 che vide l’inaugurazione del teatro dopo il rovinoso incendio del 1936 è stata ricordata in due racconti che però si snodano su due trame narrative ben diverse. “Dietro il sipario” vede due piani criminali che si scontrano e ostacolano durante il periodo nero della strategia della tensione. In quale misura Torino fu coinvolta dagli attentati e dagli episodi eversivi tipici di quei tempi bui? “In quegli anni credevamo davvero che il progresso verso un mondo più giusto verso un’uguaglianza reale, si potesse accelerare.” dice un protagonista del racconto. Visto come il mondo si è evoluto, era un’irridente illusione quella che muoveva quei giovani che volevano cambiare il mondo?

Il motivo principale della scelta che Luca Rinarelli e io abbiamo fatto, l’inaugurazione del nuovo Teatro Regio nell’aprile del 1973, con la messa in scena dei Vespri Siciliani di Verdi e la regia di Maria Callas, era in buona parte dovuto alla voglia di raccontare una storia che si svolgesse nel passato, in un mondo totalmente privo dell’informatica e dell’eccesso di comunicazione di cui oggi non possiamo più fare a meno. Era una Torino molto diversa da quella di oggi, la metropoli delle fabbriche, della Fiat e del movimento operaio. Ma anche una delle città più pesantemente colpite dagli anni di piombo. Ci piaceva fare un salto temporale raccontando quella città, le auto dell’epoca, la soprelevata che attraversava i binari a Porta Susa, anche la sporcizia, la nebbia, le difficoltà e i contrasti che attraversavano la società del tempo. Ci piaceva l’idea, in qualche maniera un poco naif, facendo a volte pure grossi danni, che molti giovani dell’epoca portavano avanti con la convinzione di poter cambiare il mondo. Anche attraverso azioni devastanti e sbagliate, ma che era interessante mettere a confronto con il cinismo e l’individualismo di oggi, addirittura con una certa indifferenza, che sono i sintomi del pensare contemporaneo, annacquato dai social network, dai cellulari e da una deriva straniante che in qualche modo ha di nuovo diviso la gente con una violenza che per ora è quasi soltanto verbale e scritta. D’altra parte viviamo il ritorno di un nuovo fascismo – lo abbiamo al governo – che indica quanto la memoria della gente possa essere corta. Non credo che i giorni nostri, con la distruzione dello stato sociale, della sanità pubblica e con la crescita esponenziale di un’ideologia squadrista, sarebbero piaciuti ai tre protagonisti del nostro racconto.

Operazione Divina (rispondono Giorgio Ballario e Claudio Giacchino)

Anche “Operazione Divina” è ambientato durante la notte dell’inaugurazione del Teatro Regio con “I Vespri Siciliani” nel 1973. In realtà filò tutto liscio quel giorno oppure ci fu qualcosa di strano, come nei racconti?

Sì, filò tutto liscio anche grazie a un imponente servizio d’ordine, predisposto per la presenza di molti Vip e dell’allora presidente della Repubblica Giovani Leone. Ma i giorni precedenti erano stati carichi di tensione, all’epoca le “prime” ai teatri lirici erano occasione di proteste, scontri, lancio di ortaggi e uova marce. E nel caso del Regio c’era molta attesa, dopo quasi quarant’anni di chiusura. Si parla persino di una fervida attività di bagarinaggio nei giorni precedenti perché tutti volevano essere presenti all’evento.

Torino è una città noir e il noir è il mezzo migliore per raccontarla?

Siamo convinti di sì, ma crediamo che ciò valga per ogni città. È uno degli obiettivi che ci eravamo dati undici anni fa quando fondammo Torinoir: usare il noir per raccontare la città e soprattutto i suoi cambiamenti. In questo caso abbiamo provato ad affrontare e leggere in chiave noir una delle istituzioni culturali più importanti della città, speriamo di esserci riusciti.

Quasi ogni teatro ha una leggenda di fantasmi o di apparizioni particolari. Anche il Teatro Regio di Torino ne ha una?

C’è una leggenda secondo la quale di notte tra le poltrone del Teatro Regio si aggiri il fantasma di una dama misteriosa, forse lo spettro della duchessa Giovanna di Savoia, legata al teatro da una storia d’amore e tragedia. Ma, insomma, noi noiristi non crediamo ai fantasmi, ci basta la storia tragica del Regio, progettato a metà del XVIII secolo da Filippo Juvarra e poi completamente distrutto da un incendio nel 1936. Complice il periodo della guerra, per 37 anni è rimasto un buco nero nel centro di Torino, finché non è stato ricostruito con criteri innovativi su progetto di un altro grande architetto, Carlo Mollino. Nel nostro racconto, invece, c’è un’apparizione particolare: la figura del nostro protagonista, il commissario Montesanto è spudoratamente modellata sul vero commissario Montesano, che in quegli anni guidava la squadra mobile di Torino ed era un mito per l’intera città. Fra l’altro era un personaggio molto letterario, si pensi che Fruttero & Lucentini si ispirarono al lui per tratteggiare l’indimenticabile commissario Santamaria di “La donna della domenica” (interpretato al cinema da Marcello Mastroianni). Ma non solo: Montesano compare anche nel romanzo “Il commissario di Torino” di Piero Novelli e Riccardo Marcato, anch’esso portato sul grande schermo con il titolo “Un uomo, una città”. In quel caso a interpretare il super poliziotto è stato Enrico Maria Salerno.

Cavalleria Rusticana (rispondono Patrizia Durante e Emiliano Bezzon)

“Cavalleria Rusticana” racconta delle indagini sull’omicidio di uno scrittore che partecipava alla stesura di una raccolta di racconti sul Teatro. È intuitivo che si tratta di un interessante gioco narrativo che diverte e fa nascere la domanda se è nato prima l’idea della raccolta oppure il racconto.

Il gioco narrativo è nato da battuta durante una delle riunioni del collettivo: “Nella prossima antologia, qualsiasi sia il luogo scelto, facciamo fuori uno scrittore!” Una battuta che la nostra coppia (Bezzon- Durante) ha deciso di trasformare in racconto vero e proprio. Quando è stato scelto Il Teatro Regio come location, lo abbiamo scritto, ma di fatto era un’idea adattabile a qualsiasi luogo. È giusto precisare che il racconto è antecedente alla prematura e dolorosa scomparsa di Marco G. Dibenedetto, e dobbiamo ammettere di aver avuto qualche dubbio nel pubblicarlo, anche sollecitati da sensibilità interne al gruppo. Però il racconto ci piaceva, soprattutto per quell’interessante gioco che tu stesso hai rilevato, in parte lo abbiamo quindi modificato, per “allontanarlo” dall’identificazione smaccata con Torinoir, che di fatto aveva davvero perso uno dei suoi componenti, scegliendo però di lasciare fedele alla prima stesura, la figura dello Strizza – il soprannome usato nel collettivo per identificare Marco, che era psicologo – pensando di avergli dedicato un bel cameo, molto vicino alla sua personalità e alla sua figura. Quindi sì, è nata prima la traccia del racconto.

“Il Regio era una vera creatura magica nascosta nel cuore della città: le sale prove, i camerini, gli spazi sottostanti il palco con i movimenti scenici” scrivete e tale descrizione mette proprio la voglia di visitare con attenzione tutto il Regio ma a voi quale ambiente ha colpito maggiormente e per quale motivo?

È difficile identificare un luogo preciso, la realtà del Teatro Regio, come quella di tutti i maggiori teatri, è così complessa e variegata, che vale la pena prenotare una visita e scoprirla di persona. Il foyer, la platea, il palcoscenico, sono davvero la piccola punta di un enorme iceberg, al di sotto esiste e vive una piccola città abitata da centinaia di lavoratori. A parte quelli che sono i grandiosi meccanismi delle quinte e dei cambi di scena, con veri e propri ascensori che portano o fanno sparire dal palco le scenografie, esistono sartorie con magazzini di stoffe, bottoni, filati e decorazioni per i costumi, minuscole sale prove, strumenti musicali, arredi di scena, camerini, ambienti collettivi e perfino una piscina, insomma, se non ci si addentra nella base dell’iceberg, non ci si rende conto di quante persone e quanto lavoro ci sia dietro a una rappresentazione. Senza dimenticare l’esterno del nostro amato teatro, che è poi il posto dove abbiamo scelto di ambientare l’omicidio: è un luogo di grandi contraddizioni dove, in occasione della prima di un’opera si vedono sfilare abiti da sera e smoking, mentre dietro l’angolo, dormono i barboni. Lungo il giorno, gli altoparlanti posizionati fuori dalla maestosa cancellata del teatro diffondono brani di musica classica e, poco più in là, gruppi di ragazzi si esibiscono in numeri funambolici con lo skate, insomma, è un esterno teatro un po’ sopra le righe e fuori dagli schemi, ideale come fondale per un delitto. In poche parole, il Teatro Regio di Torino è un luogo magico e suggestivo, un mondo complesso e laborioso, che consigliamo vivamente di scoprire, per poterlo apprezzare ancor di più all’apertura del sipario.

Il teatro, con il rapporto ambiguo tra realtà e finzione dove gli attori sono maestri nel mentire e nel dissimulare è un ambiente ideale per un romanzo noir?

Il teatro è l’ambiente ideale per mille romanzi noir, perché sollecita l’immaginazione su più piani, che vanno molto al di là della figura degli attori: è uno degli ambienti più onirici e reali esistenti. Quando andiamo ad assistere a un’opera lirica o a una qualsiasi rappresentazione, sappiamo di assistere a una finzione, ma quella finzione scatena emozioni vere: commozione, rabbia, amore, tutto quello che è rappresentato, ci appartiene. Ma, oltre a questo, come abbiamo detto, il teatro è un ambiente di lavoro, e come tale, vive di stati d’animo umani: complicità, pettegolezzo, solidarietà, ingiustizie, amore. Odio, frustrazione, e chi più ne ha, più ne metta. Per non parlare degli ambienti, così grandiosi o claustrofobici, o della storia vera e propria del teatro, come il Regio di Torino, distrutto completamente da un incendio e ricostruito dopo molto anni e non poche difficoltà. Quale scrittore avrebbe difficoltà a trovare spunti per un buon romanzo? Il teatro ha un palcoscenico che vive grazie alle rappresentazioni, ma è esso stesso una creatura viva, in tutta la sua complessità, fatta di persone e sentimenti.

Amami Alfredo (risponde Rocco Ballacchino)

Il titolo è un richiamo diretto all’opera legata al racconto, “La Traviata” di cui potrebbe anche essere il sottotitolo perché parla di un rapporto molto sfruttato, in quanto frequentemente accaduto, ma sviluppato in modo da fornire un colpo di scena finale. Era già programmato o si è prospettato nel corso della stesura del testo?

Il colpo di scena finale è stato deciso in corso d’opera, una volta messa in piedi tutta la trama. Volevamo ottenere qualcosa che non fosse scontato.

Quanto è stimolante sviluppare una trama ancorata ad un tema ben preciso e quanto, in questo caso, su un ambiente tanto aperto, per il gran numero di persone che gravitano sul Teatro Regio, ma allo stesso tempo chiuso, perché ambiente che ha confini ben precisi?

Ci ha aiutato il fatto di ambientare la storia tra le maestranze del regio perché avevamo un ambiente con potenziali indiziati. Marco ha effettuato anche una visita nei laboratori destinati alla costruzione delle scenografie del Teatro Regio.

Torinoir è già una chiara dichiarazione d’intenti e il capoluogo piemontese è stato scoperto da tanti lettori di gialli con “La donna della domenica” di Fruttero e Lucentini ambientato anche al Balon. Quali sono i luoghi più noir di Torino?

Secondo me ci sono posti molto suggestivi a Torino per l’ambientazione del noir. Porta Nuova, i Murazzi e il Parco del Valentino sono, ad esempio, tre ottime location per potenziali delitti.

Il cielo sopra Torino (risponde Maurizio Blini)

“Il cielo sopra Torino” mette a confronto due modi di impegnarsi per il futuro, quello di Mirella, poliziotta con diversi problemi familiari e Alberto, giovane ambientalista che protesta lanciando vermi sul pubblico del teatro e anche, non solo metaforicamente, sui suoi genitori. Le due generazioni rappresentate nel racconto potranno mai arrivare a comprendersi o ci sarà sempre un muro che le divide?

Già, il futuro e il modo di intenderlo, visualizzarlo persino. Il duro e perenne scontro tra generazioni si perpetra da sempre all’insegna delle più vistose contraddizioni sociali. Il tempo scorre e i conflitti restano. Ma dopo una pausa narcotica forse durata troppo a lungo, quella della deideologizzazione, ci troviamo di fronte a ragazzi che tornano a impegnarsi, preoccuparsi per il loro futuro, per quello del pianeta. Ragazzi con una rinnovata sensibilità e attenzione che spesso non hanno sufficiente voce. Ho voluto con questo racconto spingere queste generazioni agli estremi, al limite della tragedia, sottolineando che solo il dialogo, la mediazione, il confronto possono essere veramente efficaci contro il vero antagonismo. Cosa non facile, lo sappiamo tutti molto bene però.

“ODIAMO TUTTI” c’è scritto nello striscione che il ragazzo srotola dal tetto del teatro e questa protesta clamorosa però, all’atto pratico, non sembra proprio utile ma addirittura controproducente. Gli ambientalisti hanno sbagliato modo di comunicare le loro istanze?

Il 68’ prima, il 77’ poi, quello che ho vissuto personalmente in varie espressioni estremiste. Ci sono passato anche io, come molti. Le difficoltà di incontro, di dialogo, divengono spesso scogli insormontabili, muri altissimi che impediscono l’analisi e la vera comprensione dei fenomeni. Odio è un termine antichissimo, proviene dagli albori della vita. E non si è trasformato nel tempo, ci segue come un’ombra, un fantasma, si sostituisce spesso alla ragionevolezza. L’istinto guida spesso alla violenza bieca, pensando che questa sia divenuta forse l’ultima opportunità per farsi ascoltare. Non è così. Ma non lo impareremo mai.

“Il noir è vita, sincerità e falsità” dice Marco G. Dibenedetto in un’intervista citata nel libro ma qual è la funzione del noir? È, come dice Loriano Macchiavelli, quella di disturbare il potere?

La funzione del noir è sì, anche quella di disturbare il potere, ma anche quella di accendere riflettori sulle contraddizioni sociali, sui lati oscuri delle città, delle periferie desolate, sul mondo che cambia a una velocità spesso insostenibile. Il noir è uno strumento che gli autori possono sfruttare per denunciare misfatti, crudeltà, ingiustizie. Per dar voce spesso agli ultimi, agli emarginati, a chi ha scelto di stare dall’altra parte della barricata o negli anfratti più bui e puzzolenti delle nostre città.

A cura di

Salvatore Argiolas

Acquista su Amazon.it: