A tu per tu con gli autori
Come nasce e come dura nel tempo una coppia di autori così prolifica e ben rodata come siete voi?
Innanzitutto, prima di tediare i lettori con le nostre risposte, un grazie a te Sabrina e a ThrillerNord per l’ospitalità. Venendo a noi, alle radici di Novelli&Zarini. Tutto il sodalizio è nato per caso, entrambi giocavamo a tennis per lo stesso circolo di Savona, il glorioso, storico e ormai ex-Italsider. Così, allenandoci assieme, abbiamo scoperto interessi comuni in fatto di letture e cinema. Nacque così in noi la malsana idea di scrivere una sceneggiatura di un film. Una di quelle che non bada ai costi di produzione, per dirla in breve e far capire un po’ il genere. Il tempo però ci ha portato consiglio, virando poi nel creare la storia che poi in seguito divenne il nostro primo romanzo, ovvero Soluzione Finale. Entrambi scrivevamo già da piccoli, ma mai ci siamo detti che cosa e continueremo a non volerlo sapere. Sul perché il sodalizio dura, la risposta è più semplice. Grazie ai lettori, giudici sovrani e alla continua voglia di creare nuove storie, nuovi personaggi. Il voler sognare, sperimentare, renderci la vita difficile su una trama, alzarci di notte per scrivere una frase su un post-it o su un pezzo di carta qualunque per non perdere l’attimo, o farci tormentare da un personaggio che ti batte in testa e a volte nasce ancora prima della storia stessa. Sono tutti elementi meravigliosi, disturbanti, necessari, che fanno parte di quel mondo meraviglioso che è la scrittura e prima ancora della nascita di una storia.
La vostra produzione letteraria è vasta e variegata. Siete perfettamente a vostro agio sia nella dimensione del romanzo che del racconto. Credo sia molto importante, nella scrittura a quattro mani, essere affini nei gusti e negli interessi, ma spesso è dalle differenze che escono buone cose. Vi riconoscete più nella similarità o nelle differenze che compensate ed integrate l’uno con l’altro?
Ci riconosciamo nella disciplina e nel metodo che impieghiamo nel costruire le nostre trame e che ci permette di avere omogeneità, suspense ed equilibrio. Il metodo, essendo in due è fondamentale. È la base della preparazione. Usiamo il metodo della scaletta, molto simile a quello utilizzato dagli sceneggiatori americani, una volta che abbiamo scritto il soggetto e poi la storia stessa. Creiamo di fatto l’ossatura di quello che vogliamo raccontare e poi procediamo utilizzando un cronogramma per una verifica cronologica degli avvenimenti e per individuare eventuali crepe nel susseguirsi logico delle vicende o punti morti. Individuiamo i punti chiave, gli snodi narrativi della storia e andiamo a riequilibrare i sottolivelli, lavorando sopra i punti deboli. Nel frattempo, i personaggi vengono creati a parte, psicologicamente, caratterialmente e fisicamente. Dopo aver fatto questo c’è una verifica dell’intera struttura della storia che si è creata con un diagramma a blocchi, una flow chart, dove viene verificata l’esatta e corretta cronologia degli eventi, gli eventuali sottolivelli di trama. Dopodiché, avviene l’inserimento dei personaggi all’interno della storia stessa e come conseguenza una seconda verifica a blocchi, questa volta legata all’azione dei personaggi principali e secondari. Quando riteniamo la storia conclusa, allora andiamo a sviluppare gli elementi di raccordo, di ambientazione e tutto quanto occorre per completare ed ottenere la trama nella sua interezza. Quindi non ci resta che dividerla in quelli che poi saranno i capitoli da scrivere. Nei libri dalla trama più complessa e meno lineare, a volte, decidiamo di scrivere le vicende dei personaggi singolarmente, ognuno con la propria cronologia di evento e poi, solo alla fine di farli interagire all’interno della storia. Ogni libro, ogni storia, richiede delle piccole variazioni, in base a diversi elementi di struttura. Questo è un altro aspetto coinvolgente della scrittura.
La figura dell’indimenticato Alan D. Altieri, stando a vostre dichiarazioni, appare fondamentale nella formazione e nel bagaglio emotivo ed esperito di autori. In cosa particolarmente vi ha ispirato Altieri? C’è un aneddoto che vi lega a lui e che avete piacere di ricordare?
In primis, siamo suoi fedelissimi lettori, poi lo abbiamo ammirato come traduttore di Raymond Chandler e Dashiel Hammett per i Meridiani Mondadori, senza dimenticare la traduzione dei libri di George R. R. Martin, usata anche per il doppiaggio italiano della serie de “Il trono di spade” , e dei racconti di Howard P. Lovecraft. Sergio Altieri, come autore, è stato un innovatore, ha partorito un nuovo genere di scrittura, frutto anche dei suoi numerosi anni a Los Angeles come sceneggiatore e supervisor di interi team di sceneggiatori in produzione cinematografiche che hanno segnato la storia del cinema. Un autore profetico in molti suoi libri, in grado di anticipare eventi che poi sono accaduti dieci anni dopo e con una capacità narrativa di eccelsa qualità. Da l’essere fedelissimo lettore, il sogno di conseguenza è poter conoscere l’autore. Così fu in un Courmayeur Noir Festival, dove lui presentava uno scrittore americano. A dire la verità, sembrava più lui americano, soprattutto nello slang, che lo scrittore stesso. Alla fine della presentazione, ci siamo avvicinati a questo omone con grande circospezione, ma al contempo con la grande voglia di stringergli quella mano foriera di pagine e pagine che ci avevano fatto emozionare. Inutile dire che la stretta di mano fu vigorosa. Be’ fin dalle prime parole, capimmo di avere di fronte una persona speciale. Un uomo dalle virtù rare, un uomo di grande umiltà nonostante un curriculum lavorativo da paura. Sensazioni poi confermate nel tempo dentro un’amicizia che continua anche ora. Noi diciamo: “Sempre al tuo fianco, man”. E questo è, anche oggi che il destino ci ha portato nel Vuoto un amico, un punto di riferimento, un maestro, a cui dobbiamo tantissimo, da cui abbiamo imparato e appreso, fino a perfezionare il nostro metodo in base ai suoi consigli. È stato un onore e un privilegio poter essere partecipi a tante sue idee, a tanti suoi progetti, anche a quelli su cui abbiamo lavorato e che purtroppo non si sono realizzati, come quello di pubblicare romanzi con il linguaggio della sceneggiatura. Abbiamo due script rivisti, corretti da lui riguardo a quel progetto, chiusi nel cassetto. Non se ne è fatto nulla dentro questa straordinaria idea che aveva avuto, ma è stato ugualmente un viaggio fatto insieme a lui meraviglioso, di grande apprendimento. Quando ci fece il blurb per il lancio del romanzo “Per esclusione” – Marsilio, rimanemmo senza parole. E il suo giudizio privato su Manticora, da lui voluto fortemente e alla fine pubblicato per Feltrinelli, è incorniciato a appeso nelle nostre rispettive case come un dipinto prezioso. Abbiamo un inedito dedicato a lui, “I cinque apostoli” che speriamo possa essere pubblicato. Sarebbe il nostro modo per dirgli grazie di tutto e per poterlo continuare a ringraziare. La sua capacità di farti sentire alla pari di lui all’interno di una collaborazione, era qualcosa di davvero speciale. Era un soldato semplice anche se il suo petto era adornato da una miriade di riconoscimenti al valore. Sentirlo parlare di cinema, raccontare aneddoti con registi e attori di Hollywood, ti riempiva il cuore di emozioni e di sogni ad occhi aperti. Non capita a tutti di poter offrire una bistecca a Michael Cimino o parlare su un taxi con Kyle MacLachlan durante le riprese di “Velluto blu”. Ci siamo incontrati spesso con lui al Salone del Libro di Torino e in tante altre occasioni, anche a Genova. Sempre un piacere passare del tempo in sua compagnia, insieme alla sua risata inconfondibile da cowboy, insieme alla sua simpatia, alla sua conoscenza. Da quel dannato giorno di Giugno, che lo ha portato via, ma non all’affetto dei suoi amici che continuano a volergli bene e averlo nel cuore, la sua figura non è stata ricordata come avrebbe meritato dall’editoria in generale, tranne qualche rara eccezione. Questa è una grave mancanza, perché Sergio ha fatto tantissimo per il mondo della scrittura, anche per tanti autori, ma in primis perché era uomo dai grandi valori, un uomo che manteneva sempre la parola data. Lo vogliamo salutare anche ora: “Ciao, man. Ci si vede”.
Avete ambientato i vostri “Soluzione finale” e “Per esclusione” a New York, “Il paziente zero” in Sudafrica, “Acque torbide” “La superba illusione” e l’ultimo uscito “L’essenza della colpa” a Genova. Già soffermandosi sui luoghi, è facilmente intuibile la differenza che ci sia tra le prime tre storie, medical thriller e thriller “puri” e la seconda terzina, una serie noir con protagonista l’investigatore privato Michele Astengo. Da lettrice, posso dire che vi trovo perfetti nel maneggiare storie così distanti tra loro, nel trovare la voce e il passo giusto per raccontarle con talento. Avete il dono, non così comune, anzi, di saper infondere suspense, una tonalità avvincente ad un impianto di plot robusto e inattaccabile, e rendete il tutto ancora più accattivante con l’ironia intelligente e mai scontata che elargite in dote ai vostri personaggi. Insomma, senza dubbio tutto quello che decidete di scrivere vi riesce al meglio. A livello di vostro gusto personale, quale genere vi offre maggiori stimoli? Vi siete sempre trovati in sintonia sul tipo di storia da raccontare?
Grazie innanzitutto per i complimenti, Sabrina. Si cerca sempre di fare del proprio meglio, o, in certi casi, il meno peggio possibile. Venendo alla domanda, ci piacciono le sfide dei libri più complessi, quelli dove il cervello arriva a fumare per intersecare tutti i tasselli giusti nella struttura della storia. Ci piace affrontare argomenti, situazioni lontane dalle nostre, per documentarci, leggere quanto più possibile, andare sui luoghi, respirarli, prima di metterli nero su bianco. Ci piace sperimentare, modificare la scrittura per rispettare l’armonia e i tempi della storia che andremo a scrivere. Anche se amiamo contaminare una storia con diversi generi, c’è sempre un genere primario che deve essere rispettato, inserendoci le nostre piccole variabili. Ogni genere richiede un approccio diverso, uno stile differente. Il thriller è altra cosa rispetto all’action, il noir dal thriller. Anche all’interno dello stesso libro, la scrittura può cambiare, a seconda del genere che si va a toccare. Ma anche la stessa serialità di un personaggio, è sperimentazione. In questo caso Michele Astengo ci ha dato la possibilità di creare un personaggio da sviluppare nel tempo, così come i co-protagonisti. È un lavoro completamente differente dal libro “sciolto” dove i personaggi iniziano e finiscono in quella stessa storia. L’approccio a un seriale implica aspetti differenti rispetto alla costruzione di una storia da bruciarsi subito. Inoltre Astengo è raccontato in prima persona, altra ragione che implica un diverso modo di concepire e procedere nella storia, dal momento che non sono possibili salti temporali, tranne qualche breve trasgressione alla regola, come ne “La superba illusione”. Tanto meno sono possibili cambi di luogo se non con la soggettiva del solo Astengo. Scrivere in prima persona pone dei limiti che devono essere tenuti bene a mente, che rendono completamente differente la visione della scrittura stessa.
Vorrei soffermarmi in particolare sulla serie dell’investigatore privato Michele Astengo, ed in particolare sull’ultimo edito, “L’essenza della colpa”, Se è vero, come è vero, che il personaggio ha conquistato fin da subito i lettori, ciò nondimeno, libro dopo libro la sua figura sta assumendo contorni e spessore sempre più definiti. Attraverso sapienti citazioni e inediti omaggi al noir americano, uniti ad un occhio attento all’attualità e alla cronaca italiana, date colore e respiro alla trama, ma trovate anche varchi per entrare nelle emozioni dei personaggi (di cui si attendono già ulteriori sviluppi). L’indagine poliziesca diventa così anche, in parallelo, pretesto per un’indagine personale, intimistica. Cosa di voi c’è finora in Michele Astengo, cosa volete dare a lui di voi nelle prossime avventure?
In Astengo, di noi, c’è la tenacia, il non volersi arrendersi nelle situazioni più complicate. Astengo è il nostro modestissimo omaggio a un grande, un mostro della letteratura come Raymond Chandler, uno spartiacque del genere noir. C’è stato un noir prima di Chandler e un noir dopo Chandler. Con Chandler, si parla infatti di hard-boiled. Astengo si svilupperà, specie nella prossima quarta storia, verso questo genere, con più azione, senza smarrire le sue riflessioni. Nel quarto episodio, si scoprirà qualcos’altro sul suo passato e la figura di Dalia diverrà più centrale e protagonista all’interno della trama. In quanto al cinese… avrà anche lui un suo sviluppo.
Se Michele Astengo , che ne ha senz’altro la statura, diventasse protagonista di una serie tv, quale sarebbe il volto che immaginate per lui?
Bella domanda. Ne abbiamo parlato proprio in una delle nostre ultime presentazioni, con il moderatore Renato Allegra, Presidente del Filmstudio di Savona e grande esperto di cinema. Lui avrebbe visto bene Marco Giallini, ma purtroppo è già impegnato con l’ottimo Rocco Schiavone di Manzini, quindi, per forza di cose è stato escluso. Abbiamo proposto allora, all’interno del gioco, il nome di Pierfrancesco Favino, che in realtà, abbiamo già in mente per un altro tipo di progetto che implica scrittura, ma non solo, come volto di un altro personaggio seriale comparso in una serie di racconti, il professor Augusto Salbertrand. Renato ha però nicchiato. Alla fine un nome che ci ha trovato tutti d’accordo, dopo aver scartato anche Giampaolo Morelli che ha già il suo bel da fare con Coliandro, è stato quello di Valerio Mastrandrea. L’idea è venuta a Renato, ed in effetti può essere davvero il volto giusto per Michele Astengo. Chissà… Qualcuno ha il numero di Mastrandrea, please?
E’ notizia di adesso che Jo Nesbo ha vinto il Raymond Chandler Award 2018. Cosa ne pensate del fatto che questo premio titolato ad uno dei più celebri autori di narrativa hardboiled americana sia conferito ad un autore nordico? Cosa pensate del genere thriller nordico in generale?
Qui convengono due risposte separate. Assumendosi tutte le responsabilità del caso.
Gianpaolo: Non amo il thriller nordico, che trovo prolisso all’esasperazione. Il dono della sintesi, questo sconosciuto. Per raccontare qualcosa che può essere detto in mezza pagina ne devi invece leggere almeno dieci. Inoltre, lo schema è quasi sempre lo stesso, ambiente circoscritto, segreti familiari, psicologia dei personaggi portati all’estremo in maniera tediosa. Ritengo che il genere nordico abbia poco da spartire con l’hardboiled, di conseguenza anche con Nesbo. Ma vox populi (in questo caso giuria), vox dei. Per cui, complimenti a Jo Nesbo. Di certo, il genere nordico ha condizionato, non sta a me dire se nel bene o nel male, una nuova generazione di autori.
Andrea: Convengo con Gianpaolo che la maggior parte dei romanzi gialli nordici siano alquanto lenti come ritmo di narrazione. E certamente non brillano per inventiva e originalità della trama, salvo qualche rara eccezione come ne “Il senso di Smilla per la neve” Peter Høeg da cui però è stato tratto un pessimo film e un paio di romanzi di Arnaldur Indriðason come “La voce” o “La signora in verde”. Per quanto riguarda Jo Nesbø per esempio nel suo più famoso “L’uomo di neve” non mi ha particolarmente colpito il colpo di scena del libro.
Andrea Novelli e Gianpaolo Zarini
Ringrazio di cuore Andrea Novelli e Gianpaolo Zarini , autori talentuosi e versatili, che coniugano passione e d esperienza con la freschezza e l’originalità propria dei grandi autori.
Sabrina De Bastiani
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