Intervista a Stefano Bonazzi




A tu per tu con l’autore


 

Buongiorno Stefano! Guardando la tua biografia, scopriamo che sei un multi-talento espressivo: webmaster, grafico e scrittore. Sono canali diversi per manifestare la creatività: che cosa ti permette di esprimere, ciascuno di essi?

Buongiorno a voi e grazie per avermi ospitato sul vostro sito! Fotografia e scrittura sono strumenti per me affini e complementari: spesso mi sento dire che ho una scrittura molto “fotografica”, al tempo stesso, l’intento dei miei lavori fotografici è principalmente la narrazione di uno stato d’animo o una situazione che potrebbe inserirsi perfettamente in un libro o una fiaba. Un po’ come un quadro di Hopper o un racconto di Carver, con le dovute proporzioni, ovviamente! Che sia una foto, un racconto o un romanzo lungo, in ogni caso, il mio scopo principale è comunque quello di “comunicare l’incomunicabilità del contemporaneo”. I personaggi delle mie foto e i protagonisti delle mie storie spesso sono individui con problemi relazionali e sociali, famiglie assenti o troppo presenti immersi a forza in una società iperconnessa e alienante al tempo stesso.

Hai una modalità di espressione preferita, tra queste?

No, penso si tratti di un percorso naturale: ho iniziato con la fotografia, ma essendo stato lettore assiduo fin dai primi anni, a un certo punto ho sentito l’esigenza di misurarmi anche con la parola scritta. Sono molto legato a entrambi i mezzi di espressione perché entrambi sono stati catartici e terapeutici.

Qual è stata la scintilla che ti ha spinto a diventare scrittore, da fotografo e grafico?

Avevo degli stati d’animo da trasmettere che non riuscivo a comunicare appieno con una singola immagine e nemmeno con una sequenza di immagini. Per quanto adori la fotografia, certi pensieri sono davvero duri da imprimere in un solo fotogramma, inoltre il mezzo tecnico è sempre un presente ma io volevo un canale ancora più intimo e diretto con il fruitore. Così ho iniziato a trasporre frasi e pensieri su carta in una sorta di block notes emozionale a cui poi ho costruito attorno una struttura narrativa che ha portato alla prima versione di A bocca chiusa.

Nel tuo romanzo, A bocca chiusa, descrivi una realtà famigliare molto pesante: gli uomini orchi, o potenziali tali, e le donne e i bambini vittime. Apparentemente, nessuna scintilla di speranza, nessuna luce di redenzione. Dico apparente perché i bambini sono i più forti, anche se schiacciati e repressi: reagiscono, si buttano a capofitto. È così, per te? Non dico che siano i salvatori del mondo, ma possono essere gli ispiratori per uscire dal buio delle angosce e della rabbia umane?

Certamente. Credo moltissimo nella forza e in quella genuina impulsività, a volte anche irrazionale, dei ragazzi. C’è una sorta di visione immacolata, non sempre positiva, ma ancora prima delle velature e delle infrastrutture che poi vengono impresse dalla crescita e dalla nostra società che mi affascina molto. Sono cresciuto leggendo il Signore delle mosche, Stand by me, Dei bambini non si sa niente, tutti romanzi di formazione con protagonisti giovanissimi che mi hanno ispirato e stimolato molto, fino a convincermi a dare il mio piccolo contributo.

A chi consiglieresti il tuo romanzo A bocca chiusa, in particolare?

A chi cerca una lettura forte, probabilmente imperfetta, ma genuina nel suo intento originale: è un noir dell’anima con tutti i suoi pro e i suoi contro. È un romanzo di formazione e de-formazione al tempo stesso.

Puoi darci un’anteprima dei tuoi prossimi progetti… magari sul prossimo romanzo?

A breve dovrebbero uscire un paio di antologie in cui sono presenti alcuni miei racconti brevi, ma per i dettagli io consiglio sempre la mia pagina Facebook, il sito o la pagina Instagram (si trovano facilmente mettendo il mio nome e cognome). Tutto quello che scrivo comunque resta incentrato sulla famiglia e sull’incomunicabilità, quindi anche nei prossimi scritti i temi principali saranno quelli. Ci saranno ancora ragazzi e ci sarà ancora tanto noir, ma senza fretta. In un mercato editoriale in cui ci si rincorre per sfornare tre romanzi all’anno e duecento racconti, io preferisco prendermi i miei tempi e nel frattempo cullarmi con buone letture, ho ancora tanti ottimi amici e colleghi da leggere!
Vi ringrazio di cuore per il tempo dedicatomi.

Stefano Bonazzi

A cura di Loredana Gasparri

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